Non profit
Fondazioni Spa, quando il profit decide di fare il non profit
VITA di aprile esplora il fenomeno della filantropia di impresa o legata a famiglie imprenditoriali: 130 enti visti da vicino, mappandone le aree di intervento. E una "top-sixteen" delle più munifiche: dai 7 milioni annui della bolognese Fondazione Golinelli, ai 5,55 di Enel nel Cuore onlus. Ricercatori ed esperti illustrano rischi e potenzialità (anche per il non profit) di questa nuova stagione. E alcuni grandi filantropi come Diana Bracco, Alessandro Garrone, Vincenzo Manes, Chiara Boroli con Marcella Drago e Paolo Morerio si raccontano
Sono 33 gli esperti, gli studiosi, gli advisor, i manager ma soprattutto i filantropi che VITA ha interpellato per questo numero di aprile. L’argomento cui sono dedicate copertina e corpo centrale del magazine che potete acquistare da oggi qui, è d’altra parte un tema relativamente nuovo ma che, solo negli ultimi anni, si è presentato come vero e proprio trend.
Si tratta delle “fondazioni di impresa”, ossia quelle articolazioni non profit cui le aziende stanno dando vita, vuoi per una maturazione dell’impegno nella sostenibilità, oggi conosciuto con l’acronimo di Environmental, social and governance – Esg, vuoi per una messa a sistema di varie attività di donazione che, nel tempo, sono diventate un appuntamento fisso.
“Fondazioni Spa” recita infatti la copertina, firmata dall’illustratore Jacopo Baco, volendo in qualche modo fotografare questo ircocervo, metà profit e metà non profit, capace cioè di far bene… il bene, ossia di perseguire scopi sociali e ambientali proprio del Terzo settore, ma con l’efficacia, la capacità gestionale, il controllo dei risultati, tipici del mondo corporate.
Nel suo pezzo di apertura, Nicola Varcasia ha cercato di fare quadrare i conti della tendenza italiana: fra quelle già iscritte al Registro unico per il Terzo settore – Runts, come enti filantropici, le realtà d’origine aziendale o di famiglia imprenditoriale registrate fra le 144 aderenti all’Associazione italiana Fondazioni ed Enti filantropici – Assifero, fra le altre che continuano a stare fuori dal registro e dall’associazione, VITA ne ha individuate ed analizzate 130.
Per ognuna, abbiamo mappato i settori di intervento ma solo per alcune è stato possibile analizzare il dato economico del 2021, relativo cioè alle erogazioni a terzi, in genere associazioni ed enti non profit, oppure di investimento diretto, nel caso delle fondazioni operative, che intervengono direttamente, da sole o cooperando col Terzo settore.
Fra le munifiche e le plurimpegnate
Ne è emersa una primo focus di 16 realtà, che donano/impiegano dai 7 milioni annui di Fondazione Golinelli, la realtà filantropica voluta alla fine degli anni 80 dall’industriale bolognese Marino Golinelli, all’epoca proprietario della farmaceutica Sigma Tau, ai 5,44 di Enel Cuore, la onlus nata dal gruppo energetico multinazionale, ai 5 di Fondazione Vismara (ma negli anni ante-Covid erano 10), nata dall’eredità (e dalla volontà) dell’industriale lombardo Giuseppe Vismara, ai 4,7 milioni della Fondazioni San Zeno di Sandro Veronesi, alias Mr. Calzedonia.
Quanto ai settori di intervento, la quasi totalità delle fondazioni esaminate da VITA è attiva in più aree: la fa da padrone l’inclusione sociale, su cui operano 66 enti, quindi la cultura con 53 realtà attive, in 30 si occupano di salute, mentre sull’ambiente si registra l’impegno di 24 fondazioni e 19 operano a favore dei rifugiati e delle vittime di emergenze umanitarie. Sulla formazione e, in particolar modo sui Neet, si impegnano invece 16 fondazioni di impresa.
Scattata la foto, che speriamo di rendere nel tempo sempre più nitida, VITA ha cercato di ragionare, con un gruppo qualificato di esperti, su cosa significhi questo impegno diretto delle aziende nelle attività socio-ambientali, e che cosa il Terzo settore potrebbe guadagnarne, in termini di apprendimento di best-practice.
Mens sana in “corporate” sano? Sì, con alcuni nota bene
Dalle voci intervenute, l’aziendalista Fabrizio Cerbioni, che ha studiato con Giacomo Boesso questa tendenza del mondo profit, segnala ancora la leva finanziaria come apporto rilevante delle fondazioni corporate: «Sembrano perseguire una via verso la filantropia strategica in analogia con il modello di intervento dei fondi di private equity: svolgono un ruolo importante nell’accompagnare nel tempo il proprio variegato portafoglio di donazioni, interpretandosi come attivatori di private equity sociale», scrive il professore.
Per Federico Mento, direttore di Ashoka Itaia, ong che si occupa in tutto il mondo di innovazione sociale, coglie il rischio dell’autoreferenzialità nelle scelte filantropiche delle aziende, e le invita ad aprire i board le fondazioni agli esponenti della società civile, mentre Riccardo Bonacina, fondatore di VITA, rammenta la necessità, anche per le aziende che decidono di far sociale, di privilegiare il “fare con” (ossia con le altre realtà non profit), rispetto al “fare per” ossia per la reputazione della casa madre; mentre Serena Porcari, chairman di Dynamo Accademy, ricorda anche che il Terzo settore di essere all’altezza del compito, nel dialogo necessario, rischiando viceversa la disintermediazione.
C’è spazio anche per una testimonianza sulle collaborazioni possibili: l’hanno fornita Elisa Furnari di Fondazione Ebbene, Simone Castello di Fondazione Mazzola e Simone Giorgianni, di Fondazione Milan, che hanno portato il caso di “Sport for inclusione network”, l’esperienza di rete sullo sport inclusivo, positivamente partecipata da realtà corporate o non profit originarie.
Carola Carazzone, segretario generale di Assifero, il luogo di confronto e di cooperazione delle più importanti realtà filantropiche – il mese scorso ricevute da Papa Bergoglio in una partecipatissima udienza privata – ha ricordato le sfide a cui è atteso questo vero e proprio movimento, anche in una dimensione sempre più europea. Secondo Carazzone, le aziende possono far evolvere questi enti da mere espressioni filantropiche ad asset strategici e l'Agenda 2030 delle Nazioni unite è il terrendo dove questa trasformazione può avvenire.
Con Marcello Gallo, presidente di Fondazione Donor, VITA ha invece esplorato una nuova frontiera filantropica, quella dell’intermediazione: dei family officer e di altri intermediatori, “arruolati” da imprenditori desiderosi di donare ma per mille motivi poco inclini a impegnarsi direttamente in fondazioni. E Donor risponde in modo strutturato e professionale a questa domanda.
Sette aree in cui si innova l’azione sociale delle corporation
Il capitolo 2 di “Fondazione Spa” dà voce alle stesse fondazioni e, in più di un caso, anche agli stessi capitani di impresa che le hanno generate. Chi vi scrive, insieme ad Antonietta Nembri, Veronica Rossi ed Emiliano Moccia, ne ha sentite ben 17, ponendo domande su alcuni aspetti dell’attività filantropiche, come la governance, l’indipendenza dalle strategie comunicative o marketing della casa madre, le scelte in fatto di personale, di modello fondativo, di aree di intervento, di modalità di programmazione, della valutazione degli interventi: sette aree dove si misura la modernità di un approccio. A rispondere i dirigenti – direttore o segretari – di enti riconducibili a gruppi di grande rilevanza come Vodafone Italia, Edison, Erg, Amplifon, Conad, Casillo, UnipolSai, Generali, Accenture, Roche, Costa Crociere, McDonald, A2A, ma anche qualche presidente come Michele Crisostomo, presidente Enel, e il già citato Veronese, presidente di Calzedonia, Elisabetta Falck, presidente della Fondazione Alia Falck, Antonio Danieli, vicepresidente di Fondazione Golinelli.
La parola ai filantropi
Ma questo numero di VITA indaga anche le ragioni profonde, e spesso personali, di una scelta filantropica, e lo fa intervistando alcuni protagonisti del mondo aziendale o riferimento di patrimoni famigliari che hanno guidato scelte munifiche davvero rilevanti.
Come Diana Bracco, a capo della del gruppo farmaceutico omonimo, che con la sua fondazione interviene in campo culturale e sociale da anni, con un forte impegno nell’inclusione: «Dobbiamo essere tutti consapevoli», ha detto a VITA, «che se non si interviene nel tessuto urbano delle nostre periferie i problemi degenerano in modo drammatico, come testimonia la storia recente di tante metropoli europee. Esiste un costo del “non” fare nel sociale».
Le fa eco Paolo Morerio, presidente di Fondazione Peppino Vismara, nata dall’eredità del grande benefattore brianzolo del Dopoguerra, fondatore tra l’altro del Credito Artigiano: «Serve una filantropia che, pur nella consapevolezza di essere supplente, sia uno stimolo, uno sprone ad affrontare i problemi in modo più serio e, alcune volte, più onesto».
Ai vertici del gruppo editoriale De Agostini, Chiara Boroli e Marcella Drago, rispettivamente presidente e segretario generale della fondazione del gruppo, ne ripercorrono l’impegno che rimonta ormai a tre lustri. Non è questione solo di responsabilità di impresa, spiegano, «ma di una diversa presa di coscienza, completamente diversa». E precisa Boroli «c’è un’esigenza, anche personale, che prima non c’era».
Vincenzo Manes, fondatore e presidente di Kme Group, il più grande gruppo europeo nella produzione di semilavorati in rame, patron oltre 20 anni fa di Fondazione Dynamo, modello di venture philantropy, e al centro di varie iniziative, la Lotteria filantropica l’ultima in ordine di tempo, spiega invece così il suo impegno come la volontà di non rassegnarsi alla scarsa attitudine degli italiani dai patrimoni importanti a donare poco. «Una ricerca di Fondazione Italia Sociale», racconta al direttore Stefano Arduini, «fra le persone con un patrimonio finanziario fra i 5 e i 10 milioni ci dice che la donazione mediana annua si attesta a 3.358 euro. Stiamo parlando del nulla. Contro le donazioni c’è un retaggio culturale molto, molto forte».
Si spostano su un piano personale le riflessioni di Alessandro Garrone, che ai primi 2000 ha guidato la transizione dal fossile alle rinnovabili del gruppo Erg, di cui è oggi è vice-president esecutivo e presidente del comitato strategico. Con la fondazione intitolata al nonno Edoardo, Garrone interviene sulle aree interne, con un programma di rilancio dell’Appennino da 600mila euro annui (su 1,4 milioni donati) attraverso il sostegno formativo a giovani imprese, ReStartApp. «Certo, si dice che un imprenditore debba restituire, e lo condivido», racconta a VITA, «ma non è un automatismo. Credo conti di più il senso di far parte di una comunità».
Dei temi di questo numero parleremo con alcuni interlocutori che ci hanno accompagnato nel racconto: Carola Carazzone, Federico Mento e Giacomo Boesso, venerdì 21 aprile, dalle 11,00 alle 12,00 in diretta sui canali LinkedIn e Facebook di VITA. Stay tuned.
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