Famiglia

Accogliere la famiglia d’origine: la sfida delle adozioni oggi è (anche) questa

Settimana prossima la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi sulla incostituzionalità della legge sulle adozioni, nel punto in cui prevede che i rapporti con la famiglia di origine vadano sempre tagliati, in automatico. Ma oggi, dice l'esperto di adozioni internazionali Marco Rossin, tantissimi minori adottati grandicelli mantengono già - di fatto - i rapporti con dei familiari. Dopo 40 anni, un cambiamento normativo è quindi plausibile. Ma al posto del divieto, cosa mettere? Certo non la discrezionalità dei singoli Tribunali o il semplice buonsenso

di Marco Rossin

Elijus è appena salito in auto, è seduto sul sedile posteriore di fianco ai suoi nuovi genitori. Sa che sta lasciando l’istituto per sempre e che la sua vita d’ora in poi sarà un enorme punto interrogativo. C’è tensione e silenzio, tutti sono nervosi e spaventati da quello che succederà, da quello che li aspetta. La quiete viene però interrotta da un telefono che suona. Elijus mette una mano in tasca, prende un telefono sconosciuto a tutti e risponde. Parla una lingua che nessuno riesce a capire fino in fondo, ma quello che tutti capiscono chiaramente è il ripetersi di una parola: “mama”.

Tra pochi giorni la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sull’ordinanza della Cassazione dello scorso settembre e sulla costituzionalità o meno di un requisito fondante la legge che oggi regola le adozioni nazionali ed internazionali: l’interruzione definitiva dei legami familiari del bambino adottato. In altre parole, si deciderà di legittimare o meno la cosiddetta adozione aperta nel sistema normativo italiano (in allegato l’ordinanza).

L’attuale norma, la 184 del 1983, è figlia della cosiddetta legge Dal Canton del 1967, che per la prima volta ha spostato l’attenzione dai diritti degli adulti a quelli del bambino, rendendoli il fulcro di tutto l’apparato normativo. L’adozione fino ad allora rispondeva in maniera quasi esclusiva ad un bisogno degli adulti, ossia al desiderio di una coppia di avere un figlio, una continuità nel mondo, un erede. Appariva quindi rivoluzionario spostare il centro dell’attenzione sul diritto del bambino, come appunto proposto dalla legge del 1967 e consolidato dalla legge del 1983. Per poter essere famiglia a tutti gli effetti, era però allora considerato necessario che l’immagine ingombrante della famiglia biologica del bambino venisse lasciata fuori dalla porta: tradotto in norma significava recidere completamente i legami del bambino con la famiglia di origine. Solo in questo modo, cancellando il passato, la famiglia adottiva poteva sentirsi legittimata nel suo ruolo di vera famiglia.

La legge 184, che regolamenta le adozioni, prevede che l’immagine ingombrante della famiglia biologica venga lasciata fuori dalla porta. Solo cancellando il passato, la famiglia adottiva poteva sentirsi legittimata nel suo ruolo di vera famiglia

Marco Rossin, AVSI

L’adozione aperta è già realtà

L’attesa pronuncia della Corte Costituzionale riguarda quindi tutt’altro che un cavillo giuridico, ma potrebbe piuttosto diventare un modo per far rientrare prepotentemente in casa il fantasma – e non solo – della famiglia di origine dei bambini adottati.

Qualche segnale premonitore di cambiamento in realtà c’è da tempo. Dal 1999 l’Italia ha ricevuto almeno 35 condanne da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo a causa della rigidità della legge 184, proprio riguardo alla rescissione dei legami familiari. La società attuale e il modello familiare che ci troviamo di fronte giorno dopo giorno appaiono sempre meno rappresentati da una legge di quarant’anni fa. In un mondo dove la connettività, la globalizzazione e l’esposizione mediatica la fanno da padroni, pensare ad un taglio così netto, definitivo e aprioristico appare quanto meno ambizioso. Nel quotidiano lavoro nelle adozioni – penso soprattutto a quelle internazionali – è sempre più evidente che l’adozione mite è già un dato di fatto e il lavoro che viene chiesto alle famiglie adottive va esattamente nella direzione di accogliere in casa quel fantasma che negli anni ‘80 andava sepolto: oggi occorre accettarne l’immagine e l’idea, sempre più spesso presenti nei ricordi dei figli.

Ovviamente adottare un bambino nato in un Paese straniero non significa sistematicamente trovarsi di fronte a una situazione come quella di Elijus, come è palese la differenza tra accogliere in casa l’idea di un genitore biologico e l’accogliere un rapporto più o meno continuativo, con persone in carne ed ossa. Ci troviamo di fronte a un nodo normativo e psicologico per cui un genitore adottivo nel 2023 è tenuto ad accogliere in casa la famiglia biologica del figlio, valorizzarla: il rapporto con il figlio si reggerà sulla capacità di accogliere questa realtà, ma la legge non lo prevede.


È sempre più evidente che l’adozione aperta è già un dato di fatto e il lavoro che viene chiesto alle famiglie adottive va esattamente nella direzione di accogliere in casa quel fantasma che negli anni ‘80 andava sepolto. Un genitore adottivo nel 2023 è tenuto ad accogliere in casa la famiglia biologica del figlio, a valorizzarla: il rapporto con il figlio si reggerà sulla capacità di accogliere questa realtà, ma la legge non lo prevede.

Il rischio di una voragine normativa

L’Ordinanza della Cassazione, che mira al superamento del taglio definitivo dei legami familiari con la dichiarazione di incostituzionalità di un passaggio dell’articolo 27 della Legge 184, rischia però di aprire una voragine normativa lasciando alla Consulta la definizione di un tema fondante del concetto di adozione che l’intero quadro normativo regola. Difatti se l’articolo in questione è incostituzionale, da cosa verrà sostituito? Dalla discrezione del Tribunale per i minorenni, da qiella dell’operatore sociale o dal buonsenso?

Possiamo dire che la proposta è condivisibile: si orienta verso una maggior considerazione del superiore interesse del minore, dove, se un legame emotivo è fonte di benessere e ricchezza, va mantenuto. La stessa proposta però reca un rischio di fragilità interno che potrebbe portare alla situazione esattamente opposta, dove un adulto con sufficiente dedizione e forza giuridica potrebbe subordinare il diritto del bambino al suo personale intento.

Siamo di fronte a una pronuncia che potrebbe stravolgere il quadro normativo. Ma se l’articolo in questione è incostituzionale, da cosa verrà sostituito? Dalla discrezione del Tribunale per i minorenni, da qiella dell’operatore sociale o dal buonsenso?

Marco Rossin

Siamo quindi di fronte a una pronuncia che potrebbe stravolgere il quadro normativo e, al contempo, adattarlo a una realtà che si è già palesata. Il tema di discussione, come spesso accade, appare ideologico e sulle ideologie ci si pronuncia. La questione però è tutt’altro che ideologica e – a meno di voler negare la realtà – la sfida per chi si occupa di adozioni internazionali va in un’altra direzione, ossia su come aiutare le famiglie che oggi vogliono accogliere un bambino nato in un Paese straniero a proporsi come quell’ambiente amorevole ed educativamente consapevole di cui loro figlio avrà bisogno. Questa sfida non inizia sicuramente oggi né inizierà con la Pronuncia della Consulta, come ben sa chi di questi temi si occupa quotidianamente. Questa però può essere l’occasione per superare ideologie oramai obsolete e appartenenti a un mondo che non corrisponde più all’attuale e impegnarsi per fornire un servizio migliore a bambini che di protezione e affetto hanno bisogno.

*Marco Rossin è responsabile adozioni di Avsi

Foto di Maheima Kapur su Unsplash

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