Non profit

Kabul: le amarezze di un cooperante

L'amara testimonianza di un operatore in merito ad un progetto non andato a buon fine.

di Riccardo Bonacina

Nel mondo della cooperazione internazionale (d?emergenza o di sviluppo) si cerca l?indipendenza dalle istituzioni, si cerca l?autonomia attraverso una professionalizzazione e un potenziamento della raccolta fondi. Questo sta succedendo in Italia da qualche anno. Poi dall?Italia attraverso gli operatori in Afghanistan si decide di provare a realizzare un grande sogno. Succede che si decide di fare un progetto importante. Si vuole provare a dare la possibilità di scelta a tutta quella gente che anni fa è scappata dalle proprie case. Non l?obbligo perentorio di rientrare nei loro villaggi d?origine, come alcune organizzazioni internazionali fanno. Dargli qualcosa di più. La libertà. La libertà di scegliere se tornare o meno. Succede che siamo nei primi mesi del 2005. Succede che si fanno promesse alla gente. Succede che i donatori sono d?accordo verbalmente anche se non hanno ancora firmato il finanziamento. Succede che la ong anticipa decine e decine di migliaia di euro per le attività. Succede che iniziano i corsi di vocational training, i corsi di educazione non formale. Succede che la gente spera, sogna, si fida di te. Succede che dopo oltre quattro mesi di lavoro il donatore decide che le sue priorità sono cambiate. Succede che il progetto, dopo oltre quattro mesi di implementazione, viene rigettato. Succede che crolla tutto. Succede che oggi facciamo il meeting con i nostri colleghi afghani chiedendo perdono per una responsabilità che una volta tanto non è nostra. Succede che la gente non si fiderà più di noi. Succede che la gente non arriva a comprendere i motivi ?politico-strategici? di determinate decisioni perché vorrebbe solamente avere la possibilità di portare il cibo a casa. Succede che tutto è compromesso. Succede che domani, quando andremo di nuovo nel campo di Zare Dash, a pochi chilometri da Kandahar, la gente non ci guarderà con gli occhi sognanti di sempre. Succede che la gente avrà l?ennesima conferma che la cooperazione è per gli sprechi e le promesse non mantenute. Succede che cercheremo con tutte le forze di portare avanti, da soli, almeno qualche attività. E intanto i nostri cuori e le nostre speranze, dopo tanti mesi di lavoro tra Kabul, Kandahar, Lashkar Gah, Maimana e Roma, si spezzano e alcuni di noi iniziano a pensare che forse la cooperazione andrebbe rivista non solo sulla racconta fondi ma anche nelle stanze dei bottoni. lettera firmata, email In questa lettera che ci arriva da Kabul c?è tutta l?amarezza di un cooperante impegnato da anni sui confini più difficili del pianeta. Ritengo che la sua lettura sia istruttiva per tutti, in particolare per i decisori e legislatori che discutono da tempo di una riforma della cooperazione.


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