Ci sono momenti in cui la vita ti presenta il conto, quando meno te l’aspetti. Si dice che accada per fare un’esperienza che ci elevi a livelli spirituali superiori. Non è una punizione, ma a volte la prendiamo come tale. Paolo Cortis, per gli amici Ivan, ha avuto un’eccellente salute sino al 2016. Poi, all’improvviso, dolori sempre più intensi e prolungati alla schiena e alla gamba destra. I primi accertamenti clinici e poi il pronunciamento di un neurologo esperto, che ha spazzato via ogni dubbio: sclerosi multipla.
«È stata un’autentica mazzata, lì per lì», confessa Ivan, oggi 45enne. «Avevo un bel lavoro, facevo ciò che più mi piaceva, ma all’improvviso mi sono visto costretto a lasciare tutto perché non riuscivo più a camminare normalmente».
Riavvolgiamo il nastro. Lei è di Villanovafranca, un paese di 1.200 abitanti a 40 minuti da Cagliari. Dalle sue parti si vive soprattutto di agricoltura.
«Infatti è sempre stata questa una delle mie grandi passioni. L’ho ereditata dai miei familiari. Villanovafranca è uno dei tre paesi sardi che hanno il marchio Dop (Denominazione di origine protetta) per lo zafferano, insieme a Turri e San Gavino».
Quale lavoro svolgeva, sino al 2016?
«Sono geometra, in quel periodo facevo la libera professione: non solo in ambito edile, anche molte perizie nel settore agricolo e rilievi topografici in campagna. Mio nonno Luigino e mio padre Enzo lavoravano in campagna, per me era naturale stare in mezzo alla terra. Mio zio Claudio aveva coltivato lo zafferano per una vita ma, arrivato alla soglia degli 80 anni (oggi ne ha 95), stava per abbandonare l’attività e vendere la proprietà. A quel punto gli ho proposto di rilevarla: l’avevo conosciuta nel 1987, quand’ero un bambino, dunque mi sarebbe dispiaciuto vederla andare in fumo. Oggi coltivo oltre mezzo ettaro, con migliaia di bulbi autoprodotti per puntare a un raccolto di qualità».
Può amndarne fiero: di recente lo “Zafferano Cortis” è stato premiato a Milano dai giurati dell’Italy Food Awards quale “Migliore specialità tipica regionale” in ambito Dop. Si tratta di un prestigioso premio nazionale patrocinato dal ministero delle Politiche agricole.
«È stata una bellissima soddisfazione, che arriva dopo i premi ricevuti nei due anni precedenti nella sezione dello zafferano convenzionale del Sardinia Food Awards, la versione regionale. Ho voluto tentare il salto di qualità e mi è andata bene. Voglio dedicarlo a mio padre, al quale devo tutto: ancora oggi mi sta aiutando moltissimo, ha 70 anni ma ancora molte energie da spendere. È sempre stato un grande lavoratore, per me è un punto di riferimento insostituibile».
La malattia l’ha costretta a inventarsi un nuovo mestiere, almeno in parte.
«Dopo la brutta scoperta, ho passato un periodo d’inferno. Non è facile accettare una cosa del genere, men che meno conviverci. Tra il 2015 e il 2016, ho trascorso 7-8 mesi seduto su una poltrona, afflitto dai dolori. Pensavo di morire paralizzato in breve tempo. Mi ero spaventato perché sino a quel momento ero stato sanissimo. Oggi va un po’ meglio ma, nonostante la fisioterapia, ho bisogno delle stampelle. A volte uso il tutore. In campagna non posso più fare i lavori pesanti; quando raccolgo i bulbi o gli stimmi dei fiori, sono costretto a sedermi su una seggiola. Ora sono la mente, più che il braccio operativo: non ho dipendenti, mi aiutano mio padre, gli amici e qualche conoscente per il raccolto. Io seguo il lavoro in laboratorio, al riparo dal freddo o dal caldo: la pulizia degli stimmi, la conservazione dello zafferano, il confezionamento. Da più di un anno ho aperto la vendita on line, la commercializzazione del prodotto lavorato si sta ampliando in molti Paesi d’Europa e anche oltre. Preparo le confezioni personalmente, in base alle richieste dei clienti. Provvedo pure alle spedizioni».
Le cose da fare non le mancano, per fortuna.
«La mia vicenda può aiutare altre persone che si trovano in grave difficoltà o che devono fare scelte difficili. Questo premio mi ha dato una grande carica, mi ha persino fatto passare i dolori per qualche giorno: potere della mente. Il lavoro nei campi mi svaga, mi consente di non pensare sempre allo stesso problema fisico o di vedere tutto in negativo. Più che un lavoro, è un investimento che mi tiene la mente occupata. Era un hobby ed è diventato la mia attività principale, un modo per pensare ad altro».
Ne ha fatto una vera attività imprenditoriale.
«Sto cercando di curare ogni minimo aspetto, dal sito alla piattaforma per la vendita on line. Prima di dedicarmi a questo lavoro, ho fatto un’ampia ricerca di mercato, sia in Sardegna che nella penisola. Purtroppo, quella dello zafferano è una tradizione che nella nostra isola si sta un po’ perdendo: un tempo veniva utilizzato in cucina per le zeppole nel periodo di carnevale, le formaggelle, le polpette e tante altre prelibatezze. Oggi molta gente preferisce comprare i piatti pronti».
Colore, sapore, odore…
«…sono i parametri per capire se lo zafferano è di buona qualità. Le stesse basi che vuoi trovare nel piatto. In commercio se ne trova di tutti i tipi, ovviamente. Richiede molta cura, una volta raccolto nel periodo tra ottobre e novembre. A giugno si estraggono i nuovi bulbi, che poi vanno reimpiantati. Lo zafferano va conservato in contenitori a chiusura ermetica, al riparo da luce e aria perché è un prodotto molto sensibile. Si conserva in un luogo asciutto e fatto essiccare nel modo appropriato».
I programmi per il prossimo futuro?
«Vorrei organizzare dei corsi per chef. Ma ci sono tante altre cose da fare. Di recente sono stato contattato da turisti americani che hanno organizzato un viaggio istruttivo in Sardegna e in altre regioni italiane: persone facoltose, appassionate e ben organizzate. Per loro è stata una bella scoperta, non conoscevano lo zafferano».
Le è capitato di dover infondere coraggio ad altre persone con il suo stesso problema di salute?
«Il mio carattere mi spinge sempre ad aiutare e dare conforto e speranza alle persone che si trovano in difficoltà, è una questione di Dna. Sono impegnato anche con l’Aism Sardegna: questa settimana ci saranno nelle piazze i banchetti per vendere le gardenie e sostenere l’attività dell’Associazione italiana sclerosi multipla. Non so se riuscirò a essere presente, dipende dal tempo: l’umidità mi fa sentire dolori lancinanti in buona parte del corpo. La menomazione non mi dà la possibilità di aiutare i soci a scaricare le scatole dei fiori dai Tir, mi limito ad aiutare al banchetto. Quando posso, metto a disposizione la mia esperienza. Il mio esempio può dare la carica a chi si rinchiude in se stesso, si fa sopraffare dalla disperazione e non trova le forze per vivere».
Credits: foto Matteo Setzu – Lunamatrona
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