Formazione
Kabul anno zero
Dal diritto fondamentale al cibo all'educazione, dal sistema medico alla rete stradale: fotografia di un Paese allo sfascio. Da ricostruire
di Paolo Manzo
Il compito di ricostruire un Paese devastato da 23 anni di guerra ininterrotta è immane: per l?Afghanistan il 2002 sarà davvero l?anno zero. Le infrastrutture sono inesistenti e il costo della ricostruzione è del tutto proporzionale alle dimensioni del disastro. Tutto è da fare o da rifare. Sul piano agricolo, i campi sono stati devastati dalla guerra e resi sterili da tre anni consecutivi di siccità. La rete stradale è distrutta, il sistema telefonico inesistente, le infrastrutture mediche allo sfascio, il sistema educativo da rifondare. Circa tre milioni di afghani si sono rifugiati all?estero, soprattutto in Pakistan e in Iran. Centinaia di migliaia i rifugiati interni a causa dei combattimenti. E il ritorno dei profughi pone una serie di problemi nuovi. In un Paese dove la speranza di vita alla nascita è di 44 anni, dove un bimbo su quattro muore prima dei 5 anni e dove una donna su dodici si spegne dando alla luce un figlio, una delle priorità riguarda il sistema medico.
Una siccità mai vista
Sul piano idrico la situazione non è migliore: solo il 23% della popolazione ha accesso all?acqua potabile. In quanto all?istruzione è stata lasciata in uno stato pietoso dai talebani che avevano vietato la scuola alle ragazze: solo il 38% dei maschi è scolarizzato ma il tasso crolla al 3 per le ragazze, mentre i professori sino a qualche mese fa insegnavano l?aritmetica ai loro alunni spiegando che «2 kalashnikov più 2 kalashnikov fanno 4 kalashnikov…».
Una delle domande più urgenti cui dare risposta resta tuttavia la situazione alimentare. Certo, la temuta catastrofe stile Rwanda non c?è stata: i rischi di carestia su larga scala sembrano scongiurati. La pioggia caduta in queste ultime settimane su numerose regioni del Paese lascia intravedere (forse) la fine di un periodo di siccità senza precedenti. Ma se il disastro è stato evitato, è perché la mobilitazione delle agenzie internazionali ha impedito che le cose si aggravassero ulteriormente. «Tenendo in conto la distribuzione di grano fatta prima dell?inverno, le persone dispongono di cibo per non morire di fame. Ma mancano molti componenti nutritivi essenziali quali l?olio, lo zucchero, ecc?», spiega amaro Eric Ouannes, capo missione per l?Afghanistan dell?ong francese Acf-Action contre la faim. Senza dimenticare che molte regioni continuano ad avere terribili problemi di accesso al cibo.
Marshall Plan a Kabul?
Il nord ed il nord-ovest sono le zone più colpite, soprattutto le province di Balkh, Sar-e-Pol, Samanghan, Jozjan e Ghor. Le colture irrigue sono rare (contrariamente al sud-est) e per i loro raccolti i contadini dipendono totalmente dalle piogge. Sempre nel nord-est, la provincia del Badakhshan è una delle più inaccessibili e meno evolute, mentre la provincia centrale di Hazaradjat, dove sono state distribuite 33mila tonnellate di grano, resta a rischio. Nell?agosto 2001, secondo un rapporto del Pam, il Programma alimentare mondiale, circa 3,5 milioni di afghani erano a grave rischio carestia e si stimava in 6 milioni il numero delle persone colpite, in vario modo, dalla mancanza di cibo. E l?assenza di notizie da queste zone, inaccessibili per ragioni climatiche o di sicurezza, impedisce di farsi un?idea precisa del dramma in atto. Il rapporto aggiungeva che il fabbisogno di cereali del Paese è coperto solo per metà. Nella stessa Kabul, la vita è precaria per molti. «Stimiamo che in Afghanistan tra il 30 e il 50% dei bimbi sotto i cinque anni soffra di malnutrizione cronica», spiega Adrienne Daudet, coordinatrice dei progetti dell?Acf in Afghanistan. «E a Kabul la percentuale supera il 40%». E i Paesi donatori di Tokyo devono tenere in conto anche la volontà degli afghani di essere i primi a ricostruire il loro Paese. «Vogliamo che la comunità internazionale ci aiuti», spiega il ministro per la ricostruzione e lo sviluppo, Hamid Fahrang, «ma non diventare dipendenti dall’aiuto, perché è importante utilizzare le nostre risorse». Quest?affermazione, condivisa da molti afghani, deve essere tenuta in conto da chi si sta impegnando in un?operazione quasi senza precedenti: ricostruire da zero un Paese. Ma l?anno ?uno? della ricostruzione testerà anche la capacità degli afghani di sconfiggere i propri demoni.
Ma i fondi tardano già
Vista da Kabul, la cosa più importante non riguarda tanto gli aiuti finanziari decisi a Tokio, quanto lo sblocco concreto delle somme promesse dalla comunità internazionale. Il portavoce del rappresentante delle Nazioni unite per l’Afghanistan, Ahmad Fawzi, ha annunciato a metà gennaio che, sui 20 milioni di dollari della prima tranche di fondi promessi (22,2 milioni di euro), «solo 7 milioni sono stati finora versati». Non senza suonare il primo campanello d?allarme: «Abbiamo da subito bisogno di cento milioni di dollari. Perché i tre quarti di questa somma ci permetteranno di pagare i 235mila funzionari che non ricevono il loro stipendio da sei o sette mesi. Ci sono cose urgenti di cui l’Afghanistan ha bisogno da subito, non fra cinque anni».
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