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Jahier: «Non dimentichiamo milioni di profughi la loro salute è la nostra salute»

Luca Jahier, Presidente del Comitato economico e sociale europeo: «Non possiamo dimenticare i 12 milioni di bambini rifugiati e 70 milioni di persone costrette ad abbandonare le loro abitazioni. Di fronte alla pandemia sisteniamo gli sforzi delle Agenzie come Unhcr e Oim»

di Luca Jahier

Se oggi nelle nostre case abbiamo paura di essere contagiati, di perdere i nostri cari, di perdere il lavoro e di sentirci confinati nelle nostre libertà, mi domando come deve sentirsi chi sta nei campi profughi, in Europa e fuori dall’Europa.

Un mese fa mi trovavo a Cipro, dove ho potuto constatare che il paese sta vivendo una inedita pressione di profughi di ogni provenienza che, sbarcati dalle autorità turche nel nord nell’isola, passano la green zone ed entrano illegalmente nella Repubblica di Cipro, portando il rapporto tra profughi e cittadini ciprioti al livello più alto d’Europa.

Il 5 e 6 marzo scorsi ero poi ad Atene, a seguito all’esplodere della crisi sulla frontiera greco-turca e alle vere e proprie rivolte della popolazione a Lesbos e in altre isole del mar Egeo, esasperate dalla crescente pressione migratoria e malgrado i lodevoli sforzi del governo greco di ricollocare in altre province greche parte dei profughi li sbarcati dalla Turchia e di costruire ricoveri che garantissero condizioni più decenti per questi disperati. In quei giorni la questione della protezione delle frontiere esterne, delle muove ondate migratorie, talora manovrate ad arte come arma geopolitica non convenzionale, e la necessità di accelerare il Patto europeo per le Migrazioni e l’Asilo erano al centro dell’Agenda europea. Nel giro di due settimane tutto questo è semplicemente scomparso.

Ma le condizioni inaccettabili dei tanti e impossibili limbo in cui si trovano milioni di persone, ammassati alle frontiere esterne dell’UE, ovvero nei campi di raccolta ai due lati di tali frontiere, le condizioni disumane in cui si trovano centinaia di migliaia di persone, spesso anziani, donne, bambini, ammalati forzati in ricoveri di fortuna, con minimo accesso ad una adeguata protezione sanitaria non possono semplicemente essere dimenticate. Cosa accadrà quando la pandemia del COVID-19 li travolgerà o forse li ha già travolti e nessuno se ne cura. Li si metterà tutti al confino forzato, creando cordoni sanitari e abbandonandoli a sé stessi e a quei pochi operatori umanitari e delle organizzazioni internazionali che, a fatica, si prodigano in mezzo a maree di disperazione?

Io debbo esprimere il mio più vivo apprezzamento per l’iniziativa già assunta dalla Commissione europea, che ha garantito ai governi di Cipro, Grecia, Italia e Malta che per l’UE la salute dei richiedenti asilo e dei migranti che si trovano nei campi sul territorio dell’UE devono essere assolutamente protetti e che, anche in tempi di crisi, applicare i valori europei è persino più cruciale. Bene, avanti cosi!

Ma e tutti gli altri? Oltre 12 milioni di bambini rifugiati e 70 milioni di persone costrette ad abbandonare le loro abitazioni si trovano oggi, in molti casi, in condizioni di sovraffollamento ben oltre il limite, con un accesso minimo o inesistente all’assistenza sanitaria. I bambini sono già molto esposti alle malattie da contagio per la scarsa assistenza sanitaria, la mancanza di acqua pulita e di igiene. Lavarsi sovente le mani col sapone o altri disinfettanti, mantenere la distanza sociale o l’autoisolamento sono misure semplicemente impossibili nei campi profughi sovraffollati.

In Siria, aIdlib, quasi 1 milione di persone sono state costrette a sfollare in condizioni inumane in campi cresciuti a dismisura. In Bangladesh, a Cox’s Bazar, dove vive 1 milione di rifugiati Rohingya (la metà sono bambini), non esiste al momento alcun sistema di screening o test per il Covid-19 e non ci sono unità di terapia intensiva. Lo stesso si può dire per lo Yemen o il Venezuela, dove la gran parte degli ospedali è andata distrutta e i sistemi sanitari pure.Nell’Africa sub-sahariana, che ospita più di un quarto dei rifugiati nel mondo e ha la più bassa percentuale in assoluto di medici per persona, 0,2 ogni 1.000 persone, le conferme di casi di Covid-19 si stanno moltiplicando nella maggior parte dei Paesi. La più grande concentrazione di profughi in Africasi concentra nell’est del continente e proviene in particolare del Sud Sudan. Oltre 2,2 milioni di persone sono state forzare a lasciare il paese ed oltre l’83% sono donne e bambini. Altri due milioni sono tutt’ora sfollati nello stesso Sudan. A questo proposito non posso non ricordare la distesa dei campi profughi nelle province ad est dell’Etiopia, dove mi sono recato nello scorso mese di giugno.

Al di là delle evidenti tragiche conseguenze per i profughi, l’esplosione di nuovi consistenti focolai di pandemie alle frontiere dell’Europa potrebbe largamente compromettere gli sforzi di contenimento, che già interessano oltre un miliardo di persone nel mondo. Su questo fronte, molti governi sono lasciati soli, così le organizzazioni umanitarie e l’UNHCR e l’OIM. Pochi giorni fa, l’Alto Commissario UNHCR Filippo Grandi ha lanciato un appello urgente ai governi per uno stanziamento di 33 milioni di $ per provvedere kit igienici, maschere protettive, risanamento delle acque ad uso umano e formazione per gli operatori sanitari, al fine di aumentare la protezione dei profughi nei confronti del COVID-19. Non lasciamo che tale appello resti inascoltato e facciamone una priorità delle decisioni urgenti di questi giorni.

La loro salute è parte della nostra salute, siamo una unica umanità, e mai come oggi, il coronavirus –che non conosce razze o frontiere –ce lo conferma.

Recentemente, a Cipro ho incontrato in un centro di protezione per famiglie di migranti una bimba di nome Treasure, Tesoro. Io mi auguro che Treasurevenga protetta come i miei figli e possa avere il futuro che le spetta, come ad ogni essere umano.

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