Famiglia

Italia, basta nasconderti

E' una delle star dell’Ulivo prossimo venturo. Ma ha un’anima trasversale. E ora avverte: "Investiamo su ciò che ci fa forti. Come turismo e servizi alla persona". Intervista ad Enrico Letta.

di Ettore Colombo

Enrico Letta è il classico finto timido che ti frega. In senso buono, s?intende. Innanzitutto perché ha quell?aria da primo della classe perbene e giudizioso che, anche se sei arrivato in anticipo all?appuntamento ed è lui che si fa aspettare, riesce a convincerti, con quel suo sguardo mansueto e fermo insieme, che – in buona sostanza – tu hai torto e lui ragione. Poi perché a Enrico Letta nessuno, nemmeno i più fieri pasdaran del berlusconismo d?assalto (da Sandro Bondi in su), nemmeno i più arcigni e anticomunisti opinionisti delle tv e dei giornali del Biscione (forse con la sola eccezione di Emilio Fede, ma ne dubitiamo persino in questo caso), riuscirebbero a dare del sovversivo. O, absit iniuria verbis, dell?incapace a governare. Enrico Letta (classe 1966, originario di Pisa, città e regione di cui ha ben poco: non a caso tifa – in modo per un?interista disgustoso – per il Milan), da ragazzino viveva a Strasburgo, dove ora è tornato, eletto per la lista Uniti nell?Ulivo al Parlamento europeo, collegio del Nord Est: insomma, Letta l?europeismo lo prendeva con il caffé.
Poi si è laureato in diritto internazionale a Pisa (con 110 e lode, immaginiamo), poi «ha conseguito un dottorato di ricerca in Diritto delle comunità europee presso la Scuola superiore di studi universitari e perfezionamento Sant? Anna», recita il suo sito Internet, garbato come il personaggio. Garbato al punto tale, il sito, che alla fine della biografia si limita a dire che «è sposato con Gianna». Gianna è Gianna Fregonara, giovane e bravissima collega del Corriere della Sera, moglie da cui – ci è stato detto – Enrico Letta aspetta un figlio (ci permettiamo di fargli gli auguri a nome di Vita). Di Enrico Letta bisognerebbe dire molte altre cose: tipo che era già – a 24 anni! – presidente dei Giovani del Partito popolare europeo, che dal 1993 (a 27?) è segretario generale dell?Arel, importante centro studi che ancora dirige ma di cui non ha mai voluto accettare la presidenza perché l?ex ministro Beniamino Andreatta di cui è stato l?allievo prediletto, pur se in coma è ancora in vita (peraltro Enrico è oggi amico del figlio, il brillante politologo – e amico di Vita – Filippo Andreatta). Ma Letta è stato anche vicesegretario del Ppi, ministro per le Politiche comunitarie (nel primo governo D?Alema) e ministro dell?Industria (nel secondo governo D?Alema e nel governo Amato), dal maggio 2001 è deputato e responsabile economico della Margherita, è membro di club esclusivi come l?Aspen (di cui è vicepresidente) e di club meno seriosi come il Milan club Montecitorio, ha girato l?Italia dei distretti, in campagna elettorale, in coppia con il diessino Pierluigi Bersani, è uno degli animatori dell?Intergruppo parlamentare sussidiarietà, viene invitato al Meeting di Rimini con tutti i riguardi (l?anno scorso Giorgio Vittadini disse: «Letta e Bersani? Io li voterei volentieri?»), di fatto è l?antagonista di Rutelli dentro la Margherita e l?unica accusa che gli viene mossa è quella di guardare troppo al centro (moderato e tecnocratico, non conservatore e cattolico), poco a sinistra. Non a caso, questa che segue è ?la contro-intervista? a quella che abbiamo fatto a Fausto Bertinotti, pubblicata due numeri fa: come potranno andare d?accordo, nel nuovo Ulivo, i due resta per noi un mistero glorioso ma essendo entrambi politici acuti e accorti siamo certi che troveranno ?la quadra?.
Come siamo certi del fatto che nessuno potrebbe non solo parlare male ma pronosticare qualcosa di meno che il ruolo di front man per l?ex ?enfant prodige? della politica italiana, nell?Ulivo che verrà. Nessuno, men che mai l?umile cronista, che di Letta è quasi coetaneo e, come si dice a Roma, ?rosica? di fronte a tanti successi. Letta, benevolo come solo un politico navigato sa essere e gentile come si addice a ruolo ed etichetta (come si sa è nipote diretto di Gianni, sottosegretario a Palazzo Chigi, di cui Berlusconi disse: «Letta è un dono che nostro Signore ha fatto all?Italia»?) chiede, alla fine dell?intervista: «Abbiamo finito? Bene, la ringrazio». Non c?ha offerto nemmeno un caffè ma l?unico modo che il centrosinistra ha davanti a sé per vincere le prossime elezioni è questo: garbo e rigore, poche chiacchiere e conti da rifare. Gli italiani, alla fine, magari ringrazieranno pure. Noi, per dirne una, l?abbiamo fatto.
Vita: Onorevole Letta, dieci anni fa, 1994, immagino che lei continuasse a fare il?primo della classe?
Enrico Letta: Dieci anni fa avevo iniziato a lavorare all?Arel, accanto a Nino Andreatta, di cui ero stato collaboratore al ministero degli Esteri. Un lavoro impegnativo che accompagnavo all?incarico a Bruxelles di vicesegretario dei giovani del Ppe: seguivo in particolare le vicende relative alla nascita del trattato di Maastricht. Sul piano interno era l?anno di nascita del Ppi e della scissione con il Cdu. Non ero ancora parlamentare (lo sono diventato nel 2001): anche quando divenni ministro, nei governi dell?Ulivo, lo fui senza essere stato eletto in Parlamento.
Vita: Dieci anni fa, diceva ora, moriva la Dc e nascevano diversi partiti cattolici. Oggi c?è chi parla di nuovo di grande centro, tra Udc, Margherita e altri. Quale filo rosso vede in queste esperienze?
Enrico Letta: Il filo che le lega è quello delle occasioni perdute. La prima risale a quando Rocco Buttiglione spaccò il Partito popolare, provando a piegarlo ad un innaturale accordo con Berlusconi e Fini, oltre che con Bossi. Un partito popolare unito, oltre il 10% dei voti, come era nel 1994-?95, di fronte a due poli disomogenei come i Progressisti di Occhetto e la prima versione del Polo delle Libertà, sarebbe stato in grado di costruire un?alleanza di centrosinistra basata sulla forte centralità del Ppi e dunque di un?esperienza in linea di continuità con la tradizione del cattolicesimo democratico. La seconda occasione perduta l?abbiamo avuta negli anni Novanta quando, stando al governo, avremmo potuto fare del Ppi quello che è oggi la Margherita, cioè un partito più aperto ad apporti che non venissero da esperienze esclusivamente cattolico-democratiche. Invece il Ppi divenne, in quegli anni, di fatto solo un partito di continuità con la tradizione del cattolicesimo democratico. Un errore perché avremmo potuto aprirci, cambiarci e il Ppi sarebbe diventato la Margherita di oggi. Con la differenza che ci sarebbe una centralità del cattolicesimo democratico che invece ora è a giorni alterni. Ecco il motivo per i quali l?Udc, al di là dei propri meriti, oggi gode di grande spazio.
Vita: La Margherita, e dunque il centro dello schieramento di centro-sinistra, versa in discrete difficoltà. Anche a causa di queste due ?occasioni perdute??
Letta: è un discorso molto complesso. Il punto di partenza è che si tratta di un partito che fatica ancora a uscire da una logica ?federativa?, cioè spezzoni diversi che vogliono mantenere la loro autonomia, e ad accettare invece una logica ?unitaria?. Troppe diffidenze reciproche, innanzitutto. Poi bisogna essere capaci di fornire progetti e contenuti più forti di quelli che abbiamo fornito fino ad adesso. Andiamo avanti per forza d?inerzia, sui singoli temi, senza capacità di sintesi e per logiche di dna.
Vita: Sulla legge sulla fecondazione assistita voi (e non solo voi) vi siete spaccati come una mela?
Letta: Quello, appunto, è il classico esempio di un approccio poco laico e molto ideologico alle questioni. Sono temi su cui è molto importante che ci sia una vera libertà di coscienza Un partito in cui la laicità e l?ispirazione cristiana sono entrambi parti integranti del proprio dna su questi temi deve lasciare libertà di coscienza.
Vita: Tornando all?esperienza di governo dell?Ulivo di cui ha fatto parte cosa è mancato e cosa non deve più mancare? A esempio nel rapporto con ?l?altra – o la seconda – sinistra?, quella radicale del Prc?
Letta: C?è bisogno sicuramente di non rifare l?errore di un patto sdrucciolevole, come fu nel 1998, cioè di un patto soltanto elettorale che poi diventò un patto di semi-governo e che fu poi lo scivolo su cui cadde il governo Prodi. Questo vuol dire essere trasparenti, cominciare a discutere presto di programmi con Rifondazione come con tutte le altre componenti della coalizione. E non bisogna neanche nascondere al Paese che c?è una discussione ?dura? sulle questioni di merito ma anche che l?accordo finale, se si troverà, sarà un accordo vero. Il secondo tema è la questione della legittimazione della leadership, che deve passare attraverso qualcosa che ?non sia? l?accordo tra le segreterie di partito. Ecco perché credo fortemente nel valore di una grande consultazione popolare (l?idea delle primarie) sul candidato premier sia decisivo. Terzo elemento c?è bisogno di una forte centralità di un soggetto politico che sia in grado di fare da baricentro alla coalizione e la federazione dell?Ulivo rappresenta, secondo me, questo baricentro.
Vita: Vede più difficoltà a trovare un accordo sulla politica estera o su quella economica, con Bertinotti?
Letta: Credo che la difficoltà maggiore sia sulla politica estera perché sulla politica economica c?è una forte riflessione comune sulla necessità di mettere al primo posto, nelle azioni del futuro governo dell?Ulivo, la coesione sociale, che anche per me è la vera questione del Paese. Coesione sociale che vuol dire fiducia dei lavoratori, dei consumatori, di coloro che investono e questo passa attraverso il ridisegno di uno Stato sociale che dia più potere a chi oggi non ne ha. E vuol dire un forte ruolo della rappresentanza sociale, sindacati in testa. Su questo punto la sintonia è trovabile. Ad esempio sono convinto che il recupero della competitività delle imprese passa attraverso la coesione sociale. Sulla politica estera il tema chiave è che non è più un tema secondario, come in passato, ma non per fare un dibattito ideologico ma per fare azioni concrete. Ad esempio vedo ripartire la discussione sulle iniziative internazionali da prendere per il Sudan: l?Italia, che non è un Paese di terza fila, deve ogni volta porsi il problema se esserci o non esserci. Credo sia impossibile – per me, per noi, per l?Ulivo – abdicare dal principio per cui possiamo logisticamente decidere se esserci o non esserci ma il nostro sostegno politico e anche militare, laddove l?Onu ci sia, deve esserci. Questo lo ritengo un punto ineludibile della nostra futura politica estera. L?Onu è il nostro punto di riferimento. E questo è un principio che vale anche in altri casi.
Vita: Passando alla politica economica, invece: risultati del tanto decantato ?viaggio pe? li distretti? (industriali) fatto con il responsabile economico dei Ds Bersani? E poi, li avete davvero trovati?
Letta: Mah, vede, per noi il distretto era una metafora dell?economia del territorio. Intendevamo cioè cercare la realtà dell?economia italiana sul territorio, che abbiamo guardato, visitato, incontrato. E abbiamo incontrato realtà quanto mai variegate: distretti tradizionali, maturi, ormai in disfacimento, distretti innovativi, totalmente diversi da quelli tradizionali. Abbiamo affrontato temi come il turismo, settore su cui l?Italia è drammaticamente indietro: siamo un Paese che non riesce a mettere in campo una seria politica per il turismo, fatto drammatico per la nostra economia. Per noi è stato un viaggio molto importante dentro l?Italia vera, viaggio che abbiamo fatto insieme, altro particolare non di poco conto. Se c?è un settore in crescita quello è il terzo Settore: cresce perché è fatto di forte protagonismo, collettivo e individuale, perché è fatto di piccole realtà molte legate all?iniziativa individuale, perché è un mondo legato a settori in grandissima crescita come quelli dei servizi alla persona e che incrocia mutamenti demografici fondamentali per il nostro futuro, come l?aumento degli anziani. E politiche che vanno incontro a queste novità ce ne sono molto poche e invece vanno valorizzate.

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