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Cari ragazzi, il 25 aprile riguarda il nostro futuro (più che il nostro passato)
«Ricostruire un Paese non è un’impresa da poco, ma occorre farlo riscoprendo quel desiderio di libertà e di futuro che ci appartiene e che ereditiamo da quelle ragazze e da quei ragazzi che solo successivamente abbiamo imparato a conoscere come partigiani. Una ribellione democratica oggi non più rimandabile o delegabile ad altri. Occorre il nostro, il vostro impegno perché un altro mondo è davvero necessario». La riflessione del presidente nazionale di Arci
di Walter Massa
Corriamo tutte e tutti un serio rischio retorico attorno al 25 aprile. Non lo nascondo e ne vedo i pericoli. Ma ciò nonostante il bisogno di futuro e di pace che sentiamo impellente in questi momenti non è slegato da questa ricorrenza fondativa del nostro Paese. Il rischio che corriamo, altrimenti, è veder perdere di senso una giornata che ancora oggi ha bisogno di essere affermata per la sua primaria valenza antifascista, un termine che va ben oltre la narrazione mediatica a cui assistiamo.
Tutto quello che è accaduto settantotto anni fa e che noi abbiamo studiato sui libri di storia o appreso dalle parole dei nostri nonni partigiani può tornare e in parte è già tornato. In forme apparentemente diverse ma nella sostanza, con la stessa virulenza e con lo stesso effetto: impedire l’emancipazione, le libertà individuali e collettive, creare diseguaglianze ed esclusione sociale, possibilmente individuando un nemico ben preciso. E smontando sotto i nostri occhi la Costituzione Italiana fondata proprio sulla lotta di Liberazione. Primo Levi, internato ad Auschwitz e tra i pochi sopravvissuti, del resto lo avevo chiaramente detto che il nostro Paese i conti con le leggi razziali e con il ventennio fascista non gli aveva fatti. In forme diverse, il fascismo, anche sotto forma di razzismo sistematico, di odio verso i più poveri, ha continuato ad esistere subdolamente, arrivando ai giorni nostri, cercando ossessivamente il potere per ridiventare quello che era stato in quel tragico ventennio: «La consacrazione del privilegio della diseguaglianza». E se qualcuno poteva ancora avere dei dubbi sul senso e sull’attualità del 25 aprile eccolo servito con questo governo e molti dei suoi rappresentanti. In un contesto storico dove la multietnicità e il meticciato sono un fatto ineludibile e acclarato nel nostro quotidiano e che ormai parte dalle prime classi delle scuole materne e si sviluppa nella piena consapevolezza delle bambine e dei bambini, prima ancora che negli stessi genitori, ecco che un ministro della repubblica affronta il tema del calo demografico con parole ignobili: “sostituzione etnica”. Fa venire i brividi solo a a leggerla.
Corriamo tutte e tutti un serio rischio retorico attorno al 25 aprile. Non lo nascondo e ne vedo i pericoli. Ma ciò nonostante il bisogno di futuro e di pace che sentiamo impellente in questi momenti non è slegato da questa ricorrenza fondativa del nostro Paese
Corriamo dunque un serio rischio a trasformare il 25 aprile in una disputa da bolle social, senza provare continuamente ad attualizzarla. E il bisogno c’è. In un contesto di crisi culturale, sociale ed economica avanza un’altra crisi ancora più pericolosa per il nostro e il vostro futuro: la crisi del nostro vivere insieme, la crisi della democrazia. E anche qui torna il parallelismo con la Lotta di Liberazione, quando penso alla scelta di salire in montagna di quei ragazzi appena diciottenni. Una scelta coraggiosa perché avventata. Nessuno di loro infatti, a differenza dei coetanei inglesi o francesi, aveva da difendere una democrazia, uno stato di diritto o almeno una Costituzione democratica. Nessuno di loro aveva da difendere certezze, benessere o privilegi; non ne avevano. Quei ragazzi avevano conosciuto fino ad allora un regime totalitario, disumano, razzista. Povertà e paura la facevano da padrone tanto da costringere alcuni di loro – i più fortunati – a scappare all’estero con le loro famiglie. Nulla di nulla che avesse a che fare con la democrazia. Paura, violenza e prevaricazioni quotidiane erano il modo conosciuto per “governare” chi la pensava diversamente. Un tumore della nostra democrazia, sempre citando Primo Levi, che in Italia si era manifestato ben prima del nazismo e che aveva investito quelle generazioni che poi decisero di passare alle armi e alla montagna. Una grande forma di ribellione per la libertà, un sogno, per costruire un nuovo Paese, una nuova democrazia, un futuro dignitoso e di pace. Insomma costruire un mondo diverso e più giusto.
Non c’è ancora bisogno di questo orizzonte secondo voi? Penso di sì. Con le dovute differenze di contesto e di tempo, credo che anche oggi la nostra democrazia sia in crisi, a causa di diseguaglianze ed esclusione e di una perdita di credibilità di molte Istituzioni democratiche. Sono in crisi i più elementari pilastri della convivenza civile, tanto da continuare ad alimentare una guerra tra poveri, tra chi arriva e chi parte, tra giovani e anziani, e comunque contro il pianeta che ci ospita. Il nostro mondo è a rischio distruzione totale e se non fosse stato per l’impegno e la tenacia dei più giovani questo tema non sarebbe ancora in agenda. Tutto ciò nel pieno di un delirio bellico diffuso, “una guerra a pezzetti” come l’ha definita Papa Francesco, che semina morte, distruzione e deportazioni forzate per milioni di essere umani, costringendoci tutte e tutti ad una precarietà diffusa e perenne e ad un senso di povertà diffusa. Che sempre più spesso ha a che fare con la realtà
Ricostruire un Paese non è un’impresa da poco, ma occorre farlo riscoprendo quel desiderio di libertà e di futuro che ci appartiene e che ereditiamo da quelle ragazze e da quei ragazzi che, solo successivamente abbiamo imparato a conoscere come partigiani. Una ribellione democratica oggi non più rimandabile o delegabile ad altri. Occorre il nostro, il vostro impegno perchè un altro mondo è davvero necessario. Lo pensarono quei ragazzi all’indomani del settembre 1943, lo dobbiamo ripensare tutte e tutti noi. Buona giornata della Liberazione e di Libertà!
Foto: Ag. Sintesi
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