Cultura
Jelinek, non si spara così su un Nobel
di Elfriede Jelinek, ES, 312 pagine, 19 euro (di Andrea Leone).
di Redazione
Nonostante il Nobel ricevuto a novembre, non si può dire che Elfriede Jelinek goda di buona critica. L?hanno bollata come autrice scandalosa, immorale e fatta solo di gratuite provocazioni. Critiche che, alla prova della lettura del suo libro più noto, davvero non reggono. La forza dello stile e l?eccezionale, musicale bellezza della lingua sono la prova matematica della profonda moralità dell?autrice, che affronta temi come la pornografia e il sadomasochismo solo per affondare il coltello nel corpo putrefatto ma imbellettato e ben vestito della società contemporanea.
Se la Jelinek non raggiunge la grandezza di Bernhard, il più grande scrittore austriaco di tutti i tempi, morto troppo presto per ricevere il premio, appare comunque un?autrice degna di rispetto. Incrocio pop tra il mitico autore di Perturbamento e Ingeborg Bachmann, la Jelinek conserva del primo il senso musicale della lingua, tutto austriaco, della seconda le tematiche femministe e la critica al potere.
La pianista del titolo è una donna non più giovane che vive a Vienna con l?anziana madre: dà lezioni private di pianoforte e cerca di fuggire dalla soffocante prigione familiare frequentando locali a luci rosse e intrattenendo un rapporto sadomaso con un allievo. Il romanzo, uscito nel 1983, è celebre per essere diventato un film con Isabelle Huppert (molto meno crudo del libro). La narrazione procede più per cellule tematiche che secondo un ordine cronologico. Col suo linguaggio serrato e spietato, lo sguardo implacabilmente sarcastico, la Jelinek registra e disseziona l?inquietante teatro che ha per protagoniste la madre e la figlia, entrambe vittima e carnefice l?una dell?altra.
Il loro appartamento piccolo borghese pieno di cadaveri della memoria, è simbolo di tutta l?Austria del dopoguerra, capace di seppellire il proprio passato nazista per tornare a decantare il mito polveroso della principessa Sissi, delle Sacher torten e dei valzer di capodanno. La lucidissima Jelinek fa di quest?immagine un epitaffio, grazie a brevi frasi che colpiscono il lettore come staffilate gelide e perfette.
In primo piano la musica: ora dissonante, ora più lirica, per dire la vita irrimediabilmente perduta nel sogno morboso della perfezione. La soffocante nevrosi familiare non è che la tragica eredità degli errori del passato, e il disagio dei figli non potrà mai estinguere le colpe dei padri, né la loro devastante ipocrisia. Lo Stato è una maledizione, ma non c?è scelta: l?incubo è la storia stessa.
Andrea Leone
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