Cultura

Italiani in cattedra in via Quaranta

Non c'erano solo prof arabi nella discussa scuola milanese. Sono insegnanti, volontari, mediatori. Hanno lavorato per l'integrazione e insegnato l'italiano ai ragazzi

di Carmen Morrone

Non ci sono solo arabi in via Quaranta. Nell?arco di questi 15 anni di vita della scuola sono stati molti gli italiani, laici e cattolici, che hanno varcato quotidianamente il portone del civico 54 per insegnare e fare mediazione culturale. E ha sorpreso la loro assenza alla protesta inscenata nei giorni scorsi con le lezioni sul marciapiede. «Stanno cercando di capire» «Il preside Alì Sharif, che è il mio capo, si era opposto alla manifestazione», dice Iolanda Cantafio, di Milano, coordinatrice didattica della scuola di via Quaranta. Dal 1999 la Cantafio insegna italiano, storia e geografia nelle classi elementari del centro arabo. Laureata al Cairo in lingue, ha vissuto 22 anni in Egitto insegnando francese, inglese e italiano. «Mi sono trasferita in Italia nel 1987 con mio marito, che voleva aprire a Milano una scuola privata per gli immigrati egiziani. Purtroppo una malattia gli ha impedito di realizzare questo sogno. Qualche tempo dopo la sua morte venni a conoscenza della scuola di via Quaranta che mi accettò come insegnante d?italiano». Anche Lidia Acerboni non ha partecipato alle lezioni sul marciapiede. Ma in via Quaranta, nei giorni caldi della protesta, c?era: con altri insegnanti e il preside Sharif era in riunione. «I sit in sono il risultato di una situazione in cui i genitori si sono trovati coinvolti improvvisamente. Loro erano pronti a mandare i figli a scuola, e invece se la sono vista chiudere. Stanno cercando di capire, tutto è avvenuto troppo velocemente». La Acerboni, insegnante d?italiano in pensione e ricercatrice del Cesim – Centro innovazione e sperimentazione innovativa di Milano, ha coordinato da volontaria il gruppo di professori che ha portato 14 ragazze di via Quaranta all?esame di idoneità per l?iscrizione alle scuole superiori. Come ha fatto a convincere le famiglie? «Loro apprezzano la scuola italiana, ma avevano paura di mandare le figlie alla scuola pubblica insieme agli altri. Ma questa diffidenza è caduta dopo un anno di graduale frequenza di un centro di formazione regionale. Poi hanno capito che la strada della scuola statale era migliore rispetto all?istruzione privata con gli esami finali ogni anno». Una questione di risorse A quanto pare, però, durante l?ultima emergenza nessuno dei genitori di via Quaranta si è rivolto allo sportello informativo del provveditorato. «Non ancora», corregge Lidia Acerboni. «Non hanno ancora consapevolezza dell?offerta fatta dalle istituzioni scolastiche. Noi ci abbiamo impiegato due anni a creare un clima di fiducia con le famiglie». Carlo Giunipero è stato a capo di un progetto interculturale dell?Ufficio scolastico regionale e dell?università Cattolica di Milano, che nell?anno 2003-2004 attivò dei laboratori di italiano per gli alunni delle scuole pubbliche che parlavano solo arabo. Racconta: «Erano le insegnanti a segnalare i bambini che ne avevano bisogno. E proprio da via Quaranta abbiamo avuto un centinaio di iscrizioni». Così un quarto dei bambini di via Quaranta due volte la settimana andava a lezione di alfabetizzazione italiana nelle scuole del quartiere. Ma a settembre 2004 i corsi non sono ripresi: «Con il centro arabo di via Quaranta, perché si richiedeva una maggiore collaborazione nei programmi d?inserimento degli alunni nelle scuole pubbliche. Per le altre scuole, invece, è stata una questione di risorse».


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