Famiglia
Il giudice: «Chiediamo scusa alle famiglie affidatarie»
Giudice minorile, già presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, Luigi Fadiga ha contribuito a gettare le basi del diritto minorile italiano. Una svolta che mette il bambino al centro, con diritti in proprio. La legge 184/1983 si inserisce in quel contesto. Quarant'anni dopo, Fadiga dice: «Ho nostalgia di quella voglia di fare qualcosa per i bambini. Oggi quel clima non c'è più. E in questi anni tanti affidamenti sono stati "affibbiamenti"»
Siamo alla vigilia di un anniversario importante, 40 anni della legge 184, approvata il 4 maggio 1983, che ha introdotto nel nostro ordinamento l'affidamento familiare e ha portato delle novità nella legge sulle adozioni. Luigi Fadiga è un magistrato minorile, è stato a lungo presidente del tribunale per i minorenni di Roma e poi Garante dell’infanzia e dell’adolescenza della regione Emilia Romagna ed è davvero una delle figure di spicco fra quanti hanno costruito la nostra legislazione e la nostra cultura in materia di diritti dei bambini e degli adolescenti. Insieme a Alfredo Carlo Moro, presidente del Tribunale per i minorenni di Roma dal 1969 al 1979 e a Francesco Santanera, fondatore dell’Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie-Anfaa, Fadiga è uno dei protagonisti della stagione culturale che ha portato all’introduzione dell’affidamento familiare nella legge italiana.
Che clima culturale c'era in quel momento, a che tipo di bisogno andava a rispondere questa legge e con quale novità?
Devo dire che in quegli anni c’era un clima profondamente diverso da quello attuale e ho una profonda nostalgia di quegli anni e di quel clima, non solo per ragioni cronologiche ma perché c’era un entusiasmo, una volontà di fare qualcosa per aiutare le persone di minore età e soprattutto l’enorme numero di bambini e ragazzi che a quell’epoca erano ricoverati e a volte dimenticati negli istituti.
Quanti erano i minori che vivevano in istituto, in Italia?
All’epoca si parlava di 230mila minori in istituto in Italia. Oggi sono infinitamente meno e soprattutto di una tipologia completamente differente, basti pensare ai quasi 20mila minori stranieri non accompagnati, che quarant’anni fa ovviamente non c’erano. L’affidamento familiare è stato introdotto come uno degli strumenti possibili per portare questi bambini fuori dagli istituti, grazie alla disponibilità di famiglie disposte ad accogliere i bambini senza però pensare di arrivare a una forma di adozione cioè di filiazione, ma un sistema che avesse l’obiettivo di permettere ai genitori dei bambini di rimettersi diciamo così “in forza”, sia economicamente sia – molto più spesso – dal punto di vista genitoriale, così da riprendere i propri bambini in famiglia. Mentre i genitori facevano questo percorso, i bambini vivevano comunque in una famiglia e non in un istituto. Questo era il clima dell’epoca.
Oggi spesso l'affidamento viene visto come uno strappare un bambino alla sua famiglia, mentre quando la legge è nata lo slogan che la accompagnava, anche per farla comprendere ed entrare nella cultura, era quello di dare “una famiglia in più” al bambino e non una famiglia sostitutiva.
Devo anche dire che anche la riforma Cartabia parte con una posizione di diffidenza verso l’affidamento famigliare, pensando che sia un modo per gli operatori di impadronirsi dei bambini. Questo è assurdo, è il frutto di una totale mancanza di conoscenza della realtà di questa materia. Oggi c’è questo sospetto, questa diffidenza verso le famiglie affidatarie, come se ci fosse una “caccia al bambino”, mentre la verità è che è difficilissimo trovare delle famiglie affidatarie disponibili a fare un buon affidamento. Anche perché quando l’affidamento è fatto male piovono sulla famiglia affidataria una serie di problemi importanti e con la riforma possiamo immaginare con quale competenza professionale il giudice togato di un tribunale ordinario potrà occuparsi di questa materia. Un affidamento familiare fatto male è come un intervento chirurgico fatto con strumenti inadeguati: non solo non migliora la situazione ma la peggiora. In 40 anni in Italia la famiglia è molto cambiata, ma resta un profondo centro di affettività. Occorreva sì riformare questa materia, ma conoscendo la materia, per esempio creando affidamenti part time, solo diurni, sul weekend, non creando sospetto e diffidenza.
Quindi una delle parti meno attuate della norma è il lavoro con le famiglie di origine?
Sì, ma quello è assolutamente indispensabile, è chiaro, se no si tratta di un imbroglio. Il lavoro sulla famiglia di origine però richiede impegno da parte del servizio sociale e da parte delle amministrazioni che devono seguire questi genitori. Non dimentichiamo invece che i servizi sociali in alcune aree sono estremamente carenti, se non assenti.
Cosa c'è di buono, valido, attuale in quella legge? In cosa invece ha necessità di essere aggiornata visto il contesto sociale mutato? E da a cosa deve essere protetta?
La prima cosa da tener sempre presente è che negli altri paesi si allontana molto di più di quanto si faccia in Italia. In Italia la famiglia, pur modificatasi, ha ancora un peso sociale notevole. I nostri servizi purtroppo risentono ancora moltissimo della mancanza sia di risorse economiche sia di personale formato. La legge ha un grande bisogno di essere aggiornate e modificata, per esempio, prendiamo l'articolo famoso 403 che dava e dà potere ai servizi in caso di urgenza di allontanare il bambino: quella formulazione normativa precedente prima ancora della riforma Cartabia era gravemente carente, si poteva intervenire per rendere quella norma più conforme alla Costituzione invece è stata lasciata così e questo ha prodotto sicuramente dei grossi guai perché ci sono stati sicuramente dei casi di allontanamento che poi non sono stati gestiti. Una riforma occorreva, ma nell’ottica di sviluppo dei servizi.
Quando si parla di minori e di decisioni che li riguardano – dall’affidamento alla adozione per esempio – si parla sempre di “superiore interesse del minore”. Ci aiuta a comprendere cosa significa?
È una traduzione scorretta dall’inglese perché la Convenzione dei diritti del fanciullo non parla del superiore interesse del minore ma del migliore interesse del minore (best interest), in quel caso concreto, non in assoluto. Il migliore interesse del minore è una valutazione relazionale, mentre il superiore è una valutazione semplicemente ponderale. Non è corretto parlare di interesse superiore del minore, si deve parlare invece di interesse migliore del minore.
Diceva della nostalgia per clima culturale che c'era quando la legge 184 è nata, di questa centralità della persona di minore età. Oggi è venuta meno questa capacità di riconoscere i diritti del bambino come diritti in proprio?
Diciamo che ancora oggi abbiamo la Convenzione dei diritti del fanciullo, che non è solo un’elencazione di diritti ma un testo che delinea una pedagogia e una politica sociale. Purtroppo che in Italia, come altrove, non è applicata ancora integralmente. Ha ancora bisogno di essere metabolizzata.
Lei ha certamente incontrato nella sua carriera professionale tante famiglie in difficoltà, tanti bambini e ragazzi che hanno vissuto un pezzo della loro vita fuori dalla loro famiglia, tante famiglie affidatarie. Riguardando questo enorme affresco di esperienze, come la legge 183/4/83 ha cambiato in Italia il destino di bambini e ragazzi?
L’impatto più evidente è stato quello di evitare l’istituzionalizzazione a moltissimi bambini. Lo dicevo prima, all’epoca si parlava di 230mila. Oggi si parla di poche decine di migliaia, tenendo conto che c’è anche questa nuova tipologia di minori soli che è quella dei MSNA.
Una parola invece per le famiglie che hanno aperto la porta di casa e del cuore a questi ragazzi, accompagnandoli per un pezzetto di strada?
Hanno svolto un ruolo sociale molto rilevante e dobbiamo avere un forte sentimento di gratitudine verso di loro. Anche se dobbiamo provare anche un sentimento di colpa nei loro confronti, perché a volte – bisogna pur dirlo – sono state abbandonate. Più che di affidamento a volte sarebbe stato corretto parlare di “affibbiamento” nel senso è stato detto loro “ti do questo bambino, adesso cavatela tu”. L’affidamento familiare è un intervento delicato, che va gestito con adeguata competenza e professionalità. Il mio augurio oggi è che si rifletta sulla situazione e su questa riforma della giustizia minorile, avendo il coraggio tra un po’ di tirare le somme e di cambiare le cose che sono state modificate in modo sbagliato. Il tribunale per i minorenni era un organo decrepito, fondato nel 1934, andava certamente modificato: ma non così, non così.
La foto di Luigi Fadiga è tratta da un video di presentazione del suo ultimo libro, "Storie di giustizia minorile. Riflessioni e proposte" (2022, Edizioni Junior). La foto di apertura è dell'associazione Papa Giovanni XXIII
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