Sostenibilità
Chi rema contro le comunità energetiche?
Malgrado gli impegni del ministro dell'Ambiente Pichetto Fratin che a febbraio aveva promesso 20mila comunità energetiche rinnovabili, il Governo di Roma non ha ancora sbloccato la norma attuativa. L'economista Leonardo Becchetti: «Una parte del Paese è ostaggio di vecchie mentalità»
di Redazione
Il professor Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma Tor Vergata è uno dei maggiori esperti di comunità energetiche in Italia. Da mesi il nostro Paese aspetta che il Governo vari il decreto attuativo che normerà la nascita delle Cer (Comunità energetiche rinnovabili). Un provvedimento che, malgrado gli annunci, sembra essere finito su un binario morto.
A febbraio il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin si è dato come obiettivo l’avvio di 20mila comunità energetiche in Italia, promettendo che da lì a pochi giorni si sarebbe sbloccato l’iter con la Commissione europea per dare il via libera al decreto attuativo. Oltre tre mesi dopo del provvedimento non si sa più nulla. Può aiutare a fare chiarezza?
L’entusiasmo del ministro ci conforta e speriamo vivamente riesca a raggiungere l’obiettivo che lui stesso si è prefissato. Sappiamo di essere in attesa dell’ok dall’Unione Europea. Abbiamo accumulato un ritardo di un anno (il decreto attuativo sarebbe dovuto uscire nel maggio scorso). Ritardo accumulato soprattutto dal governo Draghi che ha dato priorità zero alla questione.
Perché il decreto è così importante? Cosa dovrà regolamentare?
L’Unione Europea ha previsto che il 75% della domanda di energia dovrà essere soddisfatta da rinnovabili entro il 2050 e che il 16 percento di questa da progetti collettivi come le comunità energetiche. Negli Stati Uniti si calcola che le comunità energetiche generano circa l’11% dell’energia totale nel paese con un ruolo chiave per l’elettrificazione in aree a bassa densità abitativa L’importanza delle comunità energetiche è duplice. In primo luogo ridurre l’effetto NIMBY ovvero l’ostilità delle comunità locali verso la produzione di energia coinvolgendole direttamente nella produzione e nei benefici derivanti da essa. In secondo luogo aumentare strategicamente la quota di domanda di energia soddisfatta localmente per favorire la tenuta della rete elettrica in un futuro già iniziato in cui quasi un milione di italiani immettono energia in rete. Più le autostrade della rete funzionano bene, meno sono intasate e meglio è. Per questo chi produce e consuma localmente offre un servizio alla rete e su questo lo stato lo remunera con un premio per l’auto consumo. C’è un altro motivo più profondo però che appassiona sul tema. Le nostre comunità sopravvivono e non implodono se esiste un livello minimo di capitale sociale e virtù civiche. Conquistare spazi di libertà, democrazia e cittadinanza attiva è dunque fondamentale. Oggi le frontiere più interessanti in materia sono quelle del consumo e del risparmio responsabile, delle comunità energetiche, dell’amministrazione condivisa e della coprogettazione.
Quali le conseguenze di questa vacatio legis?
Sono conseguenze gravi di cui i colpevoli dei ritardi si assumeranno la responsabilità presso le generazioni future. Sono testimone del fatto che la forza del nostro paese sta nella vitalità e nella capacità progettuale di cittadini e imprese. Siamo pieni di progetti di comunità energetiche, di impianti individuali e di grandi impianti per un totale di capacità installata potenziale di gran lunga superiore ai nostri obiettivi di decarbonizzazione entro il 2030. I ritardi della politica stanno facendo da freno e rischiano di non governare un processo che comunque cammina. Mentre le autorizzazioni sui grandi impianti arrivano in ritardo e la nascita delle nuove comunità energetiche è bloccata molti proprietari di appezzamenti ricevono richieste da società che offrono affitti ben remunerati per tappezzare di pannelli le superfici agricole. Il rischio della lentezza della politica è una transizione selvaggia e non regolata. In Francia nel frattempo hanno approvato una legge che obbliga i parcheggi con più di 80 posti alla copertura con pannelli fotovoltaici che assicurerà da sola quasi l’8% del fabbisogno di energia. Questo vuol dire governare il cambiamento ed evitare di esserne travolti.
Ha il sentore che ci sia qualcuno che sottotraccia rema contro il decreto?
Una parte del paese (imprese, cultura, politica e comunicazione in modo trasversale) è ostaggio di vecchie mentalità. Più la transizione è lenta e non governata e maggiori sono i suoi costi sociali soprattutto per quei più deboli che la temono di più e si vorrebbe proteggere. E meno avremo un sistema industriale capace di affrontarla in condizioni di forza nonostante alcune chiare eccellenze nella produzione di pannelli e pale eoliche. E’ una gara iniziata da tempo dove Cina e Stati Uniti sono molto avanti e rischiano di monopolizzare a livello industriale il percorso che comunque si farà.
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