Non profit
Kafala: il Libro Bianco dei bambini respinti dall’Italia
Lo sta costruendo AiBi, dopo l'ennesimo caso di cronaca, per sbloccare i 600 passaporti fermi all'ufficio visti
Dopo il caso di Munir (il bambino egiziano orfano di entrambi i genitori accolto in kafala da una famiglia italo-egiziana residente nelle Marche, costretto a vivere in un orfanotrofio a Il Cairo perché il Consolato italiano gli ha rifiutato il visto per entrare in Italia), l’associazione AiBi sta raccogliendo molte altre storie di famiglie residenti in Italia che sono costrette a vivere separate dai loro figli.
Sempre secondo AiBi, all’ufficio visti del Ministero Affari Esteri italiano vi sarebbero in questo momento 600 richieste di visti rifiutati.
L’associazione, che da molti anni si occupa della protezione dell’infanzia abbandonata, ha deciso di portare alla luce quella che definisce “una delle violazioni dei diritti umani più atroci di cui si sta macchiando, in questo momento l’Italia: sono minori abbandonati che nei loro Paesi non hanno altra alternativa che l’abbandono, mentre in Italia potrebbero avere una famiglia”.
Il vuoto legislativo
La kafala è una forma di accoglienza che si trova a metà strada tra il nostro affidamento e l’adozione vera e propria: una coppia o anche un singolo (kafil) può prendere in affido un minore orfano o comunque privo di assistenza e mantenerlo, educarlo e istruirlo come fosse figlio fino alla maggiore età. Il bambino (makful) non prende però il nome della famiglia “affidataria” e non può aspirare a diritti successori.
Il nostro paese non ha ancora riconosciuto la kafala, anche se da molti anni se ne parla, anche per l’adozione internazionale. Il “nodo” è arrivato al pettine nel nostro paese prima di tutto per le coppie straniere residenti in Italia (e per le coppie miste) che chiedevano il ricongiungimento per i loro figliocci accolti in kafala.
L’iniziativa di AiBi
AiBi invita tutti coloro che hanno provvedimenti di kafala in corso, chi ha chiesto i visti, chi ha chiesto i ricongiungimenti familiari a scrivere e a raccontare la propria storia. “Se sarete interessati a far conoscere le vostre storie le divulgheremo, le porteremo all’attenzione dei politici, del Presidente della Repubblica Napolitano, dei giornalisti per far sì che questi bambini possano finalmente essere figli e vivere accanto alla loro famiglia in Italia”, spiegano all’associazione, che sta valutando anche la possibilità di promuovere un’azione collettiva contro lo Stato italiano.
“La battaglia per il riconoscimento della kafala é una lotta che dovrebbe essere fatta propria da ogni padre e madre, da ogni famiglia e da chiunque abbia a cuore il bene dei bambini”, ha dichiarato Marco Griffini, presidente AiBi. “La stessa Unione Europea ha intimato all’Italia di riconoscere la kafala, ma il nostro Governo si rifiuta (l’Italia è infatti in ritardo con la ratifica della Convenzione Aja del 1996 che ricomprende anche questo istituto n.d.r.). Ora e’ venuto il momento di dire “basta”: i diritti dei minori sono più’ forti dell’ottusita’ e dell’ignoranza dei burocrati dei Ministeri. Se crediamo veramente che ogni bambino abbia diritto ad una famiglia, questo e’ il momento di dimostrarlo.” ha concluso Griffini.
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