Mondo
Italiani nel mondo, fotografia di un Paese all’estero
Sono uomini (56,0%), celibi (59,1%), tra i 18-34 anni (35,8%), partiti soprattutto dal Nord Italia per trasferirsi in Europa. È questa la foto dell’emigrazione italiana nel 2015 secondo i dati del decimo Rapporto Italiani nel mondo, curato dalla Fondazione Migrantes.
Sono uomini (56,0%), celibi (59,1%), tra i 18-34 anni (35,8%), partiti soprattutto dal Nord Italia per trasferirsi in Europa. È questa la foto dell’emigrazione italiana nel 2015 secondo i dati del decimo Rapporto Italiani nel mondo, curato dalla Fondazione Migrantes.
Lo scorso anno oltre 100mila connazionali hanno lasciato l’Italia nella speranza di trovare oltre confine un lavoro. A partire, però, non sono soltanto i giovani. Secondo il rapporto, partano i lavoratori, le famiglie e persino gli anziani. Gli over 65 sono 922.545, ovvero il 19,9% del totale. Di questi, 445.672 hanno meno di 75 anni (48,3%), 317.779 hanno tra i 75 e gli 84 anni (34,4%) e 159.094 hanno più di 85 anni (17,3%). La Francia è il paese che accoglie la più numerosa comunità di cittadini italiani anziani. La maggior parte degli over65 iscritti all’AIRE, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, è calabrese di origine, proviene dalla provincia di Cosenza, e risiede in America latina.
All’estero risiedono circa 5 milioni di italiani (con una crescita del +49,3% in 10 anni), che continuano a provenire dal Sud anche se le percentuali di provenienza da queste regioni stanno calando a favore di quelle settentrionali. Infatti, Lombardia e Veneto sono le regioni dove è stata registrata una maggiore dinamicità.
Gli italiani risiedono all’estero per espatrio (2.443.126) e per nascita (1.818.158). Più della metà dei cittadini italiani iscritti all’AIRE risiede in Europa (53,9%) e in America (40,3%). Il 51,4% proviene dal Sud (1.560.542) e dalle Isole (822.810), il 33,2% è partito dal Settentrione (Nord Ovest 772.620 e Nord Est 766.900), il 15,4% dal Centro (713.775).
Il Friuli Venezia Giulia è l’unica regione che ha più donne residenti all’estero che uomini (1.134 unità di differenza), anche perché in tutte le province friulane la presenza femminile supera quella maschile. Seguono le province di Macerata, Cuneo, Fermo e Alessandria.
«Le prime cose da fare per integrarsi – racconta Enza, poco più che trentenne, che da qualche anno vive e lavora a Melbourne – sono sicuramente iscriversi ad un corso legato ai propri interessi, partecipare a eventi culturali o sportivi, viaggiare e scoprire meglio il posto in cui si vive, parlare con le persone del posto e provenienti da altri paesi ogniqualvolta si ha la possibilità».
Uno dei primi punti di contatto per chi arriva all’estero sono le associazioni della comunità italiana. «A Melbourne – racconta ancora Enza – c’è il CO.AS.IT, che offre assistenza agli italiani e agli italo-australiani, l'Istituto Italiano di cultura, diversi club regionali, gruppi Facebook dedicati ai nuovi arrivati che possono fare domande e chiedere supporto. C'è anche il NOMIT, uno sportello presso il consolato italiano gestito da giovani per dare supporto ai nuovi italiani arrivati in Australia». Qui c'è anche un'emittente radio pubblica nazionale che ha un programma in lingua italiana, SBS Radio, per seguire notizie dall'Italia e australiane.
Interessante il dato del rapporto Migrantes che riguarda i minori: sono 706.683, ovvero il 15,2% del totale. Tra i numerosi dati del Rapporto colpisce la forte crescita degli studenti italiani che scelgono di partire per un periodo di studio all’estero. Nel periodo 2014-2015 sono stati 1.800 i ragazzi partiti con Intercultura. Anche tra i laureati, il fenomeno dell’emigrazione per ragioni lavorative è tendenzialmente in crescita negli ultimi anni.
«L’anno scorso – ha commentato monsignor Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes – sono arrivati in Italia 33mila lavoratori e sono partiti all’estero 101mila italiani. Significa che ad un lavoratore che arriva, corrispondono 3 italiani che se ne vanno. Questa è la vera crisi del nostro Paese. Non riprendere questo dato significa non leggere politicamente e culturalmente la nostra situazione e, quindi, non costruire politiche familiari, lavorative e scolastiche che sappiano leggere questa realtà».
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