Formazione
Italia, i nuovi poveri sono i bambini
Audito in Commissione Lavoro del Senato in vista dell'istituzione del reddito d'inclusione, il presidente dell'Istat fornisce un quadro forse noto agli addetti ai lavori, ma assolutamente impressionante di come la povertà in Italia sia cambiata. Se i nuovi poveri sono i bambini, la priorità della nuova misura dovrà essere sostenere il lavoro dei giovani che hanno osato diventare genitori
L’abbiamo sentito e detto più volte: le famiglie con figli minori sono quelle che più stanno pagando i costi della crisi. Di più: il nuovi poveri, in Italia, hanno gli occhi grandi e innocenti dei bambini. L’abbiamo sentito e detto più volte, ma ora le memorie che l’Istat ha consegnato al Senato, nell’ambito delle audizioni sulla nascente misura nazionale di contrasto alla povertà (il REI-Reddito di inclusione), mettono in fila una serie di numeri e osservazioni che danno uno spaccato certo non inedito ma assolutamente impressionante.
L’audizione del presidente di Istat in Commissione Lavoro (in allegato il pdf integrale) non è andata sull’impatto possibile delle politiche proposte (al momento non ci sono «elementi sufficienti» per fare tali valutazioni), quanto sulle dimensioni e le caratteristiche delle platee potenziali di destinatari. I numeri-cornice sono noti: nel 2015, 1 milione 582 mila famiglie residenti in Italia (circa il 6% del totale) sono in condizione di povertà assoluta, ovvero 4 milioni e 598 mila individui, il 7,6% dell’intera popolazione. Ma è entrando nel dettaglio che si capisce come l’incidenza e i profili della povertà assoluta si siano modificati negli ultimi anni.
Andiamo a prendere la composizione della famiglia: qual è il tipo di famiglia che più è colpito dalla povertà assoluta? Quella con 3 o più figli minori. Se la famiglia presenta queste caratteristiche, schizza nella condizione di povertà assoluta 13,3 volte su 100. Le famiglie con solo un figlio si fermano al 4,9%. Ma la percentuale più bassa, ovvero la condizione famigliare meno a rischio di povertà assoluta è quella della coppia di pensionati over65: solo il 2,7% dei nuclei con questo profilo cade nella categoria dei poveri assoluti (vedi tabella).
Se poi guardiamo alle caratteristiche della persona di riferimento, il bread winner, i più poveri sono i giovani adulti che hanno osato metter su famiglia, quelli fino a 34 anni: sono in povertà assoluta il 10,2% delle famiglie con un capofamiglia under34, contro il 4% di quelle che hanno per capofamiglia un over65. E anche guardando la posizione professionale, versano in povertà assoluta il 3,8% dei pensionati contro il 6,1 degli occupati e il 19,8% di chi è in cerca di occupazione (vedi tabella).
Alleva lo ha riassunto così: «in Italia, livelli elevati di povertà assoluta si osservano anche per le famiglie con cinque o più componenti (17,2%), tra le coppie con tre o più figli (13,3%); l’incidenza sale a oltre il 18% se in famiglia ci sono almeno tre figli minori mentre scende sensibilmente nelle famiglie di e con anziani: la stima è del 3,4% tra le famiglie con almeno due anziani». E ancora: «le famiglie con a capo un ritirato dal lavoro sono quelle che mostrano l’incidenza più bassa, di poco inferiore al 4%, a conferma del quadro più roseo che emerge per le famiglie di anziani o con anziani». Tornando al come sta cambiando lo scenario, Alleva afferma che fino al 2011, la povertà assoluta si è mantenuta stabile su livelli prossimi al 4% delle famiglie, nel 2012 e nel 2013 l’incidenza di povertà assoluta mostra un aumento di circa 2 punti percentuali e negli ultimi due anni, la crescita della povertà assoluta si è fermata. Per quanto riguarda il profilo dei poveri assoluti, «il cambiamento più evidente ha riguardato la crescente vulnerabilità dei minori, legata alle difficoltà dei giovani adulti, anche al Centro-Nord, nel sostenere il peso economico della prima fase del ciclo di vita familiare, a seguito della scarsa e precaria domanda di lavoro. Particolarmente vulnerabile appare la condizione delle famiglie di stranieri al Nord. Al contempo si è osservato un miglioramento della condizione degli anziani».
Per capire quanto pesi e che contorni preoccupanti abbia nei fatti la voce povertà minorile basta comparare le tre tabelle seguenti, che mostrano il numero di famiglie, persone e famiglie con minori in povertà assoluta rispetto al tempo e all’area geografica del Paese. Se per popolazione e famiglie in generale la povertà assoluta è grossomodo raddoppiata fra il 2005 e il 2015 (dal 3,6 al 6,1%), per le famiglie con figli minori è più che triplicata, con un balzo dal 2,8 al 9,3%. Quanto ai numeri assoluti, i minori in povertà assoluta (povertà assoluta, non disagio economico né rischio di povertà) sono 1 milione 131mila, quasi l’11% dei minori residenti in Italia, contro un valore che per il complesso della popolazione si ferma a 7,6%.
Giusto per visualizzare, 10,9% significa che in ogni classe dei nostri figli (facciamo 20 alunni per comodità di calcolo) ci sono almeno due bambini (ma forse anche due e mezzo) in povertà assoluta. Ma ci saranno vistose differenze fra Nord e Sud, è la prima e spontanea reazione. Affatto. L’incidenza di povertà assoluta tra i minori è l’11,7% Mezzogiorno, arriva al 10,6% al Nord e “si ferma” al 9,7% nel Centro. Se riguardiamo le tabelle possiamo osservare che rispetto alle famiglie tout court la variabile Nord/Centro/Sud pesa (la povertà assoluta arriva al 5% al Nord e al 9,1% al Sud), ma nella tabella relativa alle sole famiglie con figli minori questa variabile impatta molto meno: 8,6% al Nord, 8% al Centro e 10,9% al Sud (cfr ultima tabella).
Le differenze, spiega Alleva nell’audizione, sono altre: è più elevata nella aree metropolitane (10,5%), soprattutto per le famiglie del Nord (17,6%), e tra le famiglie di stranieri: oltre un terzo di queste ultime è in povertà assoluta, il 44%. La quasi totalità dei minori in povertà assoluta ha genitori con un titolo di studio non elevato (in circa il 96% dei casi al più il diploma di scuola media superiore) e la maggioranza ha un solo genitore occupato (61,8%), per lo più con un basso profilo professionale. L'incidenza di povertà assoluta fra i minori stranieri è oltre sei volte quella registrata fra i minori italiani (rispettivamente 43% e 7,1%), con un divario più accentuato al Nord (rispettivamente 45,6% e 4,6%).
Cosa ci dice tutto questo? E cosa dice a quanti stanno lavorando per creare la prima misura nazionale contro la povertà? Innanzitutto che la strada scelta – quella di associare a misure monetarie anche un percorso di inclusione sociale e lavorativa – è la strada giusta: Alleva parla di un intervento «particolarmente opportuno» in considerazione del fatto che la povertà incide particolarmente con le famiglie con a capo una persona non occupata e stante il limitato ruolo che in Italia hanno i centri per l’impego.
Le altre osservazioni dell’Istat vanno nella direzione di un riordino delle misure assistenziali esistenti e di un coordinamento più forte degli interventi in materia di servizi sociali. L’Italia complessivamente non spende poco rispetto ad altri Paesi per le prestazioni sociali, ma spende sistematicamente meno per la protezione di gruppi di popolazioni deboli: la metà esatta della spesa sociale italiana va per la vecchiaia (49,3%), per la famiglia e l’infanzia il 5,4% nel 2014 (in aumento per via del bonus Irpef degli 80 euro, che rappresenta da solo i due terzi delle risorse destinate alla famiglia, di cui però solo un terzo della spesa è andata a beneficiari che si collocano nei due quinti più poveri della distribuzione del reddito), per la disabilità il 5,9%, per la disoccupazione il 5,8%, per l’abitazione lo 0,7%… Per la povertà nello specifico (esclusione sociale e politiche abitative) non si arriva all’1% della spesa sociale, lontanissimi dal 7,9% del Regno unito. Inoltre l’Italia si distingue per una quota molto elevata di spesa sociale non sottoposta alla prova dei mezzi (il 94,3% della spesa).
L’audizione dell’Istat ha anche rivelato che per il 2018 è previsto un aggiornamento del paniere povertà assoluta, la revisione della scala di equivalenza e un nuovo calcolo del suo valore monetario (già oggi Istat dà non una soglia per dire qual è la linea della povertà assoluta ma 342 soglie, combinando caratteristiche della famiglia, territorio e tipo di comune), utilizzando anche i dati registrati alle casse dei supermercati (scanner data).
Foto Cengizhan Konus / Unsplash
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