Cultura

Kenya: così l’Africa riparte

Era un Paese quasi benestante, con l’85% di scolarizzazione. Oggi quella percentuale è scesa al 58. E metà della popolazione vive con un dollaro al giorno.

di Emanuela Citterio

A un anno di distanza dalle elezioni che hanno entusiasmato il Kenya, è questo uno dei segni più visibili del cambiamento. «Dalla strada alla scuola», aveva promesso durante le elezioni l?attuale presidente Mwai Kibaki. Dopo la vittoria del dicembre 2002, una riforma ha reso l?istruzione elementare gratuita e obbligatoria per tutti. Togliendo di mezzo una tassa, la divisa obbligatoria e le scarpe. Seri ostacoli, in Kenya e non solo, per mandare i figli a scuola. Il Kenya è un Paese che da benestante è diventato povero. La percentuale di iscrizioni alla scuola primaria, secondo dati resi pubblici dai media kenyani, era piombata da oltre l?85% di vent?anni fa a circa il 58. Anche l?industria turistica ha subito una forte battuta d?arresto, dopo l?attentato del 98 all?ambasciata americana di Nairobi e il duplice attentato anti israeliano a Mombasa. Metà della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno. A Nairobi il lusso sfrenato di pochi convive con la miseria di un milione e mezzo di persone finite nelle baraccopoli. Tutto questo nonostante un potenziale economico considerevole, un settore agricolo e manufatturiero sviluppati, la capacità di attrazione del turismo internazionale. Nel dicembre del 2002 la sconfitta del Kanu, il partito al potere per 39 anni ininterrotti, e l?uscita di scena dell?ex presidente Daniel Arap Moi, in carica da 24 anni, ha inaugurato un nuovo corso. La popolazione del Kenya ha votato compatta, mettendo fine a un regime che aveva sclerotizzato la vita del Paese portando la corruzione a livelli altissimi. Molto più di una vittoria. La transizione verso la democrazia, avvenuta pacificamente e con regolari elezioni, è stata un segnale forte per tutto il continente. «Un segno di speranza per tutta l?Africa», l?aveva definita a suo tempo un attento osservatore della realtà kenyana, Giuseppe Caramazza, direttore del New People media center, un network che opera per l?indipendenza dei media a Nairobi. I kenyani hanno sostenuto in massa la coalizione Arcobaleno (National alliance rainbow coalition – Narc). Il movimento, costituito da una quindicina di partiti, è stato capace di coagulare le forze politiche e sociali che invocavano il cambiamento. In un anno la coalizione al governo ha risposto con segnali forti: misure decisive di lotta alla corruzione, accesso gratuito all?istruzione primaria e, soprattutto, l?importante lavoro di revisione della Costituzione. Nonostante i forti ostacoli, la transizione democratica in Kenya sarà un modello per altri Paesi africani? Sono in molti a chiederselo, e a sperarlo. Di certo il fermento di una società civile tra le più vivaci del continente ha gettato su molte situazioni una luce nuova.


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