Mondo

Italiani brava gente. Oppure no?

Il boom delle adozioni a distanza. Trionfo del buonismo o tanta ipocrisia?

di Gabriella Meroni

Più di duemila miliardi l?anno. Duecento miliardi al mese. Quattro milioni di persone coinvolte. Sono queste le cifre, impressionanti, dell?adozione a distanza in Italia, una forma di solidarietà che ultimamente, secondo l?Associazione amici dei bambini, ha vissuto un vero e proprio boom. Un flusso costante di denaro che gli italiani spediscono in regioni lontane, facendo impallidire, tra l?altro, il contributo che il nostro governo destina ogni anno alla cooperazione bilaterale: nel 1996, appena 450 miliardi. Neanche 10 Ronaldo. Italiani brava gente, dunque. Cos?altro si potrebbe pensare, infatti, di un popolo che (con tutti i problemi che abbiamo…) supera di 4 volte, con iniziative libere e private, il ministero degli Esteri quanto a aiuti umanitari? Il panorama, però, potrebbe anche non essere così roseo. È l?avvertimento che l?Ai. Bi. uno degli principali enti italiani ad occuparsi di adozione e sostegno a distanza, ha lanciato nei giorni scorsi durante un convegno sul tema. «Il sostegno a distanza così com?è non basta», ha affermato il presidente Marco Griffini, «se i donatori non diventano veicoli di solidarietà e protagonisti della cooperazione tra i popoli». Cioè: non solo adozione a distanza di un singolo bambino, ma aiuto esteso anche alla comunità in cui è inserito, per incamminarla verso un progresso compatibile. Ecco l?esigenza di far compiere un salto di qualità a un gesto che forse da troppi è vissuto come un semplice ?scaricarsi la coscienza? tramite un comodo bollettino postale. Perché se è vero che molti donatori sono consapevoli di ciò che fanno, esiste anche il rischio che alcuni ricorrano a questa forma di solidarietà per potersi sentire ipocritamente ?a posto?, senza più cercare altre forme di impegno nei confronti di chi soffre.

«Il problema esiste senz?altro» conferma Marco Nikiforos, di Assefa (telefono 0184/501459). «Ma il banco di prova per tutti è la fedeltà: chi si stanca presto evidentemente cercava solo una scappatoia dal quieto vivere. L?impegno che noi richiediamo è di 5 anni e posso assicurare che chi arriva fino in fondo capisce il valore di quello che fa, anche se la cifra versata è modesta». Per mantenere agli studi (o anche semplicemente in vita) un piccolo bisognoso, infatti, non occorre essere milionari. Spesso il contributo richiesto è di poche decine di migliaia di lire al mese, raramente sfiora le centomila. Eppure c?è anche chi, arrivato all?adozione sull?onda emotiva, dopo poco tempo rinuncia. E non certo per motivi economici. «Ogni volta che pubblichiamo un appello su un giornale, specialmente sui periodici femminili, siamo sommersi dalle richieste di informazioni» testimonia Nazareno Pampado di Reach Italia.«Spesso però i tempi tecnici necessari a inviare il materiale informativo bastano a scoraggiare il potenziale donatore. Per questo preferiamo poche adesioni, ma convinte».

Ma l?ipocrisia può prendere anche altre forme, come una sorta di ?scambio di favori? tra l?Italia e i Paesi poveri. «Molti credono di farsi una specie di ?amico di penna? lontano» dice Tiziana Fattori di Azione Aiuto (telefono 02/72577), omologa italiana della britannica Actionaid, una delle organizzazioni più note del mondo. «O addirittura utilizzano il bambino africano e le sue sofferenze per ?educare? il loro figlio italiano, ipernutrito e iperviziato». Il sostegno a distanza, invece, è cosa ben più seria. E se fatto con coscienza, diventa anche molto impegnativo. Ma è un impegno che dà i suoi frutti, che paradossalmente possono risultare più sorprendenti per chi dà che per chi riceve aiuto. Molte associazioni, infatti, offrono la possibilità agli adottanti di visitare le popolazioni destinatarie di contributi, per conoscere direttamente il bambino beneficiato, ma anche la sua realtà, e comprenderne i problemi. Grazia Diotallevi, un?impiegata romana di 30 anni, ha adottato a distanza Jovita, una bimba ugandese di 7 anni. Con cinque colleghe ha versato per un anno 10 mila lire al mese. Praticamente niente, nel suo bilancio di single. Poi a Grazia è venuta un?idea: perché non unirsi ai volontari di Italia Solidale, l?organizzazione tramite cui aveva iniziato il sostegno, nel loro viaggio in Uganda? «È stata un?esperienza fantastica» racconta oggi Grazia. «Ho capito che tutte le mie buone intenzioni, i miei pensieri solidali erano diventati aiuto concreto per una ragazzina vera, per un?altra vita. Il mio rapporto con lei è unico: non la sento figlia mia – tra l?altro non ho mai pensato alla maternità -, non ho desiderato neppure per un attimo di portarla via con me. Anzi, voglio che continui a vivere nel suo ambiente. Ma sono così entusiasta della mia esperienza che ho deciso di raccontarla in un volantino, che distribuirò tra i miei colleghi, perché anche loro possano iniziare altre adozioni a distanza. E sentirsi più felici, proprio come me».

Le cifre clamorose dell?adozione a distanza

4 milioni i bambini adottati a distanza dai cittadini italiani
3 milioni gli italiani impegnati in progetti di sostegno a distanza
50 mila lire il contributo medio mensile versato
200 miliardi la somma spesa ogni mese per il sostegno a distanza
2.400 miliardi la somma annuale che i cittadini italiani spediscono ai paesi in via di sviluppo
450 miliardi somma stanziata dal governo italiano per la cooperazione internazionale bilaterale

L’opinione/1
Spiccioli di bontà

Ricordo che la prima operazione di adozione a distanza fu quella organizzata dall?Agesci per i ragazzi palestinesi, chiamata ?ragazzi dell?olivo?. Si disse allora giustamente – nel pieno della guerra tra Palestina e Israele – che quello era l?unico modo di aiutare dei ragazzi che altrimenti non si sarebbero potuti contattare. Oggi le adozioni a distanza si sono moltiplicate, forse troppo. Sono un modo di impegno o disimpegno? È presto detto. L?adozione a distanza è un ?piccolo gesto? che non travalica l?impegno di qualche centinaia di mila lire, cioè parte del nostro superfluo. Perciò ha valore se è all?interno di grandi gesti: mentalità, cultura, senso della giustizia, attenzione ai grandi problemi del mondo. Se è espressione di questo ?interesse? è certamente positivo. In caso contrario è solo un gesto di generosità che perde molto del suo significato. Nelle campagne di adozioni a distanza si mantengono stretti i legami tra l?adozione e la conoscenza del mondo che si intende aiutare: è un modo per mantenere viva l?attenzione ai ?privilegi? del primo mondo, conoscere le cause di povertà, affrontare le ingiustizie delle disuguaglianze. Così riusciamo a dare senso a un piccolo gesto, parte di un grande impegno.
di V. Albanesi

L’opinione/2
Grande risorsa

In tante parti del mondo così come nel nostro Paese i bambini sono vittime di abusi, di violenze, di abbandoni da parte della società degli adulti che prende coscienza di questa devastante realtà soltanto di fronte a casi emotivamente coinvolgenti. Le risposte alla sofferenza di tanti bambini abusati restano, se attivate, temporanee e parziali, come se la cura di un soggetto in età evolutiva non rappresentasse un impegno della nostra società. Dopo epoche in cui i bambini vittime di violenze e di abbandono alimentavano il mercato degli istituti e delle adozioni illegali le risposte alla sofferenza dell?infanzia tendono a diventare più trasparenti. L?adozione a distanza rappresenta una strada possibile, anche se non basta più l?impegno economico di chi ritiene di ?far del bene? con un versamento periodico, ma è sempre più necessaria una sua partecipazione al progetto complessivo che sostiene, anche per evitare di investire solo sull?immagine di un singolo bambino che resterebbe distaccata dalla realtà. Se l?adozione a distanza rappresenta una importante risorsa, sarebbe molto importante che il passo successivo fosse un aiuto concreto per l?infanzia che soffre anche nella nostra città o nel nostro quartiere.
di E.Caffo

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.