La decisione della Corte Penale Internazionale di emettere un mandato di cattura internazionale nei confronti di Vladimir Putin è sicuramente un fatto importante dal punto di vista simbolico, a richiamare la necessità che non vi possano essere impunità per i crimini di guerra e quelli contro l’umanità. Sarebbe ancor più importante se non lasciasse alcuno spazio a ipotesi e sospetti di un “doppio standard” da parte della Corte de L’Aia e di un uso politico della giustizia non solo quanto al merito e ai destinatari dei provvedimenti, ma anche sulle loro tempistiche.
Non è certo indifferente che questa clamorosa scelta arrivi alla vigilia della visita di Stato in Russia da parte del presidente cinese Xi Jinping, tanto più ricordando che la Cina è l’unico paese – e non certo di secondo piano – ad aver messo sul tavolo internazionale un proprio Piano di pace per l’Ucraina; un Piano limitato, ambiguo, discutibile fin che si voglia, ma pur sempre un autorevole tentativo di aprire possibilità se non già di negoziati e trattative quanto meno di un percorso diverso dal massacro a oltranza e dall’escalation quotidiana.
In tal senso, obiettivamente, anche la decisione della Corte e i tempi scelti rischiano di contribuire a tale pericolosa progressione all’infinito del conflitto. Confermando una volta di più (o di troppo), quanto registrato con preoccupazione dalla Santa Sede, una delle poche voci che, dall’inizio di questa tragedia, non si stanca di invitare «tutti i responsabili politici delle nazioni», a non farsi «coinvolgere in una pericolosa escalation». Invece, «settimana dopo settimana, mese dopo mese, da quel 24 febbraio che ha segnato l’inizio della guerra con l’invasione russa dell’Ucraina, tutto è sembrato precipitare come per inerzia, quasi che l’unico esito possibile fosse la vittoria di uno sull’altro. Sono mancati creatività diplomatica e coraggio per scommettere sulla pace» (Andrea Tornielli, Quella responsabilità dei capi delle nazioni, 3 ottobre 2022).
Non solo nelle dichiarazioni dei due paesi direttamente in conflitto, ma nelle scelte degli altri due attori determinanti, Stati Uniti e Unione Europea, da mesi appare evidente che l’unico schema previsto è quello della guerra, che l’unico scenario consentito e perseguito è la vittoria militare. Vittoria o morte, vittoria e morte.
L’errore di Putin
Il crimine originario di Putin, l’aggressione e invasione dell’Ucraina, si è rivelato un errore strategico e si è trasformato in una trappola senza vie di uscita che si sta richiudendo inesorabilmente, giorno dopo giorno, non solo su di lui e sulla Federazione Russa, ma sul complessivo (dis)equilibrio globale. Lo scenario è quello che vede da tempo profilarsi sullo sfondo il confronto finale tra le due vere superpotenze, Stati Uniti e Cina. La guerra in Ucraina è una tappa e un’accelerazione drammatica in questa direzione e i suoi esiti rischiano di renderla irreversibile.
Una prospettiva che sembra aver compreso, per primo e per intero, solo papa Francesco: «È un errore pensare che questa è una guerra tra Russia e Ucraina e basta. No: questa è una guerra mondiale», i cui ammonimenti sono stati respinti con sufficienza dalla comunità internazionale e in particolare dall’Unione e dai capi di Stato europei: «Credo sia un errore pensare che sia un film di cowboy dove ci sono buoni e cattivi» (Civiltà cattolica, n. 4135, ottobre 2022).
Poche altre – ma altrettanto preziose e fondamentali – le voci che si sono spese in una sollecitazione diplomatica, come quel “club della pace” rappresentato dai presidenti di Brasile, Messico e Colombia. E di nuovo tornano le tempistiche e le coincidenze, dato che è fissata la visita in Russia da parte del presidente Lula la settimana dopo quella di Xi Jinping. Il positivo protagonismo dei paesi che, assieme alla Russia, compongono i BRICS è totalmente ignorato dai media occidentali, ma costituisce una delle poche speranze che lo «schema della guerra» si possa prima frenare e poi fermare.
La possibile «creatività diplomatica» sembra invece venire contrastata a ogni suo tentativo dall'Occidente, colpo su colpo. La «scommessa della pace», che mobilita i movimenti europei e mondiali e convince la maggioranza delle opinioni pubbliche, viene negata e concretamente osteggiata dai governi di Stati Uniti ed Europa.
La verità si allontana sempre di più, assieme a ogni ricostruzione degli antefatti di questa guerra, senza la cui disamina e affrontamento ogni soluzione del conflitto diversa dalla “vittoria” risulta impraticabile.
La guerra è un crimine
Una verità che non si vuole vedere e accettare è quella che la guerra, ogni guerra, è un crimine in sé e di per sé, mentre la vittoria militare facilmente diventa premessa di guerre future.
La guerra è disumana e disumanizzante. Constatarlo, descriverlo e documentarlo non significa deresponsabilizzare o giustificare il comportamento e le scelte dei singoli quando accettano di essere strumento di quella macchina di morte, né esimere da ogni possibile sforzo per ridurne il più possibile le efferatezze, per regolamentare e punire le violazioni di quanto già normato dal e nel diritto internazionale e umanitario. Semmai, significa costruire le premesse morali, culturali e politiche per sabotare e inceppare definitivamente quella macchina criminale.
È lo stesso articolo 8 dello Statuto di Roma, istitutivo della Corte Penale Internazionale, dove vengono elencate le moltissime casistiche e condotte che configurano i crimini di guerra, a suggerire implicitamente che la guerra non è altro che un insieme di delitti. Non può esistere, né è mai esistita guerra che ne sia esente. Tanto più ricordando come, a partire dalla invasione dell’Afghanistan da parte degli Stati Uniti (invasione che Noam Chomsky, nel suo ultimo libro, Poteri illegittimi, definisce «criminalità allo stato puro»), essa si sia sempre più esternalizzata, appaltandosi in misura crescente a contractors, vale a dire a compagnie private che dell’uccidere (e, a latere, rapire, torturare, stuprare, saccheggiare) hanno fatto una professione, resa legale e remunerata (quasi 250 miliardi il fatturato nel 2021) dal cinico interesse degli Stati e ampiamente presente anche in Ucraina, in entrambi gli schieramenti sul campo. Come da parte di entrambi risultano commessi crimini, pur in proporzioni diverse. I Rapporti della Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta sull’Ucraina hanno ufficializzato che crimini di guerra, violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario sono stati commessi in Ucraina e che le forze armate russe sono responsabili della stragrande maggioranza delle violazioni individuate, compresa la deportazione e trasferimento di bambini ora alla base del provvedimento della Corte de L’Aia; ma anche le forze ucraine hanno commesso violazioni del diritto internazionale umanitario, inclusi due casi che si qualificano come crimini di guerra.
Senza pace, senza giustizia
È vero che non ci può essere pace senza giustizia, ma è altrettanto vero che non è possibile realizzare veramente quest’ultima mentre parlano le armi. A meno che non si intenda anche il diritto e la giustizia come un’arma offensiva, in un’arbitraria supplenza della responsabilità politica e delle sue prerogative.
Supplenza resa peraltro maggiormente possibile dal ritrarsi stesso dell’Unione Europea da un ruolo e un protagonismo autonomi nel segno della diplomazia. Gli stati europei aderenti alla NATO negli ultimi cinque anni hanno scommesso sulla guerra, non sulla pace. Lo mostrano pure i dati sull’importazione di armi, aumentata del 65%. Nel 2022 l’Ucraina è diventata il terzo più grande importatore di armi importanti. L’italiana Leonardo in quello stesso anno ha visto crescere gli utili del 58,5%.
Dopo oltre un anno, morte e distruzione trionfano in Ucraina, il conflitto rischia ogni giorno di allargarsi e di divenire nucleare, ma il sistema della guerra festeggia.
Proprio Il sistema della guerra e i diritti violati dei popoli è il tema e il titolo scelto da Fondazione Basso, Tribunale Permanente dei Popoli e Associazione Società INformazione/Rapporto Diritti Globali per l’iniziativa che si terrà mercoledì 22 marzo, ore 17, presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso, in via della Dogana Vecchia 5 a Roma, in occasione della pubblicazione del 20° Rapporto sui diritti globali.
A ricordare che dove c’è guerra non ci sono più diritti, libertà, democrazia, ma anche che quel che è certo è che l’unico vincitore di questa guerra – e di tutte le altre – sarà quel sistema criminale.
Come già ricordava la poesia del grande e dimenticato Bertold Brecht nel Novecento: Fra i vinti la povera gente faceva la fame / Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.
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