Fra Gerardo D’Auria

Dopo 35 anni continuo a stare vicino agli ammalati: questa è la mia missione

di Anna Spena

Fra Gerardo D’Auria, 60 anni, è superiore dell’ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli di Napoli e presidente nazionale Afmal, associazione Fatebenefratelli Malati Lontani. Ha viaggiato in tutti i continenti per partecipare alle missioni umanitarie dell’organizzazione che, da diversi anni, ha iniziato a sostenere iniziative contro la povertà anche in Italia: «Nessuno», dice «sarà mai in grado di coprire tutti i bisogni in tutti i campi, ma questa non è una giustificazione al “non fare”. Perciò dobbiamo fare, fare, fare»

Fra Gerardo D’Auria, 60 anni, lo scorso luglio è stato nominato presidente Nazionale Afmal, associazione Fatebenefratelli Malati Lontani. É di origine campana «di Sant'Antonio Abate», sorride, «provincia di Napoli». Dopo 35 anni diviso tra la capitale Roma e le missioni in giro per il mondo, a Napoli è tornato con la carica di superiore dell’Ospedale Buon Consiglio Fatebenefratelli, dall'alto delle colline di Posillipo con lo sguardo si può abbracciare la città. Fra Gerardo è un infermiere, un uomo di una simpatia disarmante, una persona allegra. Guarda al futuro, alle prossime missioni all’estero, ma anche all’Italia, alla Campania, a Napoli: «C’è un bisogno immenso in ogni parte del mondo e in ogni periferia», spiega. «E la povertà assoluta si tira dietro tante e tante altre povertà. Quella sanitaria, che conosciamo bene, ma anche quella educativa e alimentare. Nessuno sarà mai in grado di coprire tutti i bisogni in tutti i campi, ma questa non è una giustificazione al “non fare”. Perciò dobbiamo fare, fare, fare…». L’Ordine ospedaliero Fatebenefratelli, fondato nel XVI secolo da Juan de Dios, nei suoi oltre 500 anni di attività ha aperto quasi mille strutture sanitarie in ogni parte del mondo, l’Afmal nasce nel 1979 dalla volontà di Fra Pierluigi Marchesi, nel 1988 viene riconosciuta come ong dal Ministero degli Esteri italiano. È patrocinata e supportata dall’Ordine Ospedaliero San Giovanni Di Dio, ed è partner del St. John of God Fundraising Alliance, un’organizzazione internazionale che racchiude le ong in capo all’ordine dei Fatebenefratelli nel mondo. Molte le iniziative sostenute in Italia e tantissime le missioni all’estero nel corso dei anni, con un denominatore comune che non è mai cambiato: «Stare dalla parte di chi ha bisogno».

Dallo scorso luglio è il nuovo presidente di Afmal, com'è iniziato il suo percorso con il Fatebenefratelli e poi con l’Afmal? E com’è cambiato il suo impegno nell’organizzazione da quando ricopre questo ruolo?

Ho ricoperto il ruolo di vicepresidente vicario per 15 anni. E ho accolto con gioia questo nuovo incarico. Io sono nato Sant’Antonio Abate, in provincia di Napoli. Frequentavo l’ambiente parrocchiale del mio paese ed avevo un sacerdote che mi seguiva; facevo parte di un gruppo di persone che svolgeva almeno due volte a settimana funzioni di assistenza, di pulizia e di igiene per gli anziani della casa di riposo delle Opere delle Suore Gerardine. Avevo poco più di 20 anni, e quel contatto così ravvicinato con gli anziani, spesso malati, mi ha indicato la direzione da prendere. A ispirarmi anche la storia di San Riccardo Pampuri, un medico Fatebenefratelli. Pampuri era un medico di paese, quindi di villaggi, e si prodigava molto nell’aiutare le persone più bisognose. Poi entrò nell’Ordine del Fatebenefratelli, ma morì a soli 33 anni. Mi dicevo “se lui è riuscito anche così giovane ad essere sostegno per gli altri, posso farlo anch’io”. Avevevo 24 anni quando entrai nell’Ordine dei Fatebenefratelli, ecco riassumerei così l’inizio del mio cammino. Sono con loro – oggi siamo diventati un noi – da 35 anni. Ho viaggiato moltissimo e ricoperto diversi ruoli nell’organizzazione, ma quel desiderio di stare, vivere e dedicarmi alla cura degli ammalati non è mai cambiato.

Che progetti sostiene Afmal in Italia?

Siamo impegnati su più fronti, e non solo su quelli che riguardano l’ambito sanitario. Nel marzo 2020, durante il primo lockdown causato dalla pandemia di Covid 19, migliaia di famiglie sono cadute improvvisamente nel baratro della povertà. Così abbiamo lanciato l’iniziativa “Dona un Pasto a chi non ce l’ha” per distribuire settimanalmente pasti e beni di prima necessità a Roma, Napoli, Benevento e Palermo. Un’iniziativa che è stata possibile grazie al sostegno di catene alimentari come Esselunga, e anche grazie al Banco Alimentare e Fondazione Internazionale Terzo Pilastro. In Italia ci sono oltre 3 milioni e mezzo di persone che – letteralmente – non riescono a mangiare, quindi anche se l’emergenza Covid19 è un po’ rientrata noi abbiamo deciso di proseguire con il progetto. C’è un’altra iniziativa in cui crediamo molto, sta nel nostro dna, il progetto “Oasi della salute” che nasce dalla volontà dell’Afmal di prestare gratuitamente assistenza sanitaria a persone che si trovano ai margini della società, in una situazione di precarietà e di privazione all’accesso alle cure mediche di base. Quindi famiglie povere, anziani soli, immigrati, grazie alla rete di ambulatori presenti nei nostri ospedali possono ricevere cure mediche specialistiche e avviare percorsi terapeutici idonei alle loro necessità. In 3 anni di attività nella sola periferia romana abbiamo visitato, per esempio, oltre 5mila persone. Altra iniziativa di cui siamo orgogliosi è quella realizzata dalla sezione locale di Afmal Palermo, presso l’Ospedale Fatebenefratelli Buccheri La Ferla. Hanno attivato un progetto di accoglienza ai poveri, senza nessun tipo di discriminazioni di razza, politiche e religiose, rispondendo alle necessità impellenti di una città dai forti contrasti, con fasce di popolazione sempre più deboli e emarginate. È nato così il centro Beato Padre Olallo, abbiamo accolto tantissime persone e provato a soddisfare le loro esigenze: dal bisogno di nutrirsi o lavarsi alle visite mediche specialistiche.

Siamo a Napoli, in uno degli ospedali del Fatebenefratelli, a Posillipo. Da qui si vede tutta la città. Che progetti avete in Campania?

La distribuzione di pacchi alimentari, come raccontavo prima, sia a Napoli che a Benevento. Poi a Castel Volturno, in provincia di Caserta, un territorio con un tasso altissimo di immigrati, gli specialisti del nostro ospedale – in forma volontaria – si recano nel comune e visitano le persone che ne fanno richiesta. Abbiamo chiamato questo progetto “Ambulatorio di San Giovanni di Dio”. In Campania, dopo aver accolto la richiesta di aiuto di Don Gennaro Pagano, Cappellano del Carcere minorile di Nisida e presidente della Fondazione Regina Pacis di Quarto, sosteniamo anche la cittadella della Pace. Abbiamo contribuito economicamente all'allestimento dei locali della cucina, all'interno della cittadella, che servono per far svolgere corsi di formazione ai ragazzi del carcere. La cittadella della Pace ospita anche donne vittime di violenza, per loro e per i loro bambini, oltre a donazioni in denaro, organizziamo visite specialistiche.

Che progetti avete invece all’estero?

Dove c’è un ospedale Fatebenefratelli, o dove vivono nostri confratelli, noi ci siamo. Non ultima l’emergenza in Ucraina dove i confratelli polacchi hanno accolto diversi rifugiati e come Afmal abbiamo cercato di sostenere il Paese attraverso donazioni in denaro. Lavoriamo in tutti i continenti con delle missioni, specialmente missioni mediche. E spesso lavoriamo con partner locali, è il caso dell’iniziativa “A riveder le stelle”, dove abbiamo deciso di raccogliere la richiesta di aiuto delle Suore del Verbo Incarnato che gestiscono un orfanotrofio a Gerusalemme, dove ci sono moltissimi bambini ma anche adolescenti con disabilità motorie e psicologiche, e fatto una donazione in denaro per consentire la ristrutturazione degli spazi. In Repubblica Democratica del Congo, invece, sosteniamo Amka, una ong che lavora in tutto il Sud del mondo, e prova a garantire assistenza sanitaria di base e programmi per la prevenzione delle principali malattie infettive. Tra i nostri progetti più importanti mi piace citare “Ridare la Luce”, attraverso interventi chirurgici agli occhi proviamo a risolvere il problema della cataratta che colpisce migliaia di persone in Africa, costringendole alla cecità. In Africa Sub-Sahariana, la cecità è una vera e propria piaga, con oltre 2 milioni di persone affette da questa patologia. Ridare la Luce nasce nel 2003, in collaborazione con l’Aeronautica militare, che ha fornito i passaggi aerei ai medici volontari e ha trasportato le medicine e il materiale chirurgico, e ha permesso di operare oltre 15mila persone di cataratta e svolgere oltre 75mila visite ambulatoriali. Sempre in Africa ripetiamo spesso la missione “Sulla Strada di Cricchio”, una missione umanitaria per fornire assistenza e cure alle persone affette da disturbi neurologici in Senegal, dove la malattia mentale ha ancora un’accezione diabolica ed è considerata incurabile. Dal 2004, sono 25 milioni le persone colpite da disturbi mentali in Africa, e non possono curarsi per mancanza di strutture diagnostiche e medici specializzati. Attraverso i centri Fatebenefratelli di Dalal-Xel e Dalal-Wel, l’Alfaml lotta contro lo stigma sociale che circonda questi pazienti, impegnandosi a fornire loro assistenza umanitaria e sanitaria e creando un clima di accoglienza e solidarietà aperto a qualunque malato. In Camerun invece c’è il progetto Occhisani che nasce dalla collaborazione tra noi e FocusHealth – associazione impegnata in Camerun per la prevenzione delle patologie oculistiche. Molta Africa, ma non solo Africa. Nelle Filippine, nei quartieri di Quiapo e Amedeo, sono attivi programmi sanitari e di istruzione scolastica specifica per bambini con gravi disabilità. Qui sosteniamo anche la St. John of God Special School of Manila, una scuola per bambini disabili.

La prossima missione?

Stiamo programmando una missione nelle Isole Salomone. Vogliamo supportare la ristrutturazione di due ospedali con 30/40 posti letto. Per arrivare qui l’unico mezzo di trasporto è la barca, e quando le condizioni meteo sono sfavorevoli non è sempre facile raggiungere l’isola e spostare gli ammalati.

Cosa è rimasto o come proseguite l’opera di san Giovanni di Dio?

Il nostro fondatore cercava di soddisfare un bisogno. Della salute, delle fame, dell’ascolto. L’idea è rimasta immutata: bisogna accogliere tutti, credenti e non credenti, cattolici o musulmani. Bisogna accogliere l’umano, non c’è differenza che tenga davanti a chi chide aiuto.

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