Volontariato

Italia anemica se a vincere sara’ il mercato

Le associazioni accusano: senza una vera riforma la vita dei malati sarà sempre più in mano ai mercenari per colpa di una legge che vieta lo scambio tra regioni ricche e povere di donatori

di Carlotta Jesi

Sembra un semplice problema di artimetica, ma putroppo è della vita umana che stiamo parlando. Ossia di quel milione e 836 mila unità di sangue italiano che in teoria dovrebbero essere sufficienti a coprire il fabbisogno interno del nostro Paese stimato in 1.850.000 unità. Ma solo in teoria. Perché, in pratica, più della metà delle raccolte si concentra al Centro-Nord e ci sono delle regioni del Sud che il sangue se lo procurano oltre confine a causa di una legge che ne vieta la compravendita in Italia. E poi perché, per produrre emoderivati e farmaci salva vita, non abbiamo mai abbastanza plasma. Anzi, viaggiamo su una media di 450 mila litri di insufficienza (il 70% del fabbisogno). Ma cos?è che non funziona? E qual è il prezzo da pagare per questa assurda situazione di autosufficienza solo apparente?
Siamo andati a chiederlo alle associazioni di donatori e di malati che concordano su un punto: l?attuale normativa, al secolo legge 107 del ?90, va riformata.
«Il fatto è che in Italia per applicare le leggi bisogna prima riformarle», spiega il presidente della Federazione italiana associazioni donatori sangue Dario Cravero, «e ora speriamo sia venuto il momento della 107». Una legge che ha vietato la compravendita di sangue in Italia e, per distribuire le donazioni su tutto il territorio nazionale, ha istituito dei Centri di coordinamento e compensazione. Il risultato? Domanda e offerta di sangue nel nostro Paese continuano a non incontrarsi. Prova ne sia che nel 1997, per curare mille talassemici, la Sardegna ha comprato sangue dalla Germania. «Purtroppo non è un caso isolato», denuncia Genesio de Stefano, presidente dell?Avis Basilicata, «ci sono regioni che hanno troppo sangue e regioni che non ne hanno affatto. Non è vero che nel Sud mancano i donatori, i donatori ci sono, ma mancano i Centri». E a volte anche la volontà o le motivazioni per farli funzionare. «Per capirlo basta mettersi nei panni di un direttore di Asl», spiega Cravero, «se copre il suo fabbisogno di sangue che motivo ha di continuare a spendere per raccoglierne dell?altro che poi gli rimane sul gobbo?». Sospetti cui fanno seguito altre denunce. Come quella di Giovanni Conforti, della Croce Rossa: «In Italia abbiamo 380 Centri trasfusionali. Troppi. E lo diciamo da vent?anni che invece servirebbero uffici regionali per smistare le donazioni tra provincia e provincia. Per pianficare. Ma come si fa a pianificare se solo il 45% dei 380 Centri è informatizzato? Se, cioè, meno della metà dei Centri sono in grado di abbinare esattamente un donatore alla sua sacca, di contraddistinguere quest?ultima con un codice a barre e, soprattutto, di sapere quando e dove c?è bisogno di sangue. Altro che era di Internet».

Al bazar del sangue contaminato
La deficienza, insomma, sembra essere più di chi il sangue lo amministra che della materia prima. E il sospetto sulla sicurezza di sangue ed emoderivati, mentre in Francia si consuma il processo al sangue contaminato, pesa ancora come un macigno.
Soprattutto perché, per risolvere il vero o presunto problema ?quantità?, ossia importando sangue dall?estero, si finisce col mettere in panchina etica e sicurezza. I lotti provenienti dall?America vengono controllati solo a campione e per il resto bisogna fare affidamento sull? autocertificazione delle imprese che lo immettono sul mercato. Ma dei Blood Centres internazionali sono in pochi a fidarsi. «Lo sapete quante banche del sangue lo comprano nei Paesi in via di sviluppo come l?Uganda?», ci chiede de Stefano dell?Avis. «Del resto è già stato dimostrato che l?Hiv in Italia è circolato anche a causa alle trasfusioni. E chi ci assicura che fra qualche anno non avremo in corpo altri virus che ancora non conosciamo solo perché siamo andati a comprare il sangue da venditori mercenari nel Sud del mondo?». E pensare che molte delle nostre importazioni si potrebbero evitare. «Come per il plasma», continua de Stefano, «in Italia sono le multinazionali a decidere di importarlo dall?estero quando potremmo benissimo produrlo da soli con un miglior utilizzo del sangue donato, nuove tecniche trasfusionali e recupero operatorio. Qualcuno poi dovrà spiegare perché nel 1994 alcune regioni hanno lasciato scadere decine e decine di unità di sangue». Angelo Magrini, presidente dell?Associazione politrasfusi italiani è ancora più duro: «In Italia i principali beneficiari di emoderivati sono gli emofilici. Secondo i nostri dati, oggi 4 emofiliaci A gravi su 10 hanno contrato l?Hiv in seguito a delle trasfusioni e 6 emofiliaci B gravi su 10 sono sieropositivi.

L?incubo di nuovi virus
Perché non dovremmo parlare di terrorismo? Perché non dovremmo parlare di grandi interessi quando sappiamo che affidarci ai nostri donatori periodici significa avere la garanzia di non infettarci e invece continuiamo a importare lotti di plasma che vengono dall?Africa e l?America latina dove vendono il proprio sangue per qualche dollaro e non c?è alcun controllo? E poi bisogna considerare la mutazione genetica dei virus. Cosa succederà fra vent?anni? Forse allora avremo vinto la battaglia legale contro lo Stato e avremo ottenuto gli indennizzi per tutti i politrasfusi infettati negli anni ?80 (seppur senza processo come invece è avvenuto in Francia), ma dovremo ricominciare da capo, perchè l?epatite e l?Hiv non sono i nostri unici nemici, ci sono virus di cui ignoramo l?esistenza che sono già in circolazione. Fino a quando dovremo tollerare tutto questo?».
Trovare una risposta non è semplice. Perché le persone ammalatesi per trasfusioni di sangue infetto aumentano, e così pure le richieste di risarcimenti, che tuttavia continuano a prender polvere negli scantinati di qualche tribunale. Che fare , dunque? Francesco Cardile, presidente dell?associazione Fratres, suggerisce innanzitutto qualche considerazione etica: «Che diritto abbiamo noi italiani di andare a comprare il sangue dagli africani e dai sudamericani che lo vendono perchè non sanno come mettere insieme un pasto decente al giorno? Noi dobbiamo incentivare le donazioni in Italia e migliorare le strutture per il frazionamento, ossia il processo con cui si separano gli elementi del sangue fra cui il plasma. Ci costerebbe meno, sarebbe più sicuro e anche più etico».

Qui ci vuole un?Authority…
Insomma, qui ci vuole qualcuno che controlli sia i Centri di coordinamento che gli importatori. E le associazioni, in coro, invocano un?Authority del sangue. «Con portafoglio però», precisa Cravero, «perché altrimenti rimane solo un autorità sulla carta. Qui, invece, ci vuole qualcuno col potere di far girare il sangue da chi ne ha troppo a chi non ne ha». Ma le emergenze non finiscono qui. Perché tra i problemi da risolvere c?è anche il calo dei donatori italiani. O, meglio, della frequenza con cui essi si rivolgono alle associzioni. Soprattutto nei mesi estivi, quando la situazione in tutta Italia diventa veramente critica. Perché non partire adesso con una campagna pubblicitaria in televisione? Perché non chiedere al ministero di assumersi le sue responsabilità? Perché..?
Domande cui, forse, potrebbe rispondere la nuova legge 107. La settimana scorsa alla Commissione Affari Sociali si è concluso l?esame degli emendamenti. Quanto ci vorrà perché la nuova legge veda la luce? E quanto perché poi venga applicata?
(ha collaborato Cristina Giudici)

Allarme rosso

Sangue

Fabbisogno nazionale 1.850.000
unità di sangue intero (emazie)

Raccolta complessiva 1.836.OOO unità
(80% coperto da Avis)

Raccolta al Centro Nord 1.267.882 unità
(39,5% per 1000 abitanti)

Raccolta al Centro Sud 564.483 unità
(21% per 1000 abitanti)

Donatori Avis 1997: 900.000
Donazioni Avis 1997: 1.443.925

Plasma

Fabbisogno nazionale 700.000 litri

Quantità complessiva
prodotta in Italia 250.000 litri
(ben 450.000 litri di insufficienza)

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