Fisco

Iva al Terzo settore: cancelliamo la tassa sulla socialità che affossa gli enti e non serve allo Stato

Arci a Acli promuovono a Roma un incontro per presentare alla politica e all'opinione pubblica una proposta per ripristinare l'esenzione Iva per il Terzo settore in linea con le indicazioni emerse a livello europeo dopo il via libera della Commissione Ue al pacchetto fiscale della riforma del Terzo settore. L'intervento dei presidente nazionali Emiliano Manfredonia (Acli) e Walter Massa (Arci)

di Emiliano Manfredonia e Walter Massa

Pubblichiamo il contributo firmato dai presidente nazionali di Arci, Walter Massa e Acli, Emiliano Manfredonia che gli abbonati hanno già potuto leggere sul numero di VITA magazine di marzo “Provate a fare senza- Viaggio distopico in un mondo senza Terzo settore”. Le due associazioni martedì a Roma promuovono un incontro (“Aggiungiamo valore, non Iva”) per presentare alla politica e all’opinione pubblica una proposta per ripristinare l’esenzione Iva per il Terzo settore in linea con le indicazioni emerse a livello europeo dopo il via libera della Commissione Ue al pacchetto fiscale della riforma del Terzo settore.

Con la campagna “No vendita, No Iva” promossa dal Forum del Terzo Settore si è detto chiaramente perché l’obbligo Iva sulle attività associative, che entrerà in vigore anche per le associazioni del Terzo settore dal primo gennaio 2026, non rappresenta solo un pesante aggravio burocratico, ma di fatto un attacco alla libertà di associazione.

Le nostre associazioni sono sempre più impegnate a fianco di tante situazioni di povertà e oppressione, a cominciare da chi fugge verso il nostro Paese scappando da guerre e persecuzioni. La solidarietà verso chi sta peggio o è discriminato s’intreccia e si costruisce quotidianamente nel territorio insieme a un’ampia opera di solidarietà tra persone, di promozione sociale, una tessitura diffusa e feriale di relazioni e di impegno sociale e culturale realizzata da tante persone e famiglie in tantissimi paesi e quartieri della nostra società. Famiglie che acquistano insieme per spendere meno, meglio e in modo solidale; paesi e quartieri che se hanno ancora un minimo di festa patronale o di attività ricreative e culturali che mantengono un tessuto di comunità lo devono all’impegno di volontari che si mettono insieme; anziani non autosufficienti e caregiver (qui la presentazione del numero di VITA magazine di aprile dedicato proprio ai caregiver) che si trovano una volta ogni due settimane per essere aiutati a rifiatare e a incontrare qualcuno fuori dalle mura di casa; appassionati di teatro o musica,  genitori che allestiscono uno spettacolo coi propri figli; oratori, scout, associazioni giovanili che sono riferimenti educativi preziosi con attività di animazione e campi estivi; gruppi di sportivi che organizzano gare popolari o semplicemente si trovano per ballare, per correre insieme… E tantissimo altro.

Un’opera di socialità e di cultura popolare radicata nel nostro Paese grazie all’associazionismo del Terzo settore e ai suoi soci, un fare comunità spesso invisibile perché scontato, che rappresenta buona parte dei vasi capillari del nostro essere una società civile. Capillari senza i quali il tessuto civile va in necrosi perché lascia spazio alla solitudine di tante persone e all’anomia di tanti luoghi. Sono migliaia, per non dire centinaia di migliaia, le esperienze che attorno a ogni cittadino di questo Paese animano il nostro essere comunità, il concreto e fisico, non solo virtuale, sentirsi parte di una comunità, il respirare intorno a noi un tessuto di relazioni, incontri, significati, e non isolarsi in se stessi e nelle proprie case.

Su tutto ciò cala come un bastone il combinato disposto di norme europee vecchie che ritengono che ciò che non è Stato sia automaticamente Mercato, e della politica italiana più attenta a difendere gli interessi di tante rendite di posizione che non a risolvere con poche righe, e senza andare contro la direttiva europea (come si potrebbe fare), una vicenda profondamente ingiusta. Non si vuole riconoscere la distintività di fondo di queste attività di impegno civico che non vendono servizi (e come tali non c’entrano nulla con l’Iva), ma condividono le spese tra persone perché quella è l’unica e la più sensata modalità per realizzarle.  Non escludere le associazioni di Terzo settore dall’Iva è una scelta che innanzitutto offende migliaia di persone e di associazioni di Terzo settore, perché equivale a riconoscere che per tanti anni tutte queste realtà di impegno erano in realtà attività economiche che violavano le regole. Tanto più che le casse pubbliche non ci guadagnerebbero nulla.  Ipocrita esaltare il Terzo settore e fare piani europei sull’economia sociale se poi si fa passare per “truffaldine” migliaia di esperienze di cittadinanza attiva. In questi anni abbiamo riportato al centro del dibattito temi quali il non profit, il ruolo dei corpi intermedi, il tempo libero, la partecipazione e la cittadinanza attiva; abbiamo rimesso al posto che merita la socialità come elemento democratico. Ne è una riprova la crescita di adesioni singole e collettive alle nostre organizzazioni. 

Nella foto di apertura: Il viceministro all’Economia e alle Finanze Maurizio Leo (Ag. Sintesi)

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