Immigrazione

Ius soli e ius culturae: il Governo non li vuole, ma gli italiani sì

Il 72,5% degli italiani è favorevole al conferimento della cittadinanza ai minori nati in Italia da genitori stranieri e il 76,8% è favorevole alla concessione della cittadinanza agli stranieri arrivati in Italia prima dei 12 anni che abbiano frequentato un percorso formativo nel nostro Paese. E allora perché il Governo rimane fermo? «In Italia abbiamo un problema di emigrazione, non di immigrazione», spiega Maurizio Ambrosini, ordinario di Sociologia dell'Università di Milano. «Vedere giovani nati in Italia, cresciuti in Italia, scolarizzati in Italia, li rende appunto italiani di fatto. Quindi la cittadinanza è il riconoscimento di un processo già avvenuto»

di Anna Spena

La 57esima edizione del rapporto del Censis scatta una fotografia inquietante per l’Italia. Una fotografia che ha al centro il peso del calo demografico (nel 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti e la flessione demografica sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni e di un aumento di 4,6 milioni di over 65). Il nostro Paese continua ad essere un “Paese in fuga”, un Paese di emigrazione più che di immigrazione.

E infatti sono più di 5,9 milioni gli italiani attualmente residenti all’estero, pari al 10,1% dei residenti in Italia. Sono invece 5 milioni gli stranieri residenti in Italia, quindi l’8,6% dei residenti totali. “Gli italiani che si sono stabiliti all’estero”, come si legge nel rapporto, “sono aumentati del 36,7% negli ultimi dieci anni (ovvero quasi 1,6 milioni in più). A caratterizzare i flussi centrifughi più recenti è l’aumento significativo della componente giovanile. Nell’ultimo anno gli espatriati sono stati 82.014, di cui il 44,0% tra 18 e 34 anni (36.125 giovani). Con i minori al seguito delle loro famiglie (13.447) si sfiorano le 50mila unità: il 60,4% di tutti gli espatriati nell’ultimo anno”. Eppure a fare “rumore” sono quelli che arrivano.

Perchè? «Quelli che partono non li vediamo», spiega Maurizio Ambrosini, ordinario di Sociologia dell’Università di Milano. «Partono senza fare rumore, senza diventare un problema politico, né sfruttabile elettoralmente. Invece chi arriva, soprattutto chi arriva dal mare, quindi gli sbarchi, sono diventati l’oggetto della polemica degli ultimi anni. Nel 2023, fino ad ora, sono sbarcate sulle coste italiane circa 150mila persone, su oltre 5 milioni di residenti di origine straniera, quindi una piccola componente. Una componente molto visibile, traumatizzata, che si presta ad una speculazione di tipo politico ed elettorale. Il problema vero è la sfruttabilità del tema immigrazione, rispetto a quello dell’emigrazione, per alimentare la macchina della paura». 

Ci sono altri due dati del rapporto legati al tema immigrazione dove visione politica e visione della società non corrispondono. In merito al riconoscimento della cittadinanza italiana ai minori stranieri, il 72,5% degli italiani si dice favorevole alla introduzione dello ius soli, ovvero la cittadinanza per i minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmente presenti, e il 76,8% si esprime a favore dello ius culturae, ovvero della concessione della cittadinanza agli stranieri nati in Italia o arrivati in Italia prima dei 12 anni che abbiano frequentato un percorso formativo nel nostro Paese.

«È un dato alto», spiega Ambrosini. «E credo che le questioni debbano essere poste nel modo giusto all’opinione pubblica. Vedere giovani nati in Italia, cresciuti in Italia, scolarizzati in Italia, li rende appunto italiani di fatto. Quindi la cittadinanza è il riconoscimento di un processo già avvenuto. Quando però ci avviciniamo alle scadenze elettorali anche questo tema viene strumentalizzato, e l’obiezione viene sollevata con un certo successo. La macchina della paura si mette in moto: “abbiamo tanti sbarchi, perché dare anche la cittadinanza”. E quindi lo ius soli e ius culturae non passano mai». Dobbiamo cambiare narrazione: «Ma», spiega Ambrosini, «cambiare narrazione è complicato perché è proprio sulla narrazione che si gioca la partita, non sui fatti, ma sulle percezioni. Ogni volta che presento i dati sull’immigrazione – e che spiego che l’immigrazione in Italia è stazionaria da una dozzina d’anni – che gli immigrati in Italia sono in maggioranza donne, per quasi la metà sono europei, per 2/3 vengono da Paesi di tradizione culturale cristiana, quando spiego che i rifugiati e richiedenti asilo sono- sì e no – 400mila, i miei ascoltatori rimangono stupefatti».


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«Le orecchie dell’opinione pubblica», continua Ambrosini, «sono disattente, mentre sono più catturate dal rumore delle narrazioni ansiogene, traumatizzanti. Io credo che bisognerebbe distinguere meglio diversi tipi e categorie di immigrati e farci delle domande più precise».

Quali? «Se noi diciamo», spiega Ambrosini, «”volete gli immigrati oppure no?”, secondo me ci mettiamo in una prospettiva sfavorevole o comunque che agevola la confusione. Chiediamo invece: “vogliamo gli infermieri e le infermiere e i medici che in Italia mancano? Volete o no gli assistenti familiari? Volete i ricongiungimenti familiari o preferite che gli immigrati rimangano soli, sbandati, infelici e problematici?” Ecco, se ci facciamo delle domande più precise, credo che avremo delle risposte migliori». 

Foto Piero Cruciatti / LaPresse

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