Economia
Italia, un autunno caldo con 10 milioni di poveri
Il focus Censis-Confcooperative “Un Paese da ricucire”, che questo pomeriggio sarà presentato ad Assisi nel corso di un incontro con i rappresentanti della Conferenza episcopale italiana, mostra numeri che sono lo specchio impietoso di una società dove le diseguaglianze aumentano in maniera vertiginosa. I giovani sono i più colpiti dalla crisi occupazionale
di Redazione
L’Italia conta poco meno di due milioni di famiglie che vivono in povertà assoluta, 10 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà (tra assoluta e relativa), circa 2,7 milioni di disoccupati e 3,3 milioni di Neet. Dati eloquenti che la Confcooperative illustrerà questo pomeriggio ad Assisi, nel corso di un incontro con i massimi rappresentanti della Conferenza episcopale italiana. Dal focus Censis-Confcooperative “Un Paese da ricucire” emergono numeri che sono lo specchio di una società dove le diseguaglianze aumentano e ribadiscono la necessità di rimettere la persona al centro del modello di crescita.
«Il disagio sociale – commenta Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative – supera i confini della povertà conquistando nuovi spazi, mietendo nuove vittime tra coloro che fino a oggi pensavano di esserne al riparo. Undici famiglie su cento hanno una spesa per consumi sotto la soglia di povertà. Almeno 300mila imprese rischiano di crollare sotto il peso di oltre 300 miliardi di debiti, rischiando di far ingrossare le file della povertà con pesanti contraccolpi per l’occupazione di circa 3 milioni di persone. Si preannuncia un autunno caldo a cui dare risposte».
Il quadro emergenziale è fotografato non solo dalla povertà delle famiglie, ma anche dal lavoro povero e dal lavoro nero, oltre che dalle difficoltà crescenti delle imprese con contraccolpi sull’occupazione e sul credito. Le famiglie in povertà assoluta sono un milione 960mila, l’equivalente di 5.571.000 persone, mentre sono due milioni 895mila le famiglie (8.775.000 persone) che vivono in condizioni di povertà relativa. “Percepire un reddito da lavoro dipendente – si legge nel focus – non è più sufficiente a mettersi al riparo dal rischio di cadere in povertà e da condizioni di disagio dalle quali può diventare difficile affrancarsi. Sul totale degli occupati (22.500.000), il 21,7% (pari a 4.900.000) svolge lavori non standard: sono dipendenti a termine, part time, part time involontario, collaboratori. I più colpiti da queste condizioni di precarietà economica e sociale sono i giovani (38,7% nella classe d’età 15-34 anni), in particolare chi ha un basso livello d’istruzione (il 24,9% ha soltanto la licenza media) e risiede nelle regioni meridionali (il 28,1%). Sono invece quattro milioni i dipendenti a bassa retribuzione nel settore privato, con una retribuzione annua inferiore ai 12mila euro; di questi, 412mila hanno un lavoro a tempo indeterminato e full time. Sono invece 3,2 milioni gli occupati irregolari: 2,5 milioni nei servizi, 500mila i “falsi autonomi” e 50mila i lavoratori delle piattaforme.
Sul futuro della tenuta sociale nel lungo periodo pesa la condizione dei pensionati: il 40% di loro, pari a 6,2 milioni di persone, percepisce un reddito pensionistico complessivo uguale o inferiore a 12mila euro. Il 60% delle pensioni di anzianità o vecchiaia non raggiunge i 10mila euro all’anno. La pensione di cittadinanza – con un importo medio mensile di 248 euro – è percepita da 126mila pensionati, di cui circa un terzo costituito da persone in condizioni di disabilità.
«Nell’anno della tripla crisi, dal Covid all’energia alla guerra nel cuore dell’Europa – dice ancora Gardini – torna ad aumentare il rischio default per le imprese italiane: era a rischio il 12,6% nel 2019, ora salgono al 16,1%. Le imprese vulnerabili crescono dal 29,4% al 32,6%. Le imprese solvibili scendono dal 40,5% al 36,1%%, quelle solide calano dal 17,5% al 15,2%. Le più colpite sono le microimprese (meno di 10 addetti), più esposte all’impatto: a rischio default il 16,7%, vulnerabile il 35,2%. Tra le piccole imprese (10-50 addetti), a rischio default il 9,9% e vulnerabile il 26%. Le medie (50-250 addetti) a rischio default raggiungono il 6%, quelle vulnerabili il 19,9%. Infine, tra le grandi (oltre 250 addetti) a rischio default il 4,4%, vulnerabile il 15,6%».
L’impatto su imprese, addetti e debiti finanziari potrebbe avere un epilogo drammatico. Sono a rischio default 100mila imprese, mentre altre 200mila rimarrebbero estremamente vulnerabili con 832.000 persone occupate a rischio e 2,1 milioni vulnerabili. Sono 107 i miliardi di debiti finanziari a rischio e 196 i vulnerabili.
La distribuzione territoriale della crisi evidenzia una maggiore fragilità delle imprese del Sud e delle isole, ma sono interessate tutte le regioni italiane. Anzi, in termini assoluti e non relativi morde di più nel Nord Est e nel Nord Ovest.
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