Alessio Scandura

Nelle carceri mai così tanti suicidi come nel 2021

di Luca Cereda

Parla il coordinatore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone: «Il tasso di atti di autolesionismo è il più alto degli ultimi due decenni. Il Covid ha accentuato i problemi già presenti in carcere, ma si può fare molto e subito per migliorare la situazione»

Il 2021 è stato il primo anno segnato per intero dalla pandemia. Questo ha ristretto le libertà, oltre che infettato, chi nella libertà personale è già ristretto: i detenuti. L’associazione Antigone – che da 30 anni monitora le dinamiche nelle carceri italiane – ha verificato nel corso dell’anno appena concluso, visitando 99 carceri sulle 189 presenti sul suolo nazionale, come il ritorno alla normalità purtroppo sia ancora lontano. Ne abbiamo parlato con Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone.

Secondo i dati forniti dal Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria al 31 ottobre 2021, i detenuti negli istituti di pena italiani sono complessivamente 54.307. Un dato ormai stabilmente distante da quello di febbraio 2020, quando nelle carceri italiane c'erano oltre 61 mila persone detenute. Stabile, ma superiore alla capienza regolamentare ferma a 50.851 posti. Siamo ancora alle prese con quella che non si può più definire “emergenza” sovraffollamento?

L’impressione che abbiamo avuto è che la popolazione carceraria continui a crescere. Questo accade sia per una tradizionale carenza di spazi, ma anche di personale. La pandemia è diventata anche in carcere la priorità, ma ha fatto “saltare” le dinamiche che consentono di gestire al meglio i detenuti. Un esempio: è stata scardinata la differenza, che è ben più profonda del solo nome, tra le case circondariali e le case di reclusione. Questo per evitare ingressi di nuovi detenuti – con più probabilità di essere stati contagiati -, laddove il sovraffollamento era già elevato. Ma le case circondariali sono pensate con in spazi e servizi di “passaggio”, per chi è in custodia cautelare e in attesa della sentenza definitiva. Sono le case di reclusione ad essere strutturate per persone con pena definita, e di conseguenza un'area trattamentale dedicata ad esempio, non viceversa. E questo fenomeno va avanti da due anni, in cui le persone vengono messe dove capita.

A proposito di spazi, poi parleremo anche del tema della carenza del personale, a che punto siamo – a quasi due anni dall’inizio della pandemia -, con la gestione dei colloqui per i detenuti, possiamo dire che la pandemia ho portato un pizzico di digitalizzazione dentro gli istituti di pena?

L’emergenza della pandemia ha portato novità interessanti, certo: e non si tratta solo delle video chiamate, ma soprattutto le chiamate. Mi spiego: in molti istituti i detenuti hanno iniziato a chiamare a casa tutti i giorni o quasi. Una rivoluzione. Ad inizio 2022 alcuni ispettori delle carceri girate da Antigone dicono che continueranno perché rende chi vive in carcere più tranquillo, meno solo e in contatto con il mondo fuori, dalle relazioni sentimentali a quelle con i figli. Tornare ad una telefonata a settimana per 10 minuti, che per inciso è una norma degli anni ’70 quando anche chi viveva fuori chiamava a casa una volta a settimana, sarebbe un dramma. Resta il fatto che per esempio, negli spazi aperti delle carceri non è mai stato concesso di fare colloqui con i parenti.

Con carceri così blindate per evitare il contagio, le misure alternative adottate dopo la prima ondata del virus hanno funzionato? E al contempo, come hanno reagito le attività lavorative del Terzo settore e del privato che lavorano con e nel carcere?

Bisogna ammettere che misure alternative hanno funzionato per liberare le carceri, si è passati da oltre 61 mila detenuti e meno di 55 mila. I semi-liberi sono fuori dalle carceri, ma in Italia si è puntato e scommesso sulla detenzione domiciliare. Questo ha solo cambiato il luogo, di detenzione, ma non il percorso di reinserimento sociale e anche lavorativo dei detenuti. Chi sconta una pena in regime di articolo 21 o i detenuti che andavano fuori dal carcere per i lavori sociali sono stati messi “in frigo”, e lì stanno da due anni. Con percorsi di crescita personale e professionale interrotti. In carcere, dove non si è autonomi in niente, neppure per fare la doccia, visto che anche per questa pratica di igiene quotidiana bisogna essere accompagnati, l’isolamento dagli altri detenuti di chi esce per lavorare è impraticabile. Per questo il lavoro in carcere e fuori rischia di essersi compromesso, vista la fragilità che questo meccanismo aveva già prima del virus. Anche perché in media lavorava nel 2021 il 43,7% dei detenuti. Ma la maggior parte di loro è alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria e con mansioni che spesso non hanno alcuna spendibilità all’esterno.

A questo punto è il caso di riprendere uno dei discorsi di apertura: la carenza di personale: manda almeno la metà dei direttori nelle carceri, mancano agenti penitenziari, che però in proporzione sono quasi “al completo” rispetto alla mancanza del personale sanitario e quello dell’area trattamentale-rieducativa…

Se si guarda al personale solo il 44% delle carceri ha un direttore incaricato. Ma mi preoccupa un altro dato, ancora di più: ogni 100 detenuti sono in media disponibili 8 ore di servizio psichiatrico e 17 di servizio psicologico, anche se, sempre in media, il 7% dei detenuti ha una diagnosi psichiatrica grave e il 26% faceva uso di stabilizzanti dell'umore, antipsicotici o antidepressivi. Segno di un carcere che oggi, ancor più del passato, è un contenitore dell’emergenza sociale, della povertà e dell’esclusione. In più solo solo nel 21% degli istituti c’è un qualche servizio di mediazione linguistica e culturale a fronte di una presenza media di detenuti stranieri al 32,6%.

A proposito di diagnosi e presa in carico di pazienti con disturbi psichiatrici: nell’anno appena passato 61 persone si sono tolte la vita all’interno degli istituti di pena italiani, dove si attestano 11 casi di suicidio ogni 10 mila persone. Questo è il tasso più alto degli ultimi 20 anni. L’Osservatorio di Antigone ha registrato 23,8 episodi di autolesionismo ogni 100 detenuti. Gli istituti con numeri alti di sovraffollamento hanno altrettanto alti numeri di episodi di autolesionismo. In questo quadro, oltre alla mancanza di personale formato, quanto contano celle non a misura d’uomo?

Parto da alcuni esempi concreti di carceri visitate, così da far toccare con mano il dramma: nel carcere fiorentino di Sollicciano, dove sono stati registrati in media in un anno 105 atti di autolesionismo ogni 100 detenuti, o nel Lorusso Cotugno di Torino, dove nel reparto Sestante erano detenuti in condizioni inaccettabili 17 pazienti psichiatrici. Dalle visite che abbiamo fatto è emerso che in un terzo degli istituti c'erano celle in cui i detenuti avevano meno di 3 mq a testa di spazio calpestabile, quindi al di sotto del limite per il quale la detenzione viene considerata inumana e degradante. Ma non è solo il dato dei metri quadri a destare preoccupazione.

Nel 40% delle carceri c'erano infatti celle senza acqua calda e nel 54% celle senza doccia, come pure sarebbe previsto dal regolamento penitenziario ormai in vigore dal 2000. Mentre in 15 istituti non ci sono riscaldamenti funzionanti e in 5 il wc non è in un ambiente separato rispetto al luogo dove si dorme e vive. Questo incide sulla salute mentale dei detenuti e, senza banalizzare un tema complesso, dovremmo averlo compreso tra le situazioni di quarantena e lockdown che abbiamo vissuto tutti in questi anni di pandemia.

Intanto negli ultimi giorni dell'anno sono partiti tre processi per le violenze nelle carceri italiane: Monza, Santa Maria Capua Vetere e Torino. C’è stata violenza di Stato, e in quei casi sappiamo, abbiamo visto, ci sono casi dove non è emerso, quanto è importante che le carceri siano trasparenti, permettendo un monitoraggio di Stato, ma anche una somiglianza civica dei cittadini e di realtà come Antigone?

Per tutti e tre i casi che ha citato, Antigone ha presentato degli esposti alla competenti Procure della Repubblica e nei procedimenti è presente con i propri avvocati. La politica, insieme alla società civile, si è espressa in modo forte su queste dinamiche uscite alla ribalta con il premier Draghi e la Ministra Cartabia nel carcere campano. Nel caso di Santa Maria Capua Vetere con garante campano l’associazione Antigone è tra le parti civili perché crediamo sia una battaglia di civiltà volta a restituire al sistema penitenziario la sua dignità, anche in nome di tutte le migliaia di operatori penitenziari che con grandi sacrifici, quotidianamente, operano nelle carceri del nostro paese, visto quanto emerso nei 43 faldoni, nelle centinaia di chat e intercettazioni, per cui i capi di imputazione vanno dalle lesioni all’abuso di autorità, dal falso in atto pubblico alla cooperazione nell’omicidio colposo del detenuto algerino Lakimi Hamine, morto in cella a un mese dalle percosse. infine c’è un’accusa, quella di tortura, che per la prima volta viene contestata in un procedimento che riguarda il mondo penitenziario e della quale saranno chiamati a rispondere circa cinquanta agenti. Sono questi i numeri del processo sui pestaggi del 6 aprile 2020, ma quanti sono quelli che non abbiamo visto o fatto emergere? Dobbiamo monitorare e rendere trasparente il muro perimetrale delle carceri.

Anno nuovo propositi per un carcere diverso. Cosa fare? E dove è possibile agire subito?

Il regolamento delle carceri è nel regolamento d’esecuzione, che non è una legge dello Stato, non deve passare dal Parlamento, ma basta un atto del Ministro. Per questo sarebbe possibile intervenire istantaneamente su una massa enorme di regole, anche piccole, ma che insieme cambiano la vita e la giornata dei detenuti Il sistema penitenziario italiano ha bisogno di importanti riforme strutturali ma anche delle piccole cose, come cambiando la regola degli anni ’70 sulle telefonate in carcere, adattandola all’oggi, anche con le video chiamate entrate in carcere come effetto collaterale, per una volta positivo, della pandemia. Proprio negli ultimi giorni del 2021 la Commissione per l'innovazione del sistema penitenziario, voluta dalla Ministra Cartabia e presieduta da Marco Ruotolo, ha presentato una relazione che contiene diverse proposte in tal senso: dalla previsione di più contatti telefonici e visivi con l’esterno, al maggiore spazio assegnato alle tecnologie; dalla previsione di garanzie nei procedimenti disciplinari nei confronti delle persone detenute, fino all’attenzione prestata alla sofferenza psichica.

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