Formazione

Kapuscinski. E’ stata una “spia”… Una spia della realtà

Newsweek rilancia uno dei tanti veleni dell’era Kaczynski. Il grande maestro di giornalismo avrebbe collaborato con i servizi del regime comunista...a cura di, Francesco Comina

di Redazione

La notizia entra come il vento dal finestrino della macchina in corsa. Alicja Kapuscinska vuole sapere, vuole leggere i giornali. Fra un?ora saremo a Bergamo dove la moglie del grande reporter polacco ritirerà l?importante premio del Cesvi alla memoria di suo marito. È lunedì 21 maggio pomeriggio quando le diciamo che il Newsweek pubblica la notizia di un coinvolgimento di Ryszard Kapuscinski con i servizi segreti della vecchia Varsavia. Il termometro segna 35 gradi e sulla Milano-Venezia c?è una coda ogni quindici chilometri. Alicja fa una smorfia di sofferenza. Non dice nulla. L?accusa, ci spiega, era già stata fatta quando Ryszard era in vita ma lui era sempre passato oltre. Non sarà certo lei a negare pubblicamente questo attacco tanto più penoso quanto più diretto verso un uomo che non può replicare perché morto da quattro mesi.

Non è facile per Alicja vivere questo momento della perdita. Se ha accettato di venire in Italia lo ha fatto unicamente come un dovere nei confronti della memoria di Ryszard che per il suo ?ultimo? viaggio è venuto nell?ottobre dello scorso anno ad incontrare un gruppo di studenti a Bolzano. «È stato uno dei momenti più belli della sua vita», continua a ripetere Alicja Kapuscinska presentando il libro Ho dato voce ai poveri.

I gemelli Kaczynski e i veleni
Il vento che entra dal finestrino sta diventando una bufera per la Polonia dei due gemelli Kaczynski che governano il Paese. Gli uomini più liberi, gli intellettuali che hanno costruito la nuova Polonia sono bersaglio di accuse infamanti. È come se i veleni del vecchio regime riprendessero il loro corso intaccando le radici della nuova storia.

Perché il problema non è se Kapuscinski sia o meno passato attraverso la porta stretta della libertà condizionata nell?inverno del comunismo sovietico, il problema è la perfidia che si nasconde sotto la coltre populista del governo siamese di Varsavia. È la vendetta della destra nazionalista verso il «simbolo della Polonia aperta, democratica, tollerante», come ha definito Kapuscinski il dissidente Adam Michnik. È la faida storica che si scarica contro la memoria di un uomo morto, eppure così significativo per il mondo, così distante dall?idea di politica incarnata dai Kaczynski.

Eppure, può essere anche vero che Kapuscinski sia finito nella rete dei collaborazionisti di Varsavia. «La collaborazione», ha detto Ernst Skalski, collega nella redazione dell?agenzia Pap, «era il prezzo da pagare per poter viaggiare. Senza quei rapporti che non danneggiavano nessuno noi non avremo mai avuto opere come Shah in Shah, La prima guerra del footbal, e tanti altri».

Può essere andata così. Nel cuore freddo del sistema poliziesco sovietico un uomo come Kapuscinski, viaggiatore nel mondo, potrebbe essere stato chiamato a dare alcune informazioni innocue su quello che vedeva. Alcuni suoi lanci probabilmente saranno finiti nelle agenzie ?controllate? dal regime perché altrimenti la Pap non le avrebbe mai potute pubblicare. Certi suoi scoop hanno dovuto attendere, con sommo disappunto, perché li doveva pubblicare la Tass. Ma Ryszard Kapuscinski non ha mai messo fra parentesi la sua coerenza morale, la sua dimensione etica, la sua coscienza rispettosa dell?uomo e della sua dignità. E ogni volta che il regime dava un giro di vite, perdeva il posto. Arrivato Jaruzelski non lavorò più per l?agenzia di Stato. Vorrà pur dire qualcosa.

Con Jaruzelski fu licenziato
Per questo motivo Kapuscinski ha catturato milioni di lettori nel mondo. Era un uomo semplice, umile, che sapeva entrare in un rapporto di empatia con le persone. Il suo giornalismo era una missione, un servizio all?umanità. Egli aveva una penna e un taccuino. Annotava le voci, raccoglieva i suoni, comprimeva i silenzi. Di tanto in tanto scattava foto di volti, di vestiti, di stracci appiccicati ai corpi dei poveri. Ho in mente la foto di bimbi vestiti con i sacchi di juta. Quando la commentò presentando la sua mostra fotografica a Bolzano il 17 ottobre dello scorso anno, si commosse tantissimo ricordando quello che i suoi occhi avevano visto quel giorno nel caldo africano.

Kapuscinski aveva una marcia in più. Lui, schernendosi, diceva di avere solo un sorriso in più. «A volte», mi ha confidato un giorno passeggiando per Bolzano, «mi sono trovato davvero in situazioni di pericolo. Per esempio sui fronti delle guerre o in zone presidiate dai militari io non avevo nessuna difesa con me se non il sorriso. Tante volte il sorriso mi ha salvato da situazioni che potevano essere pericolose».

La sua arma era il sorriso
L?astio serioso dei delatori (e a Varsavia ci sono persone che non gli perdonano il successo conquistato nel mondo) non possono nulla di fronte al sorriso disarmante di Ryszard Kapuscinski. Nemmeno le accuse post mortem sortiscono l?effetto sperato perché è ormai chiaro che quello che sopravvive alla morte è soltanto il sorriso. E Kapuscinski ci ha sorriso ma ci ha anche abbracciato (e non sono tanti gli intellettuali capaci di fare due gesti così semplici).

Non è un caso che la Gazeta polacca sia uscita con un titolo che suona più o meno così: «In Polonia Kapuscinski è messo sotto processo, in Italia viene premiato». Forse, amato.

L?ultimo viaggio
Kapuscinski a Bolzano, sulle tracce del grande antropologo anglo-polacco Bronislaw Malinoski, che prese casa sull?altopiano del Renon (lo stesso scelto per le sue vacanze da Freud) per qualche anno. Era il 17 ottobre 2006 e l?invito era partito dalla Libera università e dal Centro per la pace del Comune di Bolzano (il cui coordinatore Francesco Comina firma l?articolo in questa pagina, che, con alcune modifiche, è apparso anche su Il Trentino). Una due giorni per capire e i luoghi amati da Malinoski («Piacerebbe anche a me ritirarmi qui gli ultimi anni di vita», dirà Kapuscinski a chi lo accompagnava) e per incontrare i giovani del liceo Leonardo da Vinci e della Libera università di Bolzano. Una due giorni di dialoghi appassionati che ora la casa editrice Il Margine ci restituisce con un libro e un dvd di 45 minuti, Ho dato voce ai poveri: Dialoghi con i giovani. Ricorda Paolo Rumiz in un saggio introduttivo al libro: «Lui camminava e raccontava: ?Bach fece a piedi tutta la Germania per incontrare il suo maestro. Erodoto camminò seimila chilometri per verificare un solo dettaglio del suo racconto. Oggi nessuno fa più niente del genere. Ragazzi, avete internet, lo so. Ma mancano dei testimoni diretti del tempo?». Ecco che razza di ?spia? era Kapuscinski. E il suo ultimo libro che raccoglie i dialoghi della due giorni bolzanina è l?ennesima conferma.In questi giorni è uscito anche, da Feltrinelli, L?altro, raccolta di sue conferenze.


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