Cultura

Italia-Romania: quando gli immigrati eravamo noi

Tra la fine dell'800 e la seconda Guerra mondiale 130mila italiani si spostarono nel paese balcanico

di Redazione

Nel futuro l’Italia senz’altro continuera’ ad essere un grande paese di immigrazione, ma tutto lascia intendere, rileva la Caritas, che anche la Romania subira’ una profonda trasformazione in tal senso. Gia’ nel passato, ricorda il volume, la Romania e’ stata un paese di immigrazione.

Tra la fine dell”800 e la seconda guerra mondiale vi si trasferirono 130.000 italiani, in varie ondate per lo piu’ a carattere temporaneo. Molti di questi lavoratori venivano chiamati le ”rondini” (in friulano ”golandrinas”) perche’, per evitare le pause morte, facevano la spola seguendo l’avvicendarsi delle stagioni e cosi’ potevano curare anche le proprie terre e mantenere i legami con la famiglia. Oltre che di friulani (la prevalenza), si trattava anche di veneti e di trentini. Erano lavoratori della pietra o del legno (segherie), tagliaboschi, piccoli impresari edili (Baumeister), agricoltori, muratori, scalpellini, tagliapietre e minatori.

Nel complesso, gli italiani diedero un grande contributo all’industrializzazione della ”grande Romania” ed erano cosi’ apprezzati da ottenere salari piu’ vantaggiosi e riuscire a mettere da parte risparmi consistenti. I nostri impresari riuscirono ad aggiudicarsi numerose commesse in vari settori e specialmente nella costruzione della Transiberiana: nel 1845 erano italiani 23 dei 116 ingegneri occupati presso la Compagnia ferroviaria romena, mentre furono 2.000 gli operai italiani impiegati per la costruzione del ponte ferroviario di Cernavoda. Alla fine del secondo conflitto mondiale vi rimasero in Romania soltanto 8.000 italiani; poi con il regime comunista, il cambio della moneta e la nazionalizzazione, le loro fatiche vennero vanificate e per legge dovettero diventare cittadini romeni, privati dell’assistenza religiosa (solo nel 1967 e’ stata riaperta la chiesa italiana di Bucarest).

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