Welfare

Luisa, Irene e quella passione per i dolci

Un percorso accidentato, i limiti dell’assistenza, il supporto associativo ma un rapporto fra madre e figlia che resiste alla durezza del vivere, come quando nel fine settimana

di Sara Bellingeri

Hanno entrambe gli occhi grandi e il sorriso lieve, Luisa Fierro e Irene Dottor, mamma e figlia, complici nella vita e in quel gomitolo di ombre e luci che ne fa parte. Per tutta l’intervista restano vicine e non sono solo gli abbracci e i baci che Irene regala alla mamma a far capire quanto siano unite: tra loro c’è un filo intenso, di conoscenza profonda, quella che solo amore e tempo possono ricamare. Irene mi osserva curiosa con i suoi occhi immensi e scuri evidenziati da una frangetta sbarazzina e dal sorriso che ogni tanto sgattaiola fuori acciuffando tutto: le pause, i silenzi, le parole dette o lasciate in attesa.

A introdurmi nella loro storia è Luisa, nella cui voce albergano stanchezza e insieme tenacia.

«Quando era molto piccola io e il papà di Irene vedevamo che non interagiva con noi e ci siamo attivati presto con le prime valutazioni», spiega. La diagnosi di autismo viene poi confermata e riflettendo sul sistema dei servizi Luisa afferma: «La scuola è stato il tasto più dolente: mancavano spesso i docenti preparati o le ore del sostegno. Al secondo anno della scuola materna Irene è dovuta stare a casa due mesi perché non c’era l’insegnante di sostegno». Una vera e propria discriminazione.

«Se l’insegnante non è preparato aumentano stereotipie e non ci sono progressi per i bambini con autismo>, sottolinea Luisa. Un altro giro di boa da affrontare arriva con la maggiore età di Irene: “L’Asl ci passa quattro ore e mezza di terapia a settimana: si tratta di interventi educativi e di terapia occupazionale ma non basta», evidenzia, «il sabato e la domenica non c’è nulla, Irene sta sempre con noi genitori e i fratelli che danno un grande supporto ma la socializzazione con i coetanei è importante: Irene ha 20 anni».

Che cos’è che servirebbe? Luisa lo esplicita senza reticenze: «Ci vorrebbe un percorso dedicato all’autonomia e servizi che rispondano in maniera puntuale mentre invece bisogna sempre battagliare per avere il minimo!». Altra questione cardine è l’assenza di figure dedicate: «Mancano neuropsichiatri specializzati in autismo per adulti», chiosa Luisa che ribadisce al contempo il supporto che ha rappresentato per lei l’associazione LatinAutismo.

Il testimone dell’intervista viene passato ad Irene che ha scelto di partecipare: alla possibilità di prenderne parte o meno ha risposto un diretto “sì”.


Le chiedo: che cosa ti piace fare? Irene scoppia a ridere e la sua risata è contagiosa. Forse è l’emozione di rispondere a una domanda che raramente le viene rivolta o forse è l’emozione stessa dell’intervista. «Non lo so», risponde di primo acchito. Poi ci riflette un attimo e dice: «Ballare, cantare e… mangiare!». Le spiego che anche a me piace molto mangiare e scopriamo una passione in comune: i dolci. Con Irene rievochiamo i nostri preferiti, mettendo sul podio la cioccolata. Poi intervista facendo scoprirò che le piacciono anche la musica, comprare libri e giornali: stralci di vita che si scoprono a poco a poco rivelandone altri.

E che cosa ti piacerebbe fare come lavoro? Irene ride di più, poi rivela sottovoce che si occupa del giardino, «Porto la carriola con le foglie», dice, «si tratta di un’esperienza nell’ambito del progetto Latina Formazione», spiega la mamma.

Chiedo infine a Irene che cosa invece non le piace, lei sorride e guarda la mamma che con sguardo ironico, sempre colmo di affetto, le domanda a sua volta se le piace rifare il letto e apparecchiare la tavola. Irene risponde di sì ridendo, la mamma rincara la dose con un sorriso: «Ah, davvero? Sei bravissima a fare queste cose ma non sapevo che ti piacessero!».

Irene l’abbraccia forte e le parole non servono davvero più: il suo sguardo dice già tutto, mettendo ko diagnosi e definizioni. Ci sono solo madre e figlia in un ritaglio di quotidianità, disarmante nella sua bellezza, intatto nonostante le fatiche e i tanti “no” incontrati, perché loro due restano un immenso e forte sì.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.