«Abbiamo davanti un’autostrada per la crescita dello sport di base in Italia grazie anche alle competenze di una rete capillare e molto preparata di operatori – spesso volontari – che sono l’anima di decine di migliaia di associazioni sportive», dice convinto Vito Cozzoli, presidente e amministratore delegato di Sport e Salute S.p.A, la società pubblica, braccio operativo del Governo, che promuove lo sport, i corretti stili di vita e la salute in Italia dal 2019. E che Cozzoli guida e amministra dal 2020.
Il suo mandato e la stessa costituzione di Sport e Salute sono iniziati quasi in concomitanza con la pandemia. Quando tutto lo sport, da quello dei professionisti, a quello di base fino all’educazione fisica dentro le scuole, si è fermato
Ha ragione, questo poteva segnare il tramonto di un bel progetto (quello di Sport e Salute ndr), e invece abbiamo utilizzato quella pausa forzata durante l’emergenza Covid per supportare concretamente l’azione del Governo nel sostenere gli organismi sportivi attraverso l’erogazione di 3,2 miliardi di euro dal 2019 al 2023 e nell’aprire 123 sedi territoriali e nel disegnare un futuro diverso per lo sport italiano.
Mi faccia capire: questi 3,2 miliardi sono stati assegnati “a pioggia” o sono stati assegnati in modo mirato per cambiare lo sport in Italia, renderlo più accessibile per tutti, nelle periferie delle città, in provincia e includendo tutte persone con disabilità?
I binari su cui abbiamo lavorato sono due: il primo è stato fare rete sui territori e con le agenzie sportive esistenti e le amministrazioni pubbliche; l’altro è il monitoraggio dei nostri interventi. Come Sport e Salute abbiamo attive azioni e progettualità educative, sociali e sportive, con oltre 4000 Comuni e abbiamo dialogato con 150mila realtà che operano in ambito sportivo e del benessere fisico. Attraverso i Comuni abbiamo creato una serie di bandi e avvisi pubblici destinati in particolare alla rete associativa e del Terzo settore per la co-progettazione e la co-programmazione delle attività sportive. Fare rete, conoscere le competenze e la geolocalizzazione delle società esistenti è fondamentale per capire i territori virtuosi e quelli carenti.
Con i fondi del Pnrr questo cambio di cultura può accelerare ancora?
Assolutamente. In queste settimane abbiamo definito un protocollo d’intesa con il ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi, e presto lanceremo il progetto in tutta Italia per supportare al meglio la crescita dello sport a scuola. Inoltre attraverso la riforma del sistema sportivo è stato realizzato un percorso virtuoso che ogni anno porta Sport e Salute a investire nel comporto scolastico il 32% del gettito fiscale derivante dalle nostre entrate, finalizzate principalmente a promuovere l’accesso all’attività fisica sin dai più piccoli, attraverso azioni concrete. E poi ci sono i 300 milioni del Pnrr per lo sport nelle scuole che useremo per creare o ristrutturare le palereste con l’obiettivo di far arrivare il benessere fisico e le pratiche sportive a 2 milioni di bambini con meno di 5 anni.
Lo sport lei dice è uno strumento di sviluppo nelle comunità, secondo lei la pandemia ha acuito spinte che stavano già germogliando grazie anche alla capillare attività sportiva nelle periferie e nelle cosiddette “Aree interne” d’Italia realizzata con passione e competenza da enti del Terzo settore?
Il bisogno dei cittadini di fare sport è cresciuto esponenzialmente nonostante pandemia. Le città si stanno immaginando sempre più a misura di sport, ripensando l’utilizzo degli spazi pubblici urbani, puntando anche a creare luoghi di generale benessere psicofisico della collettività. Parchi, strade, piazze, periferie vengo ripensate nell’ottica di migliorare la qualità della vita e diffondere anche la cultura dello “star bene”. La pandemia ha acuito spinte che stavano già germogliando: nei prossimi 10 anni le persone abbandoneranno gradualmente lo stile di vita frenetico per curare di più salute psicologica e relazioni familiari.
Lo sport è oggi uno straordinario strumento per investire non solo sul capitale umano, ma anche per favorire l’inclusione, l’integrazione, la crescita culturale e la socializzazione. Un modo per aiutare anche le comunità territoriali a crescere. Il motore di questo cambiamento sono i tantissimi enti del Terzo settore che anche in ambito sportivo stanno rivoluzionando la cultura del nostro Paese.
La pratica sportiva è quindi uno degli strumenti più efficaci per favorire lo sviluppo di reti e per stringere rapporti fra persone di diversa provenienza e condizione sociale, contribuendo a migliorare il benessere del singolo e a instaurare legami, condividere bisogni e scambiare competenze e conoscenze. Qual è il ruolo degli operatori e dei tanti volontari dello sport di base?
Con la pandemia e il fermo delle pratiche sportive abbiamo mappato le 197mila persone che sono i professionisti dello sport. Al loro fianco ci sono quelli che sono i volontari dello sport: sono genitori, sono ex tecnici in pensione, sono spesso anche giovani appassionati.
Dobbiamo ringraziare queste decine di migliaia di volontari che rendono possibile lo sport di base con passione e competenza. Ma i “grazie” non bastano, dobbiamo sostenerli perché questo genere di interazione sportiva e sociale crea densità relazionale, facilitando l’attivazione di concreti processi di welfare di comunità e, in ultima istanza, la crescita sociale ed economica del territorio. Lo sport è la più grande rete di protezione sociale del nostro Paese animata da 115mila associazioni di base.
È per sostenere e irrorare di risorse questa rete che avete presentato un vero e proprio piano sociale di “Sport per tutti”? Come funziona?
È con questo scopo che abbiamo predisposto un intervento sportivo e sociale da 15.7 milioni di euro per affermare che lo sport sia nei fatti un diritto di tutti. Per compiere questo è necessario promuovere i corretti stile di vita nei contesti più difficili e nelle aree disagiate del Paese. Il piano, nel complesso, prevede di finanziare 595 progetti qualificati raccogliendo le proposte di 12mila enti del Terzo Settore di ambito sportivo (Asd/Ssd) e Comuni allo scopo di coinvolgere 1 milione e 70 mila cittadini. I progetti sono presentabili fino al 24 marzo.
Come si declinano questi interventi?
All’interno di questo intervento sono compresi i progetti: “Quartieri” per favorire l’alleanza educativa tra il sistema sportivo e il Terzo Settore grazie a presidi al servizio delle comunità; “Inclusione” che fa leva sullo sport come strumento di prevenzione del disagio sociale e psicofisico; “Carceri” che fornisce un’opportunità di rieducazione ai detenuti attraverso il potenziamento dell’attività sportiva negli istituti penitenziari per adulti e minorenni in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità; e “Parchi” nato dalla collaborazione con l’Associazione Nazionale Comuni Italiani – Anci con l’obiettivo di realizzare nuove aree sportive attrezzate all’interno di parchi comunali pubblici o spiagge con particolare attenzione al coinvolgimento dei bambini e ragazzi tra i 4 e i 14 anni. Questo questo particolare passaggio ci sono ulteriori 34 milioni di euro di finanziamenti per rigenerare in questa chiave parchi e pacchetti nelle nostre città e raggiungere almeno 500mila perone con disabilità.
Dalle periferie allo sport inclusivo per tutti, è significativa l’attenzione che date allo sport in carcere. Là dove oggi lo sport viene portato principalmente, se non quasi esclusivamente, da enti del Terzo settore
É da loro, dalle loro competenze e sensibilità che partiremo. L’idea del piano sociale – perché chiamarlo bando sarebbe davvero riduttivo – di “Sport per tutti” è di sostenere questi enti sociali, rilanciandone anche la progettualità che spesso in carcere, per via della mancanza di fondi e risorse, tendono a sopravvivere. Noi vogliamo che insieme a queste realtà lo sport diventi strutturale nel modo capillare di coinvolgere e ingaggiare le perone con disabilità nelle pratiche sportive sul territorio senza costringerli a chilometri di spostamenti. E naturalmente dentro le carceri. Guardi, ci teniamo così tanto perché sappiamo dagli operatori, spesso volontari di tante associazioni o realtà sportive che entrano da anni nei penitenziari, di quanto possa fare un tavolo da ping pong tra i detenuti e le detenute. Si immagini cosa potranno fare queste realtà con i fondi di “Sport per tutti” e con le competenze acquisite negli anni?
Che obiettivo vi date nelle carceri?
Puntiamo a raggiungere 20mila detenuti tra adulti e minori.
Infine per completare la rivoluzione cultuale dello sport in Italia non poteva mancare l’apporto del digitale grazie all’acceleratore di startup in ambito sportivo attivato lo scorso anno da Sport e Salute
L’acceleratore WeSportUp, dedicato a startup che operano negli ambiti dello sport e del benessere, lo scorso anno ha coinvolto 595 nuove realtà di cui 9 sono state lanciate e ci supportano in una serie di nuovi progetti. Per questo l’edizione 2023 di WeSportUp partirà con una open call della durata di 3 mesi, con l’obiettivo di ricercare le realtà più interessanti che sviluppano prodotti o servizi dedicati allo sport e al benessere in tutti gli ambiti di innovazione. La ricerca culminerà a metà giugno con il selection Day, evento dove verranno selezionate le startup che avranno accesso alla fase di accelerazione, un percorso di 14 settimane coordinato dal team di WeSportUp, fatto di momenti di accompagnamento one-to-one e coaching, workshop, masterclass con esperti e professionisti del mondo sport-tech, attività di supporto allo sviluppo, sessioni di lavoro con le aziende partner. Lo sport e il benessere del presente e del futuro passa anche da questo tuo di investimenti
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