Cultura

Baby Gang è lo specchio del fallimento delle agenzie educative

di Lorenzo Maria Alvaro

Nei giorni scorsi il bravo collega Luca Cereda ha raccontato su Vita.it la storia di Baby Gang, nome d'arte di Zaccaria Mouhib, è una ragazzo italiano di seconda generazione, nato e cresciuto a Lecco da una famiglia di origine marocchina. Sono stato io a mettere sul sito il pezzo e a titolarlo “Baby Gang, la voce della generazione dei senza voce”.

Il pezzo racconta di lui, della sua musica, della sua storia e della sua Lecco, anche grazie allo sguardo di chi, come Don Claudio Burgio, in un percorso fatto di carcere minorile, povertà e violenza ha saputo guardare oltre la superficie e trovare il buono e una chiave di riscatto, la musica. Il risultato è che oggi Baby Gang è un trapper emergente (sotto contratto con Warner Music).

Il risultato è che con la pubblicazione dell'articolo sono piovute sul giornale molte critiche. Proteste in generale per l'aver “dato spazio” a un brutto ceffo di tal fatta e nel particolare sul titolo (di cui sono responsabile) che darebbe dignità di parola a uno che sarebbe solito rendersi protagonista di “violenza verbale”. Il buon Cereda ha combattuto per sottolineare come invece il suo pezzo non dia voce a Baby Gang, di cui non è riportato neanche un virgolettato, a parte qualche stralcio di canzone, ma appunto al prete suo mentore.

Mi permetto però di andare oltre. Vita è in distribuzione con un numero sulla scuola, e sul sistema educativo in generale, dicendo che va ripensato. Proprio in questo contesto si era profilata l'ipotesi, abbandonata per problemi di tempistiche, di intervistare alcuni artisti, tra cui proprio Baby Gang sull'argomento. La tesi di Vita è che per ricostruire la scuola, ma ribadisco, vale evidentemente per il sistema educativo tutto, la precondizione deve essere il protagonismo dei ragazzi e l'ascolto da parte del mondo degli adulti. Su questo c'è un bel commento a cura di Paolo Iabichino.

Andrò oltre dicevo. Baby Gang non è solo un violento verbale. Le cronache sono piene di vicende, con rilevanza penale che lo vedono protagonista. Grazie al cielo ha fatto dentro e fuori dai carceri minorili di tutta Italia (non è un eufemismo) non per turpiloquio ma per fatti ben più gravi, di violenza tout court. E allora? Ora, che si stracci le vesti qualche leghista con l'ossessione della sicurezza e la frenesia da campagna elettorale lo posso capire. Ma che a scandalizzarsi siano professionisti del mondo dell'educazione e del terzo settore, gente che dovrebbe occuparsi del disagio e della marginalità, in particolare giovanile, lo trovo sconcertante. E molto preoccupante. che la società, largamente intesa, sopratutto oggi, non voglia vedere o, per dirla con Don Claudio Burgio «non ha il coraggio di osservare ciò che sta davanti ai nostri occhi da tempo». Che lo stesso capiti al sociale invece è inaccettabile. Come dice Simone Feder, che questi abissi li fissa negli occhi quotidianamente nel Boschetto di Rogoredo, chi andrà da questi ragazzi se non lo facciamo noi?

Per altro ascoltare Baby Gang, che si tratti dei testi delle sue canzoni o delle interviste che ha rilasciato, potrebbe fare molto bene anche a questi nuovi sceriffi del costume. Come in questa intervista su Noisey in cui, tra strafalcioni grammaticali, slang giovanili, atteggiamenti gangsta, tiene una lectio magistralis di cosa sia educare. Con una semplicità e una sincerità disarmanti. Dice semplicemente la verità su tanti temi: il carcere, il mondo degli adulti, la povertà.


Dire che il problema sia la violenza verbale, parlando di un ragazzo che dall'età di otto anni va a vivere in stazione per non pesare sul bilancio famigliare, significa vivere in un mondo altro, fantastico. Un mondo degli adulti come questo merita tutta la violenza verbale di Baby Gang.

Zaccaria rappresenta una sofferenza vera, originale. Ed è a questa che vanno date risposte. Occuparsi di un disagio addomesticato, innocuo e inoffensivo semplicemente significa non occuparsene. Una scuola fatta per chi non ha porblemi di studio non serve a nulla. Come non serve un prete per chi è devoto e non serve una comunità di recupero per chi è già uscito dalle sostanze. Parafrasando una nota pubblicità "vi piace vincee facile".

A questo punto la domanda, soprattutto all'indomani della decisione del questore di Lecco che ha daspato (dato il foglio di via) Baby Gang vietandogli l'ingresso sul territorio di Lecco, è solo una: ma dove sono la scuola, le realtà sociali, gli educatori? A parte Don Claudio chi altro c'è? «Quando ti trattano come un animale, legandoti con le catene, l'unico risultato è che appena senti che la catena non c'è più, che sei di nuovo libero, parti. E corri più forte che puoi, come i cani», spiega Zaccaria. Perché nessuno ha la voglia o l'interesse di provare a raccontare ai tanti Baby Gang che ci sono là fuori cosa sia, ad esempio, la libertà?

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