Che meraviglia questi 4 chilometri di terra appoggiati sul mare. Terra Murata, dove i procidani si rifugiavano durante le scorrerie dei saraceni, le spiagge di Ciraccio e Chiaiolella, di Chiaia e il Pozzo Vecchio. Il porto, la Corricella, borgo di pescatori dove l’odore del mare acquieta i sensi, l’area protetta dell’isolotto di Vivara. Che meraviglia i 10mila abitanti di Procida, il vero capitale culturale sono loro, che hanno trasformato l’isola in un ponte concreto di innovazione che non guarda solo dentro il perimetro dei sui confini ma si lega alle altre isole, città, aree interne che da sempre abbiamo considerato “minori” e invece minori non lo sono neanche un pò.
Sul numero di vita di settembre (che potete scaricare a questo link) c’è la prima puntata di uno speciale tutto dedicato a Procida Capitale della Cultura Italiana 2022. «Dopo aver inaugurato la stagione delle grandi mostre di arte contemporanea e di fotografia e alla vigilia di una nuova fase intensa e ricca di appuntamenti, con il programma culturale che entra nel vivo aprendosi a nuove straordinarie esperienze collettive, quello di Procida 2022 può già dirsi un “modello” riuscito», ha raccontato Agostino Riitano, direttore di Procida Capitale. «Lo è perché siamo riusciti ad avviare, sin dalla redazione del dossier, un partecipatissimo percorso di co-creazione collettiva, che ha coinvolto isolani e cittadini temporanei: era ed è questo il nostro obiettivo principale, non certo l’aumento dei flussi turistici, che pure è stato imponente».
Procida era una scommessa. 44 progetti, 330 giorni di programmazione, 240 artisti, 40 opere originali, 8 spazi culturali rigenerati e 480 le persone iscritte al programma di volontariato. «Procida è davvero», dice Riitano, «l’isola che non isola, un laboratorio culturale di felicità sociale. Prima isola a candidarsi e prima a vincere, aveva la responsabilità di rappresentare l’Italia dei borghi e delle isole, quell’Italia minore che – per patrimonio materiale e immateriale – ha invece tutte le carte in regola per affermarsi, trainando la rinascita culturale del Sud e disegnando nuove traiettorie d’innovazione culturale che possano compiere il senso di un’utopia. Quell’utopia a Procida si è compiuta».
«Fedeli al tema del progetto, “La cultura non isola”, abbiamo intrecciato i fili dell’incontro, traducendoli in partnership con realtà politico-istituzionali, istituzioni culturali, enti di alta formazione, con la società civile e il terzo settore, con il mondo dell’impresa, e dell’impresa sociale in particolare. Non abbiamo mai ceduto alla tentazione di realizzare un progetto culturale di intrattenimento. Piuttosto, abbiamo raccontato i processi di innovazione sociale dando centralità alla vita urbana orientata dalla cultura, allontanandoci dalla politica del “grande evento” e ciononostante generando – in mesi di duro lavoro – un importante attrattore culturale».
I progetti sono tutti bellissimi e tutti destinati a restare, tra quelli che abbiamo raccontato nello speciale c'è "Nutrice". «Ho sempre pensato che Procida dovesse capire cosa voleva fare da grande. Ma ora è grande e deve imparare a camminare», ha spiegato Salvatore Trapanese, procidano, 42 anni. È socio di Amira, associazione Maitre Italiani ristornati e Alberghi, una delle realtà che ha fatto nascere il progetto il progetto. «Abbiamo messo in piedi», racconta, «6 itinerari per accompagnare i cittadini temporanei, alla scoperta della nostra isola. Nutrice per noi è sinonimo di accoglienza, così a tutti abbiamo aperto le nostre case».
Gli itinerari sono partiti a giugno e andranno avanti fino ad ottobre, sono stati pensati sui prodotti tipici dell’isola, in modo particolare il pesce azzurro e i limoni. «Abbiamo portato i cittadini temporanei sulle nostre barche a pescare con noi e in visita al limoneto dell’azienda agricola Lubrano Lavadera Francesco, poi insieme abbiamo preparato e mangiato la tipica insalata di limoni».
Ogni progetto si inserisce in in uno dei 5 filoni aperti: Procida inventa, ma ancora ispira, include, innova, Procida impara. A guardare in alto, verso Terra Murata, c’è Palazzo d’Avalos, a picco sul mare. Fino agli anni Settanta era una struttura carceraria. Qui è stata allestita la mostra, curata da Tommaso Del Vecchio, “Fili d’ombra, fili di luce”.
«Tutto inizia con la produzione di lino, una delle vocazioni dell’isola», spiega Maria Iovine, presidente dell’associazione Chiaiolella – Borgo Marinaro, una delle realtà che ha proposto il progetto e che lavora da 18 anni sul territorio.
«Siamo partiti da un contrasto: da un lato l’ombra che rappresenta il dolore dei detenuti e il rumore del telaio che usavano per tessere le stoffe, dall’altro la luce con il rumore delle campane, le grida dei bambini, il ricordo dei matrimoni e dei corredi che poi – con quelle stoffe – sarebbero stati cuciti dalle donne dell’isola». Dal progetto non è nata solo una bellissima mostra da visitare ma una rete che lega i giovani studenti della facoltà di architettura dell’università Vanvitelli e le detenute della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli. «Gli studenti universitari hanno disegnato una mappa del 700 di Procida, l’isola al centro e le rotte che vanno verso Napoli, i campi Flegrei, e ancora la Penisola sorrentina. E le detenute hanno cucito su cuscini, lenzuola, asciugamani – con filo rosso e blu, come vuole la tradizione – quella stessa mappa. Speriamo di farne una linea di moda e di lasciare il ricavato alla scuola di cucito del carcere».
L’amore è un filo che tiene insieme e mette in circolo le idee. Il progetto “Scienza Aperta”, per esempio, è nato dall’amore per nonna Pasquina che non riusciva più ad uscire nel suo bel giardino dopo che nel 2000 sull’isola sono arrivate le zanzare tigre. «”Fai qualcosa per queste zanzare”, mi diceva sempre mia nonna. “Fai qualcosa per tutte le nonne di Procida”», racconta Marco Salvemini, professore associato di genetica all’università Federico II di Napoli. Così l’Università ha iniziato una collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti di Napoli e, dallo scorso aprile, 150 artisti dell’Accademia, accompagnati da studenti e ricercatori del dipartimento di biologia, hanno bussato alle porte dei procidani. «Le famiglie», continua Salvemini, «ci hanno lasciato istallare delle trappole per zanzare nei loro giardini, ogni 2 settimane ci inviano le foto dei biglietti adesivi contenuti all’interno e noi aggiorniamo i dati della ricerca. Vogliamo utilizzare la tecnica del maschio sterile che si basa su rilascio di insetti resi sterili appunto e che quindi non possono fecondare. In questo modo arriviamo alla sradicazione della specie senza usare pesticidi». Durante le visite nelle case sono state scattate delle fotografie alle persone, oltre 1300, e attraverso tecnologie di scansione e di scultura tridimensionale, verranno realizzati dei ritratti a figura intera in stampa 3D, per creare un’installazione diffusa che è un vero e proprio censimento visivo degli abitanti dell’isola. Il 30 settembre in occasione della Notte dei Ricercatori, i dati scientifici generati e l’opera realizzata saranno presentati alla comunità durante un incontro pubblico in piazza.
Ma quest'anno straoridnario è stato possibile anche grazie al lavoro dei volontari: «Abbiamo 480 persone iscritte al programma di volontariato, di queste oltre un centinaio è ritornato più di una volta a svolgere le attività sull’isola», ha raccontato Francesca Pizzo, responsabile gestione volontari Procida Capitale della Cultura Italiana 2022. «Ci sono 109 volontari di Procida, 32 dalle altre isole del golfo e dai campi Flegrei. Altri 217 arrivano da Napoli e in generale dalla Campania, e 112 da altre regioni italiane, soprattutto Toscana e Lombardia. Abbiamo anche stipulato una convenzione con l’associazione Volontari Open Culture 2019, nata dal gruppo dei volontari di Matera 2019 che ci hanno supportato durante l’inaugurazione di Procida Capitale. Li abbiamo intercettati tramite una call aperta alla fine del 2021 e abbiamo avuto una risposta sorprendente». Con ogni volontario il rapporto è diretto: «Ad ognuno chiediamo le disponibilità di tempo ma anche i desiderata in base ai proprio interessi o passioni. E poi c’è l’aspetto che riguarda la motivazione, e questo vale soprattutto per i volontari procidani: sono parte attiva del processo, vogliono restituire un’immagine della loro isola scevra da stereotipi e preconcetti. Ma vogliono anche guidare le persone che arrivano a relazionarsi con le specificità di questa piccola isola».
L’anno non è ancora finito, ma quella di Procida è una sfida vinta, perché il modello Procida è diventato un punto di riferimento per lo sviluppo di tutte le aree interne: «Tutto è dipeso dall’approccio scelto», ha spiegato Francesco Izzo, docente di Economia università Vanvitelli di Napoli, esperto in strategie dell’innovazione, che ha partecipato alla fase di progettazione di Procida Capitale della Cultura Italiana 2022. «Fin dall’inizio abbiamo seguito un modello di co-creazione, un modello partecipato, dove il coinvolgimento della popolazione è stato altissimo. Per scrivere il dossier necessario per candidare l’isola a capitale italiana della cultura, abbiamo indetto un’assemblea pubblica alla quale hanno partecipato 250 cittadini. Ci siamo scambiati idee e proposte e lo stesso abbiamo fatto negli incontri con 35 comuni delle isole minori e comuni dell’area flegrea tra cui Monte di Procida, Bacoli, Quarto e Pozzuoli. Dopo l’assemblea ci siamo divisi in tavoli di lavoro, nel mio tavolo si parlava di sostenibilità in senso ampio. La comunità è un prerequisito essenziale, non può essere altrimenti. Non si costruiscono a tavolino buone idee e poi si trova un “set” o una location: i luoghi non sono teatri».
Il valore vero dell’iniziativa sta proprio qui: «Procida è un invito alle piccole comunità di ripensare a sé stesse e a modelli di innovazione sociale e culturale. Perché, e l’isola ha dimostrato questo, cultura e innovazione sociale non possono essere separate. Procida è un’isola ma anche un'area interna, periferica. Così come il piccolo comune dell’Appennino viene isolato dalla neve così con il cattivo tempo Procida viene isolata dal mare. Procida capitale ha significato e significa gridare una diversità, ma è da questa che si generano modelli nuovi. Procida è un’isola portavoce di una cultura comunitaria».
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Credit foto apertura: Antonello De Rosa
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