«La musica prodotta in cattività, dal primo Lager all’ultimo Gulag, esorcizza questi luoghi, annichilisce le ideologie totalitarie, ci introduce a tempi migliori. Il musicista non canta il Lager, non lo esalta, né eleva la deportazione a elemento poetico, ma distrugge ideologicamente il Campo attraverso la musica. Il musicista deportato aspirò infatti a far crollare le mura di cinta del Campo cantando, suonando e scrivendo musica. Perché suonare per un musicista è un’esigenza fisiologica. Ed anche se scritta e composta in luoghi di sofferenza e prigionia, la musica risponde sempre ai suoi canoni estetici, senza lasciarsi disegnare dal ghetto, dal Lager o dalla restrizione». Quello che sta compiendo il Maestro Francesco Lotoro è un lungo cammino di liberazione che ha preso il via nel 1988, da quando cioè ha iniziato a “liberare la musica”, a recuperarla, a restituirla all’umanità. Suoni, storie, partiture, documenti. Da più di trent’anni il pianista e compositore di Barletta recupera la musica scritta nei Campi di concentramento e nei luoghi di cattività civile e militare tra il 1933, anno dell’apertura del Lager di Dachau, e il 1953, anno della morte di Stalin e graduale liberazione degli ultimi prigionieri di guerra detenuti nei Gulag sovietici.
Il suo meticoloso lavoro di ricerca racconta ed apre la conoscenza sul vastissimo patrimonio di Letteratura Musicale Concentrazionaria, composta da oltre 8mila spartiti e 10mila documenti, tra microfilm, diari, quaderni musicali, registrazioni fonografiche, interviste con musicisti sopravvissuti. Un incredibile bagaglio storico e culturale che lo ha visto viaggiare in tutto il mondo «perché preferisco andare di persona a recuperare il materiale che ci viene donato. Non si tratta solo di recuperare un manoscritto, uno spartito o un documento, ma di entrare nella storia del musicista che lo ha composto, nella storia dei sopravvissuti, che all’inizio del mio percorso ho anche avuto modo di conoscere personalmente, mentre oggi sono i figli o i nipoti che conservano e ci donano il materiale musicale che va ritirato, catalogato, riversato in supporti digitali», racconta Lotoro. «C’è un lavoro immenso da portare avanti, come studiare la partitura di 500 musiche da eseguire per registrarle e conservarle per farle conoscere».
Preferisco sempre andare di persona a recuperare il materiale che ci viene donato. Non si tratta solo di recuperare un manoscritto, uno spartito o un documento, ma di entrare nella storia del musicista che lo ha composto, nella storia dei sopravvissuti.
Francesco Lotoro
L’impegno di Lotoro e del suo staff rileva con forza l’importanza del 27 gennaio, in cui si celebra la “Giornata della Memoria” per ricordare la data in cui 76 anni fa le truppe sovietiche dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz rilevando al mondo, per la prima volta, la realtà del genocidio del popolo ebreo in tutto il suo orrore. In questa particolare giornata di sensibilizzazione, non va dimenticato che nei campi di concentramento furono deportati anche oppositori politici, omosessuali, malati di mente, persone con disabilità, testimoni di Geova, rom e sinti. Diritti negati e calpestati, storie di vita spezzate a causa dell’olocausto. Ma storie che in molti casi continuano a vivere ancora nelle musiche scritte dai detenuti nei lager nazisti e nelle prigioni sovietiche.
«La musica prodotta in condizione di privazione dei più elementari diritti umani molte volte li ha aiutati, in molti casi li ha salvati, in altri non ha potuto evitare la morte», prosegue il direttore d’orchestra e docente di pianoforte presso il Conservatorio “Niccolò Piccinni" di Bari. «La musica aveva poteri taumaturgici, guariva le persone, perché salvava il cervello dei deportati, permetteva al cuore di creare immaginarie vite parallele. La lingua, il sovraffollamento degli spazi, la spartizione del cibo creavano tensioni e problemi, mentre la musica tendeva ad unire le persone». E Lotoro – che ha studiato, riprodotto e suonato migliaia di spartiti – non ha dubbi sul valore della Letteratura Musicale Concentrazionaria: «Un buon 60% sono dei capolavori; di questi, il 30% se fossero state eseguite a quei tempi, negli anni in cui sono state composte, avrebbero trasformato il linguaggio musicale. Ricostruire queste musiche, eseguirle, leggere gli spartiti è stato come scongelare un Mammut che adesso tutti possono scoprire».
Per realizzare le loro composizioni, quindi, deportati e prigionieri si affidavano a tutto ciò che capitava sotto le loro mani, a volte tirando una semplice linea su un pezzo di carta per fare un pentagramma. Ma c’è stato anche chi come «Rufold Karel, che soffriva di dissenteria, scriveva sui fogli di carta igienica con la carbonella. Con questa tecnica – rileva – nel carcere di San Pancrazio a Praga ha scritto un’opera intera di tre atti». Per questo, oltre a costruire un archivio della musica sopravvissuta alla deportazione e ai campi di prigionia, Lotoro è impegnato anche a sensibilizzare e far conoscere questa imponente eredità umana ed artistica. Il libro “Un canto salverà il mondo” (Feltrinelli editori) racconta il viaggio che da più di trent’anni sta coinvolgendo il pianista e compositore pugliese. Un cammino che non è terminato. Anzi.
Dal sogno di ricerca di Lotoro è nata la Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, creata nel 2014 dal musicista con un piccolo gruppo di altri soci fondatori a Barletta, la città dove verrà creata la Cittadella della Musica Concentrazionaria, «il più grande hub al mondo dedicato alla musica prodotta nei campi. Sorgerà nell'area e nelle strutture della ex Distilleria di Barletta, individuate dall’Amministrazione Comunale per essere recuperate e ristrutturate grazie ad un finanziamento pubblico del Piano di Riqualificazione delle Periferie. I lavori sono in stato di avanzamento. Si tratta di quasi 5 milioni di euro che rappresentano una cifra importante ma non sufficiente a completare il progetto. Per proseguire siamo in attesa che il Governo, rallentato sia dalla pandemia del Covid sia dall’elezione del nuovo presidente della Repubblica italiana, si esprima su due progetti che abbiamo candidato a valere con il Contratto Istituzionale di Sviluppo della BAT IS e con i Piani di Valorizzazione. Siamo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, ma conto di poter effettuare la posa della prima pietra tra due o tre mesi».
Un buon 60% sono dei capolavori; di questi, il 30% se fossero state eseguite a quei tempi, negli anni in cui sono state composte, avrebbero trasformato il linguaggio musicale.
Francesco Lotoro
Anche perché la realizzazione della Cittadella della Musica Concentrazionaria sbloccherebbe tutte quelle donazioni di documenti, fonogrammi, spartiti in attesa di essere consegnati dai famigliari dei musicisti sopravvissuti, che «rischiano di rovinarsi, di danneggiare la ricerca, e dall’altra parte consentirebbe di poter dare una casa a tutto il materiale che già abbiamo. Oltre al Comune di Barletta – dice Lotoro – devo ringraziare anche la Regione Puglia che ha deciso di sostenere per i prossimi anni i viaggi verso i Paesi in cui devo recarmi per recuperare il materiale ed incontrare i parenti dei musicisti sopravvissuti, come America, Australia, Israele, Francia, Gran Bretagna e tanti altri».
Intanto, Lotoro continua a girare, a raccontare di questo archivio e della storia di alcuni strumenti musicali incredibilmente ancora in vita. Come il violino, oggi patrimonio della Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria di Barletta, appartenuto al violinista polacco Jan Stanislaw Hillebrand, che suonava nell’orchestra di Auschwitz. A donarlo alla Fondazione è stata la vedova, Hanna Hildebrand, che vive a Bay City, nel Michigan. Il violino è stato restaurato dal liutaio Bruno Di Pilato di Ruvo di Puglia. «Vogliamo condividere questo sogno con tutti – conclude Lotoro – affinché possa diventare tesoro artistico, culturale e spirituale del mondo, storia di tutti».
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