Economia

«In azienda, prendersi cura delle persone è la vera ricchezza»

La figura del disability manager è ormai sempre più necessaria all'interno dei luoghi di lavoro, in cui la presenza di persone con disabilità è, fortunatamente, aumentata. Intesa Sanpaolo ha previsto un gruppo di 80 dipendenti che, tra le loro mansioni, svolgono anche questo ruolo, garantendo una presenza capillare e trasversale nelle varie strutture dell'istituto bancario

di Veronica Rossi

Quella del disability manager sta diventando sempre di più una figura chiave all’interno delle aziende. È ormai chiaro, infatti, che lavorare sull’inclusione e sul benessere dei dipendenti è un asset strategico, anche e soprattutto nelle grandi imprese. Il Gruppo Intesa Sanpaolo ha fatto da tempo suo questo concetto e ha organizzato un’attività ben strutturata su questo tema, che coinvolge diversi dipendenti, mantenendo al centro «l’attenzione verso le persone e il loro benessere». Ne abbiamo parlato con Patrizia Ordasso, responsabile affari sindacali e welfare Intesa Sanpaolo.

Dottoressa, com’è strutturato il settore del disability management in Intesa Sanpaolo?

Noi non abbiamo un solo disability manager: in seguito a un accordo sindacale firmato nel 2018 nell’ambito della contrattazione di secondo livello abbiamo costituito un gruppo di persone – in questo momento sono 80 – che non lavorano a tempo pieno in questo ruolo, ma svolgono all’interno della propria mansione una parte di lavoro dedicata al disability management. Si tratta di un mix di dipendenti, che permeano tutta la struttura aziendale con una sensibilità che una persona sola in una realtà ampia come la nostra non potrebbe avere.

Qual è il motivo per cui è importante coinvolgere persone con background ed esperienze diverse?

La disabilità non è una sola, sono tante. Evidentemente, quindi, bisogna capire cosa serve in relazione alla situazione che stiamo analizzando; il gruppo originario ha fatto un corso di alta formazione con l’Università cattolica del Sacro cuore e ha acquisito dalla Regione Lombardia il titolo di disability manager nel 2020. A maggio dello scorso anno è iniziata una seconda sessione, per formare coloro che si sono aggiunti o che hanno sostituito altri colleghi. Possiamo dire, quindi, che partiamo da competenze diverse, ma abbiamo una base e un linguaggio comune, che mette insieme tutti quegli strumenti che sono utilizzati poi nel lavoro quotidiano di inclusione.

E, partendo da questa base comune, come lavorate?

In un gruppo grande come il nostro, ovviamente, le persone con disabilità sono tante; noi seguiamo i singoli casi ma cerchiamo anche di sviluppare delle strategie, andando a lavorare sul tema dell’accessibilità, non solo fisica, ma anche digitale, che può essere utile sia per i dipendenti che per i clienti. Di recente abbiamo concluso una sperimentazione che abbiamo portato avanti con 300 persone con disabilità visiva e uditiva, nel corso della quale abbiamo sondato alcuni elementi che in generale potevano provocare disagio sul posto di lavoro. il primo è il «tecnostress», cioè la necessità di utilizzare prevalentemente strumenti informatici, il secondo è l’aging, quindi il modo in cui le difficoltà possono emergere all’aumentare dell’età, mentre il terzo è il carico cognitivo, legato al possesso o meno di competenze adeguate per svolgere quella determinata mansione. Durante la sperimentazione, abbiamo cercato di mettere a punto, insieme all’università, degli strumenti e dei training che i colleghi possono usare per approcciare meglio questi temi. Poi ci sono iniziative dedicate al singolo, per esempio le «Nuvole di solidarietà», che sono gruppi di supporto tra colleghi per aiutare nel quotidiano le persone con difficoltà.

Nel gruppo dei disability manager ci sono persone con disabilità?

Certo. Abbiamo, per esempio una persona cieca, una persona sorda e diverse persone con difficoltà motorie, che collaborano anche in relazione alle loro competenze specifiche. Il collega cieco, per esempio, ci sta dando una mano nell’elaborazione di percorsi per Gallerie d’Italia, il polo museale del Gruppo, che siano adatti anche a chi ha una disabilità visiva.

Quali sono le competenze fondamentali per un disability manager?

Serve la capacità di ascoltare, di individuare soluzioni e di lavorare in team; si tratta più di soft skills che di competenze specifiche. È evidente che la formazione puntuale è importante, per esempio su cos’è l’accomodamento ragionevole: si tratta di conoscenze necessarie, che possono anche essere acquisite quando si inizia l'attività, non sono richieste.

Come scegliete le persone che andranno a far parte del gruppo dei disability manager?

Raccogliamo autocandidature da parte delle persone delle varie strutture; da parte nostra abbiamo individuato in quali settori era necessario che ci fosse una presenza maggiore di queste figure e abbiamo preso le persone che sembravano più sensibili. Devo dire che non abbiamo avuto difficoltà a trovare candidati, perché è qualche cosa che permette di mettere in pratica alcune attività che si vorrebbero fare ma magari non si riescono a fare nel tempo libero: poterle fare nel proprio luogo di lavoro è appagante. Si tratta di un impegno che si svolge sempre in relazione con le organizzazioni sindacali, con cui ci interfacciamo nell’ambito di quello che chiamiamo «Comitato welfare, sicurezza, sviluppo sostenibile», un comitato misto tra azienda e sindacato che permette un confronto ampio su diversi temi e idee.

In azienda, oggi, è necessario avere un disability manager?

In azienda oggi è centrale che ci sia un interesse per le persone, di cui bisogna prendersi cura. Come dice Carlo Messina, nostro consigliere delegato, «Le persone sono l'asset più importante che abbiamo, in grado di fare la differenza rispetto ai competitor». Il tema della disabilità – permanente o temporanea, dovuta a un infortunio o a una malattia – è fondamentale per diversi motivi. Prima di tutto oggi, fortunatamente, ci sono sempre più persone con disabilità che lavorano. Poi, si possono creare delle situazioni di difficoltà nel corso della vita professionale, un fenomeno che vediamo anche con l'innalzarsi dell'età del pensionamento.

Intesa Sanpaolo ha permesso anche l’ingresso in azienda di cani che accompagnano persone con disabilità.

L'occasione si è creata con la nostra collega Maurizia, con problemi di disabilità motoria, che si fa assistere da un cane, che, tuttavia, dal punto di vista normativo non ha alcun diritto di portare sul posto di lavoro, perché non è la guida di un cieco. Con lei, che tra l'altro fa parte del gruppo disability, abbiamo analizzato la situazione, perché volevamo aiutarla. Una situazione complessa, perché complessa è l'organizzazione di una grande banca come la nostra. Per esempio, Maurizia lavora in un open space, quindi si pone la questione degli altri colleghi. Dopo aver accertato in maniera teorica che portare l’animale sul lavoro era possibile, abbiamo avviato una sperimentazione, che ha funzionato molto bene; così abbiamo predisposto una policy di Gruppo che concede a tutti coloro che possono averne bisogno di far accedere il cane di assistenza sul luogo di lavoro. Ora stiamo lavorando anche a livello italiano ed europeo per capire com’è possibile agire anche a livello normativo generale, per estendere questa possibilità non solo ad aziende come la nostra, ma anche ad aziende di altro settore o di altra taglia.

Ci sono altre storie di inclusione su cui avete lavorato?

Abbiamo una collega sorda, Ilaria, che fa parte della nazionale di pallavolo; con lei stiamo scoprendo molto sulla Lingua dei segni italiana– Lis e abbiamo capito che su questo tema si aprono dei mondi. Abbiamo realizzato delle pillole formative sulla Lis, in modo da venire incontro alle esigenze dei colleghi con disabilità uditive, ma non solo, perché ci possono anche essere dei clienti con le stesse difficoltà. Ci sono alcuni accorgimenti – banalmente parlare guardando in faccia le persone, lentamente e scandendo bene le parole – che possono essere di grande aiuto per queste persone senza troppo sforzo. Si tratta di esserne consapevoli.

Lavorate anche sul linguaggio?

Come gruppo abbiamo realizzato il glossario «Le parole giuste» disponibile sul sito internet di Intesa Sanpaolo per conoscere quali sono i termini più corretti e rispettosi quando si parla di disabilità. Inoltre abbiamo realizzato pillole formative sul tema del linguaggio, che contribuiscono a creare l'abitudine a pensare in termini inclusivi.

Un’ultima domanda. Che consiglio dareste a un’azienda per evitare il rischio di social washing?

Noi siamo abituati ad agire giorno per giorno piuttosto che fare dichirazioni che poi non trovano riscontro nell'attività quotidiana in banca. Si tratta di inculcare una cultura, un modo di pensare inclusivo, di imparare ad ascoltare gli altri. Sono conscia che tutto questo può essere anche un elemento di marketing, ma piuttosto sono convinta che l'attenzione alle persone sia una spinta verso una ambiente di lavoro sereno e soddisfacente che è un presupposto per essere produttivi ed efficienti. D'altra parte i nostri risultati lo dimostrano.

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