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Tunisia: un Paese da aiutare, non da comprare

Più della metà delle persone che sono arrivate sulle coste italiane, dall’inizio del 2023, sono partite dalla Tunisia. Qui la disoccupazione giovanile raggiunge picchi del 40%. Adesso l’Europa offre 150 milioni di euro subito, senza condizioni, per bloccare le partenze. Don Domenico Paternò, salesiano di Missioni don Bosco, vive da dieci anni nel Paese: «Questa non è la strada giusta. Così si agevola il traffico di esseri umani e si arricchiscono le organizzazioni di tipo mafioso da entrambi i lati del Mediterraneo»

di Anna Spena

Dal primo gennaio 2023 al 13 giugno sono sbarcate sulle coste italiane 55.160 persone, più del doppio di quelle registrate nello stesso periodo del 2022, dove gli arrivi erano stati 21.884. Nel 2023 più della metà delle partenze è stata registrata dalle coste tunisine. La Tunisia, ad oggi, ha superato la Libia diventando il primo Paese di partenza dei migranti. Le persone partono infatti da Sfax, la seconda città del Paese, diventata da qualche mese un hub migratorio verso l’Italia, da cui la separano appena 150 chilometri. La maggior parte dei migranti fugge dall'Africa subsahariana, è ancora relativamente basso il numero di tunisini che sceglie la Rotta del Mediterraneo Centrale per raggiungere l’Europa: 3.824, dall’inizio dell’anno sul numero degli arrivi totali. L’aumento di arrivi dal Paese fa “tremare” l’Unione Europea che però sulla questione immigrazione continua a guardare il dito invece che la luna, ne è una dimostrazione l’accordo sul patto migrazione e asilo, ne abbiamo parlato qui “Accordo sul patto migrazione e asilo, Miraglia (Arci): «Agevola i trafficanti di esseri umani»”.

Verso un nuovo memorandum per fermare gli arrivi

È di pochi giorni fa l’incontro tra il presidente tunisino Kais Saïed e una delegazione composta da Ursula von der Leyen, la premier Giorgia Meloni e il primo ministro olandese Mark Rutte, queste le proposte dell’Unione: 150 milioni di euro subito, senza condizioni, stanziati dall’Unione Europea alla Tunisia, con l’ulteriore promessa di aiuti fino a 900 milioni, vincolati all’attuazione delle riforme richieste dal Fondo Monetario Internazionale. L’obiettivo è rafforzare il controllo dei confini marittimi tunisini per ridurre i flussi migratori verso l’Europa. Esplicita l’intenzione di arrivare – entro la fine di giugno – a un memorandum d’intesa con la Tunisia. Ma è una soluzione? Ricordiamo che la strada del memorandum è stata già percorsa. E infatti con il memorandum Italia – Libia, il Paese ha incassato soldi e legittimazione politica dai partner europei e le milizie hanno volontariamente spostato il flusso migratorio sulla Tunisia, di fatto “traslocando” i migranti da un Paese all’altro, ma le partenze non si sono fermate. Perché i migranti continuano ad essere utilizzati come merce di scambio?

Tunisia, un Paese fragile

La Tunisia, poco più di 12 milioni di abitanti, è però un Paese in estrema difficoltà. I tentativi di attraversare il mare dalla costa intorno a Sfax sono aumentati negli ultimi tre mesi, in mezzo a un'ondata di violenza razzista scatenata da un discorso incendiario del presidente Saïed, secondo il quale “la migrazione clandestina dall'Africa subsahariana” sarebbe parte di una cospirazione internazionale per modificare il “carattere demografico della Tunisia”. In Tunisia i salari in termini reali valgono il 30% in meno del 2011, l'inflazione è di circa il 10,5%, il tasso più alto degli ultimi 3 decenni. Ma a fare più paura è il tasso di disoccupazione sfiora il 20%, con punte fino al 40% soprattutto tra i giovani. Gli aiuti europei e internazionali – che insieme varrebbero il 6% del Pil – saranno dunque cruciali per evitare il collasso economico del Paese. «Non è però scontato», come sottolinea l’Ispi,Istituto per gli studi di politica internazionale, «che i finanziamenti abbiano l’impatto sperato. Il confronto con la Libia aiuta a capire il perché. Dopo il Memorandum Italia-Libia del 2017, le milizie libiche avevano effettivamente ridotto gli sbarchi. In Tunisia, però, la gestione delle migrazioni è molto più frammentata: anziché essere controllati da una rete di milizie, i flussi sono gestiti da un mosaico di “fornitori” minori più difficili da sorvegliare. Probabile quindi che gli aiuti al governo avranno effetti più contenuti sul calo degli sbarchi».

La Tunisia raccontata da chi ci vive

Don Domenico Paternò, missionario salesiano di Missioni don Bosco, vive da dieci anni a Manouba, città della cintura di Tunisi. «La fotografia che si fa di questo Paese», racconta Paternò, «spesso non corrisponde al reale. Certo viviamo una situazione delicata, difficile. Fra il crollo del turismo post-pandemia e gli effetti dell’invasione dell’Ucraina, l’economia tunisina attraversa un momento critico. Chiaro che i Paesi più deboli, come la Tunisia, risentano di più di queste circostanze. In Europa si teme per il numero di immigrati che parte, ma qui, invece, la paura più grande è quella sulla disoccupazione giovanile, il tasso è troppo alto».

Oggi leggiamo frasi come “la Tunisia rischia il collasso”, “aiutiamo la Tunisia”, “la crisi spinge i barconi”. Ma siamo sicuri che il problema sia nato oggi? «Bisognerebbe», continua Paternò, «guardare alla storia del Paese degli ultimi dieci anni, e non solo ora che è aumentato il numero di partenze dalle sue coste». Basti ricordare il 2016, quando la rivolta di Kasserine ha infiammato le città dell’interno e i quartieri popolari di Tunisi rivendicando lavoro, fine della precarietà, delle discriminazioni, delle disuguaglianze, dei privilegi, della corruzione, degli abusi. “Erano le stesse rivendicazioni della ribellione che portò nel 2011 alla fuga del presidente Ben Ali dopo 23 anni di potere. E sono le rivendicazioni di oggi, aggravate dall’involuzione politica, la regressione democratica con lo scioglimento del Parlamento e la crescente repressione, l’erosione dei diritti umani e delle libertà civili, con il debito pubblico divenuto insostenibile”, si legge nell’analisi di Nino Sergi, presidente emerito dell'organizzazione umaniatria Intersos e policy advisor Link2007, in questo articolo “I politici di ieri e di oggi che non aiutano né la Tunisia né l’Italia”.

«La verità è che», aggiunge Paternò, «se si continua con questo approccio non si fa altro che agevolare il traffico di esseri umani e si arricchiscono le organizzazioni di tipo mafioso da entrambi i lati del Mediterraneo. La Tunisia è un posto con ottima gente, giovani eccellenti, un Paese che deve essere incoraggiato a valorizzarsi. E sui migranti c’è bisogno di aprire canali legali, non di bloccare le partenze. Non è una questione di motovedette e blocchi navali, ma di cogliere il fenomeno alla radice, lavorare sulle cause profonde». E sul presidente Kais Saïed, figura molto dibattuta dai media europei «si ha», spiega Paternò, «una visione diversa qui in Tunisia. «Ha fatto scelte discutibili, ma secondo me necessarie. Quando a luglio di due anni fa ha sciolto il parlamento (ne abbiamo parlato qui: Tunisia, il racconto di Mohamed Basti: «Situazione difficile, ma il Paese può ripartire dai giovani»), la popolazione l’ha sostenuto. E ancora oggi, in parte, lo fa. Il fondo monetario internazionale chiede riforme, ma le riforme richiedono tempo, non si possono fare da un mese all’altro. Soprattutto in una situazione economica così delicata. In Tunisia ci vuole un approccio pragmatico, non ideologico. Ripeto che stanziare i fondi solo con l’obiettivo di fermare gli sbarchi è sbagliato, bisogna smettere di ricattare il Paese sui suoi bisogno, e sostenerlo per abbassare il tasso di disoccupazione».

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