Ieri è stata una giornata importante per chi si occupa di carcere. Soggetti molto importanti – della politica, della finanza, dell’economia e della socialità – hanno detto la loro su un tema di drammatica attualità, proponendo le loro analisi e, soprattutto, le loro soluzioni.
La politica ha parlato attraverso il messaggio del Presidente della Repubblica al Parlamento. Un atto straordinario che è di per sé un indicatore della rilevanza del problema. Al di là delle polemiche sorte in merito alla effettiva finalità del messaggio è utile guardare ai suoi contenuti. Scoprendo, ad esempio, sono assenti riferimenti al tema dell’inclusione attiva attraverso il lavoro e al ruolo svolto dalle cooperative sociali. E questo nonostante un capitolo del messaggio contenga un paragrafo intitolato con un promettente “innovazioni di carattere strutturale…”.
II secondo messaggio è stato lanciato da una stessa sede, quella dell’incontro organizzato da Uman Foundation e centrato soprattutto sui nuovi prodotti finanziari dedicati all’impresa sociale. Cosa c’entra il carcere è presto detto: il prototipo della nuova finanza d’impatto – il social impact bond – è stato elaborato nel Regno Unito proprio per finanziare percorsi di inclusione in ambito carcerario grazie ai quali diminuisce la recidiva e, con essa, i costi della detenzione e l’affollamento carcerario. In modo neanche troppo velato, il messaggio lanciato da quella sede proponeva di replicare il modello anche in Italia, potendo contare su numerose buone pratiche di imprenditoria sociale cooperativa che già operano da tempo nel settore e che quindi potrebbero trovare in questo strumento una risorsa ulteriore per ampliare la platea dei beneficiari e qualificare la loro azione sociale.
Quel che serve oggi è uno sforzo di convergenza che valorizzi le risorse. Se nell’agenda delle politiche non si assegna un ruolo chiaro alle iniziative di impresa sociale la finanza rischia di rimanere inutilizzata. Se la finanza non calibra i prodotti tenendo conto del sistema di vincoli e opportunità delle imprese sociali il rischio è che da esoscheletro che rafforza le iniziative d’impresa si trasformi in una pesante armatura medioevale. Se le imprese non riescono a rafforzare la loro azione di inclusione e le reti di vendita dei beni e servizi il rischio è che rimangano in una nicchia con in più le tensioni gestionali legate al fatto di operare in un contesto da molti punti di vista complicato. Insomma, per farla breve, occorre invertire il circuito.
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