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Javier, l’anticalciatore

Niente Ferrari, veline o notti folli. Il capitano interista si svela a Vita

di Simone Stenti

È considerato una iattura dai polemisti televisivi della domenica sera.

In 15 stagioni all’Inter, mai una polemica, una dichiarazione fuori tono, un gesto antisportivo. A 36 anni, Javier Zanetti continua ad arrivare prima degli altri al campo d’allenamento di Appiano Gentile ed è l’ultimo ad andarsene. Non regala mai neanche un minimo aggancio di gossip: un atleta tutto casa-allenamento-famiglia. L’argentino è una delle ultime bandiere del calcio italiano, e sarebbe un tipo perfino noioso se nel suo ambiente tanta normalità non fosse eccezionale. Incontrarlo equivale a spazzare tutti i luoghi comuni sui calciatori di oggi. Il trionfo della normalità, nella sua accezione più rasserenante.

Lei sembra più un calciatore della generazione dei Facchetti, che non di quella dei Beckham e dei Balotelli.

Si può essere campioni senza fidanzarsi con una velina, far nottata all’Hollywood o andare a sbattere con la Ferrari?

Si può. O almeno, quando ho cominciato io si poteva. Io ho iniziato a giocare a 5 anni, e a quell’età non pensi alla Ferrari: vuoi solo divertirti correndo dietro a un pallone. Poi, crescendo, mi sono accorto che questo gioco poteva anche essere un mestiere, ma è successo tutto molto rapidamente: dal primo provino con l’Indipendiente, in un soffio mi sono ritrovato nel mezzo del mio sogno: arrivare nella prima categoria Argentina, poi in Nazionale, poi l’Italia… È lì che sono cominciati i guai: perché il difficile non è arrivarci, in serie A, ma rimanerci.

È all’Inter dal 1995, con più di 700 presenze. Anche il fatto di diventare la ?bandiera? di una squadra, oggi, è una cosa fuori dagli schemi. Perché nel calcio di oggi si è perso il gusto della fedeltà alla maglia?

Troppi interessi. Si pensa sempre che le altre squadre possano offrirti di più, anche se dove sei ti trovi bene. Io sono un caso particolare, lo so. Ma perché avrei dovuto andarmene da un club in cui sto tanto bene? Il tempo mi ha dato ragione.

Lei l’anno scorso con José Mourinho ha vinto tutto, eppure più di una volta ha ripetuto che il ?suo? allenatore è rimasto Hector Cuper. I rapporti umani vanno oltre le conquiste sportive?

Cuper mi ha insegnato lo spirito di sacrificio e la cultura del lavoro. Con lui sono cresciuto tanto. Ecco perché mi è rimasto nel cuore. Anche senza vincere.

Conta di più il talento innato o l’allenamento giorno dopo giorno?

Il mix delle due cose. Ma la costanza giorno dopo giorno è fondamentale: ho visto fin troppi ragazzi di talento non aver la testa e non arrivare da nessuna parte.

Io devo ringraziare la mia famiglia che mi ha regalato l’equilibrio interiore.

Riporto una frase di suo padre: «Un uomo per bene si distingue dai capelli e dalle scarpe».

(Ride) Sì, è vero! E io sono l’esempio di questa massima.

Be’, allora ci dica che scarpe servono, perché i suoi capelli li conosciamo tutti.

Ah, quelle le scelgo più comode possibile. Cosa faccio per i miei capelli, invece, me lo chiedono tutti, pensando a chissà quale gel usi.

Invece, mi pettino solo con acqua: i capelli sono così abituati, che si mettono in piega da soli!

Su YouTube impazzano i video in cui lei canta: addirittura, duetta con la mitica Mina. Si sta attrezzando per il dopo-calcio?

Il canto è una passione che metto al servizio della fondazione cui abbiamo dato vita io e mia moglie Paula, la Fondazione Pupi, che si occupa di programmi di aiuto all’infanzia disagiata nei quartieri più poveri di Buenos Aires e nelle aree più depresse dell’Argentina. Ho inciso dei cd il cui ricavato va ai bambini argentini che hanno più bisogno.

Come si sta attrezzando mentalmente per quando non sarà più un calciatore?

Sinceramente, quando esco dal terreno di gioco, io faccio già una vita molto normale. E quando sul terreno di gioco non ci andrò nemmeno più… penso che avrò comunque tantissime cose da fare, oltre a dedicare più tempo alla mia famiglia.

Smetterà di lavorare?

Mi piacerebbe restare legato all’Inter. Ma voglio soprattutto trovare il modo di tenere un collegamento più stretto con l’Argentina, per seguire in modo ancora più diretto i progetti della fondazione, cui tengo moltissimo. Anzi, ne approfitto per ringraziare gli italiani, perché si dimostrano ogni giorno un popolo sensibile, che ci sta aiutando tantissimo.

Italia brava gente, ma intanto si devono interrompere le partite perché si ulula ai giocatori neri…

Ma quello non è il popolo italiano, sono pochi stupidi.

Io sono arrivato qui da giovanissimo e ho trovato un Paese che mi ha subito aperto tutte le porte. Per me era una sfida, non sapevo cosa avrei trovato: ho cambiato continente e sono arrivato a Milano, una grandissima città, praticamente da solo. Se non fosse stato per le persone che ho incontrato qui, non avrei mai retto il salto.

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