Politica
Italia, paese fragile e sospeso
De Rita: «Cinque questioni per ripartire»
È un’Italia sospesa, fragile, piuttosto timorosa, quella che esce dall’indagine annuale del Censis affidata al 45° rapporto sulla situazione sociale del Paese, presentato stamane a Roma.
Vittima dei poteri finanziari
«Il Paese sembra soggetto a pericolo incombente, che viene da lontano», ha premesso Giuseppe Roma, direttore dell’istituto di ricerca. Vittima dei poteri finanziari, senza prospettive certe e profondamente inquieto. «La soceità italiana è come presa da una doppia dialettica. Da un lato la crisi di liquidità che può diventare insolvenza e compromettere benessere economico e patrimoniale risulta agli italiani un enigma. Sappiano la rappresentazione ma non capiamo l’origine». Quanto alla seconda dialettica (altrettanto lontana), ha a che fare con il debito complessivo. «Siamo in un bagno di incertezza da almeno 15 anni». Ciò nonostante, gli italiani sono pronti a fare sacrifici, a entrare in gioco:è il 57,3%. Un segnale positivo. «Sono tre le cose che più colpiscono nelle virtù italiane oggi messe sotto stress»: le identità plurime di questo paese, il ruolo della famiglia, la reputazione».
Identità plurime
Il 46% dei cittadini si dichiara «italiano»; i «localisti» sono il 31,3% e si riconoscono nei Comuni, nelle regioni o nelle aree territoriali di appartenenza; i «cittadini del mondo», che si identificano nell’Europa o nel globale, sono il 15,4%; i «solipsisti», che si riconoscono solo in se stessi, sono il 7,3%. Ancora oggi i pilastri del nostro stare insieme fanno perno sul senso della famiglia, indicata dal 65,4% come elemento che accomuna gli italiani. Seguono il gusto per la qualità della vita (25%), la tradizione religiosa (21,5%), l’amore per il bello (20%). Cosa dovrebbe essere messo subito al centro dell’attenzione collettiva per costruire un’Italia più forte? Per più del 50% la riduzione delle diseguaglianze economiche. Moralità e onestà (55,5%) e rispetto per gli altri (53,5%) sono i valori guida indicati dalla maggioranza degli italiani. Ed emerge la stanchezza per le tante furbizie e violazioni delle regole. L’81% condanna duramente l’evasione fiscale: il 43% la reputa moralmente inaccettabile perché le tasse vanno pagate tutte e per intero, per il 38% chi non le paga arreca un danno ai cittadini onesti.
La famiglia distributore
Continua a cambiare e tuttavia c’è. Sempre. Sta però cambiando ruolo e mostra segni di debolezza. Non solo nella sua dimensione sociale (vedi aumento delle coppie non sposate e del numero dei singoli, ormai quasi due milioni), ma anche in quella economica. «Alla famiglia spa che avevamo individuato anni fa», ha proseguito Roma, «è subentrata la famiglia distributore: i redditi da lavoro nella famiglia pesano per il 53 per cento 8e sono sostenuti dal reddito da capitale e reddito da trasferimento), mentre il 59 per cento delle famiglie aiuta un componente, e il 24 per cento delle famiglie viene aiutato da un componente». È sempre ammortizzatore sociale, insomma, ma con dinamiche economiche che si vanno articolando. Anche perché la mancanza di crescita,, il crollo della produttività, il deficit di classe dirigente, il sistema formativo che non funziona contribuiscono a far sì che siano i nuclei familiari ad assumersi diverse responsabilità.
Come ripartire?
Di fronte a una situazione sospesa, occorre ripartire. Ma da dove. È l’interrogativo che si è posto Giuseppe De Rita, presidente del Censis. «Una realtà sociale lasciata a se stessa significa una moltitudine senza conoscenza e deresponsabilizzata. Vuol dire ognuno per se e Francoforte per tutti (dove Francoforte sta per finanza sopratutto). E questo non funziona». «Vanno evitate due possibili derive: quella nazionalista e quella della difesa a oltranza del sociale. E per questo serve tenere la barra dritta su cinque questioni». Che sono: l’economia reale, la lunga durata, l’articolazione interna del sistema, il primato della relazionalità e il primato della rappresentanza. Non si discute più da troppi anni di economia reale, ha ragionato il presidente, si parla solo di finanza, di tagli e manovri. «Economia reale significa lunga durata, la concezione del tempo che entra nella storia, superando il fatto di vivere di attimi e eventi». Basta essere «prigionieri dell’evento giornaliero». Una prospettiva che servirebbe ad affrontare l’articolazione interna, con i suoi conflitti sotterranei che devono emergere «in termini dialettici giusti». E poi la relazionalità e la rappresentanza. «Un paese come il nostro se vuole ricominciare a camminare dee recuperare il senso di queste cinque dimensioni e di tornare ad analizzare il suo scheletro portante».
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