VITA ha intervistato Fathi Mohamed Ahmed, la redattrice capo, una delle sei giovani giornaliste di Bilan, che significa luminoso e chiaro nella lingua somala. Al momento del lancio, lo scorso luglio, le sei giornaliste avevano assicurato che rimarranno fedeli al suo significato facendo luce su alcune delle questioni più importanti relative alle donne. Andando tutto al femminile, Bilan Media cerca di rompere le barriere nella società conservatrice della Somalia, dove questioni come lo stupro, le aggressioni sessuali e le questioni mediche delle donne sono spesso ignorate.
Fathi, come avete avuto l'idea di creare questo mezzo di informazione tutto al femminile in Somalia, una iniziativa che ho trovato sul sito dello UNDP, il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite e che mi pare splendida?
«Innanzitutto voglio ringraziare VITA per farmi questa intervista. L’idea di lanciare un'unità mediatica per sole giornaliste somale in Somalia nasce da una considerazione molto semplice: qui abbiamo tante società di media ma tutte le persone che dominano sono uomini. Abbiamo quindi bisogno di uno spazio diverso in cui le donne possano essere protagoniste. Così abbiamo cominciato».
Quali sono i principali temi che affrontate?
«Sinora abbiamo trattato per la maggior parte di storie che parlano di questioni sociali e dei tanti problemi che abbiamo in Somalia. Le sfide più impegnative sono la sicurezza e l'impatto del cambiamento climatico. Abbiamo siccità e inondazioni, come quella che stiamo affrontando proprio in questo momento, con così tante persone sfollate che non possono avere accesso agli ospedali e ai centri di istruzione. Sono questi i temi che, il più delle volte, vogliamo condividere con la gente».
Una situazione terribile.
«Assolutamente sì. In Somalia la maggior parte della popolazione è nomade. Vivono fuori città. Sono allevatori e agricoltori. Quindi la siccità li ha colpiti in tutto quello che avevano e ora non hanno più nulla. Vengono quindi in città e vivono come sfollati interni, dove non possono avere cibo, acqua pulita, un riparo né soddisfare i bisogni primari. Così noi li andiamo a visitare, abbiamo parlato con loro e abbiamo condiviso anche le loro storie, sconosciute al mondo».
Come è stata accolta l'idea di una società di media fatta solo da donne?
«Come le ho detto prima, in Somalia nelle società di media dominano gli uomini, che non possono tollerare donne che facciano informazione e per questo abbiamo bisogno di rompere questa barriera. Ora abbiamo Bilan, una società di media guidata da donne e con tutto il personale femminile. Siamo noi a decidere l’argomento, la fonte o le idee per la storia, siamo noi ad andare a fare le riprese, a filmare, a montare i video e tutto il resto. A volte scriviamo articoli per l'International Media Guardian, per la BBC e per altre testate come Missing Prospectives. Il nostro obiettivo principale è quello di avere aziende mediatiche in Somalia guidate da donne».
Quando vai a fare le riprese, come vieni accolta, c'è sorpresa?
«In Somalia, fare la giornalista è molto difficile perché la nostra cultura non ci permette di entrare in questo settore. In fondo, credono che non sia adatto alle donne. E a volte è per questo che quando vai a girare o a fare un reportage alcune persone possono dirti che le cose che stai facendo non sono adatte a loro, a volte puoi vedere persone buone che lavorano con te, ma la maggior parte di loro ti molesta. Ti dicono: "Ah, smettila; questo non va bene per te. Sarebbe meglio se non mi filmassi. Per favore, smettila". Ma vogliamo cambiare questo cattivo comportamento nella nostra società».
Eppure le donne sono superiori, più intelligenti di noi uomini.
«Sì, ma in Somalia pensano che le donne che fanno le giornaliste non siate brave perché le donne brave vogliono stare a casa e badare ai bambini. Questo è un grosso problema».
Una giornalista del Guardian, olandese di origine somala, Nimo Omer, che ha scritto un bellissimo reportage su The Guardian sui dhaqan celis. Che ne pensi?
«Sì, in Somalia i dhaqan celis in inglese possono essere tradotti come "centri di riabilitazione". Ospitano giovani somali venuti dall'Europa e dall’America, molti genitori mettono lì i loro figli per per imparare il Corano, la cultura somala o l'Islam».
Alcuni di questi centri non vengono controllati e non trattano bene i bambini. È vero?
«Sì. Anche perché dovranno affrontare una sfida diversa, questi bambini non sanno cosa sta succedendo in Somalia, vengono da un altro paese, molto diverso. E quando vivono in questi centri, possono trovarsi di fronte, ad esempio, a una educazione differente, a volte gli insegnanti picchiano quei bambini, e la maggior parte delle volte dicono loro, per favore continua a leggere il Corano. Devi pregare. Non dormire più. È qualcosa di molto critico, non umanitario. Non va bene perché siamo esseri umani, abbiamo bisogno di stare tranquilli in città e di non subire molestie. Ma quando andrete in questo centro, non avrete scelta. Bisogna vedere caso per caso ma dovrebbero essere controllati».
Quale è il tuo sogno?
«Collaborare sempre di più con i media internazionali, come con la BBC, The Guardian e altri perché vogliamo migliorare le nostre carriere e la nostra conoscenza giornalistica. Questo è un bene per noi. Il sogno è cambiare il tipo di media qui in Somalia. Vogliamo che ci siano più donne che escano, che facciano trasmissioni in diretta, che scrivano articoli, che facciano riprese e montino. A volte è necessario fare una forte scelta personale, come nel mio caso».
Hai un messaggio da dare ai lettori di VITA?
«Sì. Seguiteci sui social media, sulla nostra pagina Facebook, Instagram, TikTok, e leggete gli articoli che abbiamo fatto per i nostri committenti. Ma voglio dire soprattutto che la Somalia sarà adatta alle donne, soprattutto a quelle che vogliono cambiare le credenze distruttive qui, quando cambierà questa cultura, questa idea sbagliata che ha la gente, che la donna deve sempre stare a casa, che non deve uscire per lavorare. Ci hanno detto: "Basta, devi stare a casa” ma non vogliamo avere queste culture distruttive perché non sono adatte alla nostra gente, alle nostre donne e alle nostre madri. Ecco perché Bilan sta lavorando duramente, perché vogliamo eliminare questa mentalità nel nostro Paese».
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