Cronache russe
Kabanov: io esule da Putin e dalla guerra
Dai media occidentali mi aspetto che utilizzino più voci russe nelle loro pubblicazioni sulla Russia. Rispettiamo tutti i politologi occidentali, gli studiosi russi e slavi, ma queste sono persone che hanno un’idea molto vaga della Russia in generale e della Russia di oggi in particolare
Elia Kabanov è un giornalista scientifico residente a Londra che scrive di scienza, istruzione, cultura e tecnologia da oltre 20 anni. Ha lavorato per il sito di informazione siberiana indipendente Taiga.info e dopo essere emigrato ha creato la newsletter in lingua inglese Hypertextual. Ha studiato alla scuola di giornalismo scientifico di Erice in Sicilia, e ha svolto uno stage a Seattle (USA). Ha tenuto conferenze su scienza, giornalismo e libertà di parola in Germania, India, Bangladesh, Uzbekistan, Bielorussia e in metà delle regioni della Russia.
Come sei finito in esilio? Perché hai lasciato la Russia?
Recentemente ho riletto il blog che ho tenevo 18-20 anni fa. A quanto pare, qualcosa nel discorso pubblico del 2005 mi ha fatto pensare che avrei dovuto lasciare la Russia entro e non oltre il 2008. Altrimenti, scrissi allora, sarà un incubo, diventerà impossibile vivere, torneranno i Gulag e non sarà più possibile uscire dal Paese. Ho dedicato anche molti post a questo, ma non mi è ancora chiaro il motivo per cui non ho seguito il mio stesso consiglio. Di conseguenza, me ne andai solo nel 2022, circa 10 giorni dopo l’inizio della guerra. Non ricordo come ho trascorso quei 10 giorni, tutto era nella nebbia. Ho scritto alcune lettere, appelli, istanze. E per me, diversi eventi sono diventati l’avvertimento finale. Blocco del sito Taiga.info, dove sono stato redattore scientifico negli ultimi quattro anni della mia carriera russa. Mi sono reso conto che se avevano raggiunto Taiga, la fine era vicina. Allo stesso tempo, è stata chiusa la leggendaria radio Echo Moskvy. Dopodiché è diventato chiaro che i giochi erano finiti. Il terzo motivo è stata la pubblicazione su Internet dei dati degli utenti di Yandex.Food (un popolare servizio di consegna di cibo in Russia), a seguito della quale i miei dati personali, il mio indirizzo di casa con nome e numero di telefono sono stati resi pubblici. Poiché a quel punto le minacce avevano già cominciato ad arrivare, ho deciso che non valeva la pena di andare volontariamente al macello e che dovevo andarmene.
Che tipo di minacce?
Mi hanno accusato di essere un “nemico del popolo”, hanno detto che non c’era posto in Russia per le persone come e che stavo cercando di screditare il presidente Putin. Tutto è iniziato a causa del deputato Andrei Lugovoi (un personaggio tristemente noto, accusato dalle forze dell’ordine britanniche di aver partecipato all’omicidio di Litvinnenko. Dopo aver organizzato l’attentato a Litvinenko, è riuscito a nascondersi in Russia, e in seguito è diventato deputato della camera bassa del parlamento federale), che ha scritto alcune sciocchezze su di me, ma di fatto ha organizzato la persecuzione, nel suo canale Telegram. I suoi sostenitori o dipendenti hanno iniziato a scrivere messaggi privati sui social network, su Twitter. Di per sé può sembrare una sciocchezza, si sa quante minacce vengono scritte sui social network. Ma combinata con altri fattori, era snervante. Proprio l’altro giorno ho presentato una denuncia alla Procura generale russa contro il deputato Lugovoi per violazione della privacy.
Raccontaci la tua esperienza di emigrazione, come la vivi? Quali problemi e difficoltà affronti? Ci sono stati problemi con la burocrazia e così via…
Ho avuto fortuna, sono stato molto privilegiato in questo senso, l’emigrazione è stata molto facile, tutti ci hanno sostenuto da tutte le parti. E abbiamo trascorso sei mesi meravigliosi a Vilnius. Vilnius era molto amichevole, molto ospitale. Ricordo tutto il popolo lituano con grande affetto. Vilnius è ancora nel mio cuore. La migliore città del mondo. Ma nell’autunno del 2022 iniziarono ad apparire segnali che la posizione degli emigranti russi in Lituania non era più tanto sicura. Le regole stavano cambiando, era difficile prevedere cosa sarebbe successo nel giro di sei mesi o un anno, così abbiamo cominciato a guardare in altre direzioni, ed è così che siamo finiti in Gran Bretagna. Dove le regole non cambiano da secoli, dove tutto è stabile, e qui, in generale, a nessuno importa se vieni dalla Russia o dal Rwanda. e le culture sono diverse. Naturalmente quando siamo arrivati ci sono stati dei problemi nella vita quotidiana, ma non direi che sia stato molto frustrante. Sì, tutto è diverso, tutto non è come siamo abituati. Bene, è normale, tutti i paesi sono diversi, tutti. E non mi sono mai illuso che sarei arrivato da qualche parte e mi sarei sentito come a casa.
Che cosa resta della libertà di parola e delle altre libertà civili in Russia? Pensi che i “rimasti”1 possano metterle in atto?
Sembra che a coloro che vivono in Russia non siano rimasti più diritti, ma sono sicuro che il futuro appartiene a queste persone, a coloro che sono rimasti nel Paese condividendo valori umanistici. Se la storia russa ci dice qualcosa, è che tutti gli eventi importanti si verificano come risultato delle azioni di quelli che sono rimasti o di quelli che sono tornati per primi. Ricordiamo tutti dove si trovava Vladimir Ilich Lenin durante entrambe le rivoluzioni russe. Per qualche motivo non era a San Pietroburgo. Tutto è stato deciso da altri, Trotsky in primo luogo, perché lui era lì. E penso che coloro che torneranno per primi, saranno quelli che decideranno. E quelli che sono rimasti, beh, certo, da un lato è dura per loro, ma dall’altro, a differenza di noi, hanno il polso della situazione, capiscono cosa sta succedendo.
Penso che se succederà qualcosa in Russia adesso, accadrà a livello interno. È improbabile che ci sia un intervento magico, e il deputato Ponomarev (ex deputato della Duma di Stato, la camera bassa del parlamento federale, secondo le sue dichiarazioni associato al Corpo dei Volontari Russi e alla Legione “Libertà della Russia”, composto da militari e volontari russi che combattono a fianco dell’Ucraina e il cui obiettivo è un violento cambio di potere in Russia) arrivi come un principe sul suo cavallo bianco. Non ci credo davvero. Penso che succederà qualcosa all’interno del Paese, ma molto probabilmente, questa sarà una protesta di natura economica.
Tu ed io ricordiamo che, probabilmente, tutte le proteste più rumorose e partecipate degli ultimi vent’anni e passa sono state proteste economiche. Innanzitutto, la “monetizzazione dei benefici”, poi l’aumento delle tariffe degli alloggi e dei servizi comunali. Ciò che colpisce il portafoglio è ciò che le persone percepiscono come una terribile ingiustizia, le costringe a scendere in piazza. E le autorità sono costrette a replicare. Perché nessuno capisce cosa fare di fronte a folle di persone scomode.
Recentemente ho avuto una discussione con i colleghi su Elvira Nabiullina (a capo della Banca Centrale Russa; è anche grazie a lei che l’economia russa fa fronte alle sanzioni occidentali senza troppe difficoltà) che la rivista “Politico” ha definito un “distruttore, una persona che rovina la vita di tutti a scapito dei loro talenti economici. Alcuni giornalisti russi indipendenti dicono che è una grande professionista, ha tenuto insieme il Paese e permette alle persone di ricevere pensioni e stipendi. Brava, brava. Ma dobbiamo capire che lei in realtà non è poi così brava. E non fa altro che prolungare la sofferenza di tutti, compresi quegli sfortunati pensionati, medici e insegnanti. Se la guerra, e con essa le sanzioni, fossero finite più velocemente, se l’esercito russo avesse lasciato l’Ucraina, allora la vita sarebbe stata migliore per la gente in Russia. E il fatto che Elvira Nabiullina prolunghi l’agonia finirà per peggiorare le cose per tutti.
A questo proposito ho una domanda. Abbiamo notato in articoli precedenti che è tornata l’ipocrisia sovietica, il “doppio pensiero” che i “rimasti” utilizzano come mezzo di sopravvivenza. Quindi, come pensi che si sentano le persone costrette ad aderire a questa strategia per sopravvivere? È chiaro che se la storia si ripete, allora si ripete come una farsa, ma tuttavia si ripete ancora.
Non mi sembra che il “doppio pensiero” sia tornato. Secondo me non se n’è mai andato. Secondo me, è una caratteristica innata del popolo russo, degli abitanti della Russia. È una forma di adattamento, immagino. Ed era lo stesso di cinque anni fa, dieci anni fa. Potrebbe semplicemente essersi manifestato in qualcos’altro. Per me, la manifestazione più sorprendente di questo doppio pensiero è l’atteggiamento dei russi nei confronti degli stranieri. Da un lato siamo molto ospitali e adoriamo quando le persone vengono da noi. D’altronde li sospettiamo sempre di qualcosa. Perché vengono qui? Cosa vogliono? Sicuramente stanno tramando qualcosa e stanno cercando di ingannarci. Sono spie, accidenti a loro! Da un lato vogliamo essere amati e dall’altro abbiamo paura di essere rifiutati. Questa è, in generale, la nostra essenza molto complessa e leggermente schizofrenica.
Sicuramente il doppio pensiero non è apparso adesso, e nemmeno l’anno scorso. È con noi almeno da decenni, se non di più. Ora le persone hanno cominciato a pensare a cosa dicono e a come lo dicono. Le persone russe con cui corrispondo nella messaggistica istantanea non chiamano la guerra una guerra, usano eufemismi. Anche se non c’è nessun altro in questa chat oltre a noi, se è una conversazione privata tra due persone. E naturalmente, quelli con cui comunico sono contro la guerra, contro il regime, contro tutto questo, ma seguono comunque alcune regole del gioco. E probabilmente, se fossi rimasto, lo avrei fatto anch’io. Non lo so. Questo è stato un altro motivo importante per partire. Non potevo immaginare di non chiamare guerra quella guerra. Beh, cioè, non si adatta alla mia testa. Non capisco come si faccia. Non posso. Non lo capivo allora e non lo capisco adesso. Come uomo della parola, come persona che si guadagna da vivere con le parole, non capisco come si possa chiamare un fenomeno con una parola che non si riferisce a quel fenomeno. La linguistica e la semiotica non possono essere abolite!
Vedi qualche possibilità di cambiamento in Russia? C’è qualche speranza per la generazione dei 18-25 anni, i cosiddetti “millennials”, che si stanno affacciando adesso alla vita e, secondo alcune ipotesi, sono la generazione in cui sperare?
Dividerei la domanda in due. Per quanto riguarda il cambiamento, sono ancora ottimista. Sono sicuro che tutto questo non durerà a lungo. Penso che la guerra finirà più tardi di quanto tu e io vorremmo, ma prima di quanto vorrebbero gli altri. È chiaro che Putin sogna una guerra che duri per sempre. Gli conviene, tutto gli va bene, può essere eletto presidente un numero illimitato di volte, ma penso che non sarà così. Non voglio fare previsioni, ma mi sembra che la guerra finirà presto
Per quanto riguarda le generazioni più giovani, ovviamente, contiamo su di loro. Ciò accade regolarmente, ogni sei-sette anni appare una generazione insoddisfatta di Putin e pronta ad abbatterlo. Questo è successo nel 2011, quando molti diciottenni erano tra coloro che protestavano contro elezioni ingiuste, questo è successo nel 2017-2018 in tutte le manifestazioni organizzate dalla squadra di Alexei Navalny, e questo sta accadendo anche adesso.
Le rivoluzioni le fanno i giovani. I pensionati non fanno la rivoluzione. E ogni nuova generazione, ovviamente, è rivoluzionaria. Vuole cambiamenti, non vuole vivere come vivevano i padri, le madri, i nonni, le nonne. E cercano di realizzare il loro potenziale giovanile attraverso vari strumenti, tra cui manifestazioni, proteste e rivoluzioni. Quando vivevo in Russia, viaggiavo spesso nelle varie regioni per tenere delle conferenze, dove incontravo molti adolescenti. Ho visto che erano molto diversi e molto ricettivi. Ad esempio, nel 2014, in una conferenza sulle sfide tecnologiche della globalizzazione, un bambino dell’ottavo o del nono anno ha detto: “Beh, stai dicendo che dobbiamo affrontare delle sfide, dei problemi, ma la Crimea è nostra!” Ma a te cosa importa della Crimea? Sei in terza media, devi, non so, dare la caccia ai corvi, tirare le trecce alle ragazze. Perché ti interessa tanto la Crimea? Di cosa stai parlando? E questo è stato, ovviamente, un campanello d’allarme sul fatto che la propaganda stava funzionando.
La libertà scolastica a cui ero abituato negli anni Novanta, quando studiavo io, si è gradualmente ridotta sotto Putin. Dall’anno scorso hanno iniziato a stringere ancora di più le viti. Mi sembra che il livello del lavaggio del cervello che c’è oggi a scuola fosse inimmaginabile anche nel periodo sovietico.
Mio padre mi ha raccontato che negli anni ’70 era un dissidente alle prime armi e in classe incoraggiava i suoi compagni a scrivere alcune lettere in difesa di Solzhenitsyn e Sakharov. Lo ha fatto e, in generale, non ci sono state conseguenze terribili: non è stato espulso da scuola, per esempio. Oggi non sono sicuro che non ci sarebbero conseguenze. Come minimo avrebbero chiamato i genitori e dato qualche punizione seria. È chiaro che tutto dipende dalla scuola, tutto dipende dagli insegnanti, ma mi sembra che il grado di follia nella scuola sia aumentato. E questo solleva molte preoccupazioni per la futura generazione.
D’altronde, ricordando com’ero a quell’età, capisco che non avrei ascoltato nessuna lezione di educazione politica. Avrei capito che se stavano cercando di infilarmi qualcosa in testa a forza, molto probabilmente non era vero. E penso che in questo modo possano al contrario creare una generazione di persone che odiano la situazione attuale e sognano che tutto finisca il prima possibile. Putin non durerà per sempre, il suo entourage è chiaramente stanco, c’è confusione e tentennamento nel Paese. L’esempio più eclatante è stata quest’estate la ribellione di Prigozhin, ma ciò avviene in formati diversi e a livelli diversi. Ricordate i pogrom antiebraici in Daghestan. C’è bisogno soltanto di una potente scintilla e il paese andrà in fiamme, come spesso è accaduto nella storia. E subito dopo la guerra finirà.
Cosa ti aspetti dall’opinione pubblica europea, dai media europei? Quale supporto pensi che possano e debbano fornire ora?
Preferirei che i media occidentali utilizzassero più voci russe nelle loro pubblicazioni sulla Russia. Rispettiamo tutti i politologi occidentali, gli studiosi russi e slavi, ma queste sono persone che hanno un’idea molto vaga della Russia in generale e della Russia di oggi in particolare.
C’è una ragazza molto famosa, una politologa molto famosa, che commenta tutto. Naturalmente, la colpa di aver portato Putin al potere è dei russi, questi mascalzoni. E l’anno scorso ha pubblicato una fotografia di se stessa mentre passeggiava per Mosca nel 2013 con un nastro di San Giorgio [Il nastro di San Giorgio era un simbolo del valore del soldato durante la Prima Guerra Mondiale. La propaganda di Putin si è appropriata di questa immagine come ricordo delle vittorie dei nostro antenati e la sfrutta attivamente fino ad oggi come simbolo patriottico]. Quindi, cosa stai facendo? Hai pensato bene? Ma che c***o c’entra il nastro di San Giorgio? Perché l’hai messo? Dal 2005, tutte le persone intelligenti hanno capito che si trattava di una finzione propagandistica che non aveva nulla a che fare con la vera memoria della Prima e della Seconda Guerra Mondiale e con il vero rispetto per i veterani. Un simbolo artificiale! Se lo metti vuol dire che non capisci proprio niente! Non sai proprio niente della Russia!
Quindi probabilmente mi piacerebbe che ci fossero un po’ meno di questi politologi e un po’ più di persone che capiscono qualcosa. Ci sono studiosi di origine russa che capiscono. Ci sono storici di origine russa che capiscono tutto. E probabilmente potrebbero spiegare le cose meglio di tutti questi slavisti e politologi.
1 [I “rimasti” sono cittadini socialmente attivi che non hanno voluto o non hanno potuto per qualche motivo emigrare. Tutta la società civile russa è oggi divisa in “coloro che sono rimasti” e “coloro che se ne sono andati”. Tra queste parti ci sono spesso battaglie verbali, in termini aspri, in cui ciascuno di questi gruppi cerca di dimostrare la propria correttezza morale. All’interno di “quelli che se ne sono andati” è emerso un piccolo sottogruppo di “camici bianchi” che tenta di condannare moralmente sia i “rimasti”, perché restando sostengono il regime di Putin, sia “quelli che se ne sono andati”, che, secondo l’opinione di questo sottogruppo, non aiutano abbastanza l’Ucraina e non si sentono abbastanza in colpa per i crimini di guerra russi in Ucraina.]
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