Cultura

La scuola italiana, un grande laboratorio per la sussidiarietà

Presentato oggi l’annuale Rapporto di Labsus, che quest’anno mette al centro l’educazione. Un’indagine effettuata su 102 Patti territoriali, per un totale stimato di oltre diecimila cittadini coinvolti. L'86% degli intervistati si dice complessivamente soddisfatto di come sta andando il Patto di riferimento. Il maggior numero di esperienze è in Puglia, Piemonte, Liguria e Lombardia

di Redazione

Un nuovo modo di fare scuola, calato sui bisogni delle comunità, di bambini, ragazzi, genitori e professionisti, anche solo indirettamente interessati all’ambito educativo, ma in stretto contatto col territorio dove la scuola vive e si proietta. È il filo conduttore dell’indagine nata per verificare l’attuazione dell’amministrazione condivisa dei beni comuni. L’annuale Rapporto di Labsus (“Laboratorio per la sussidiarietà”, presentato in un webinar questo pomeriggio sui canali social dell’associazione), quest’anno mette al centro l’educazione come bene comune, attraverso un’indagine effettuata su 102 Patti, per un totale stimato di oltre diecimila cittadini attivi coinvolti.

Le scuole: da beni pubblici a beni comuni” non è solo un auspicio, bensì una vera modalità strategica di trasformare il bene pubblico scuola, negli orari disponibili (ampliando e sviluppando così pienamente i percorsi educativi), in bene comune: cioè spazio plurale, luogo in cui promuovere un approccio intrecciato alle politiche, combinando ricerca, opzioni, formazione, manutenzione, come argine alla vulnerabilità di quei territori dove povertà educativa e povertà materiale sono il risultato della cronica mancanza di servizi sociali.


Obiettivo ambizioso, ma non solo teorico. Realizzato concretamente attraverso due filoni: 50 Patti di collaborazione, che hanno l’obiettivo principale di favorire la partecipazione attiva di tutta la comunità educante – cittadini, famiglie, gruppi informali, organizzazioni del Terzo settore – alla vita della scuola e all’esperienza educativa dei minori, per portare le comunità scolastiche a praticare la cittadinanza anche fuori dai recinti scolastici, ad esempio prendendosi cura degli spazi pubblici di prossimità. E gli altri 52 (i Patti educativi di comunità), realizzati nelle scuole delle aree interne del Paese, che nel tempo hanno consolidato l’alleanza educativa con il territorio e i soggetti presenti, tenendo conto delle diverse situazioni e in alcuni casi cambiando proprio il modo di fare scuola, migliorando la condizione di isolamento sociale e culturale di alunni e docenti.

Incoraggianti i risultati dell’indagine (qualitativa più che quantitativa): si presenta un panorama molto variegato, ricco di pratiche di cura della risorsa scuola e di amministrazione condivisa dell’educazione. Alcuni caratteri di queste comunità di cura evidenziano aspetti importanti rispetto alla qualità di alleanze e progettualità, aspettative, motivazioni e sul grado di soddisfazione dei cittadini coinvolti. Gli obiettivi dei Patti sono stati raggiunti, almeno parzialmente, per il 92% degli intervistati. «Sono complessivamente soddisfatta/o di come sta andando il Patto», risponde l’86% dei cittadini.

Sono impegnate persone di tutte le età, equamente distribuite, con prevalenza di adulti dai 30 ai 60 anni. Significativa in molti Patti (più del 70%) la presenza di bambini, ragazzi e adolescenti. Presenti spesso persone di etnie diverse, uomini e donne in egual misura. Obiettivi: valorizzare, recuperare e rivitalizzare spazi aperti pubblici (aree verdi, parchi, spazi dismessi), creare nuovi spazi di socialità, ma anche occasioni di esperienze di cittadinanza attiva ed educazione civica. Alcuni obiettivi ricalcano i 17 goal dell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile: buona salute, benessere e qualità dell’educazione, riduzione delle disuguaglianze, costruzione di città sostenibili. I Patti appaiono ai più economicamente sostenibili (il fattore economico non si rivela problematico né prioritario, nell’84% delle risposte). Importante: interagiscono con il percorso formativo ordinario della scuola, e non si pestano i piedi. E in futuro? Rinnoverebbero il Patto nove attivisti su dieci. E con entusiasmo, indicando la volontà di implementare le attività già realizzate ed estendendole su un territorio più vasto.

«La scuola è uno spazio plurale, luogo in cui promuovere un approccio intrecciato delle politiche combinando ricerca, intervento, formazione, viste soprattutto come argine alla vulnerabilità di quei territori dove povertà educativa e povertà materiale sono il risultato della cronica mancanza di servizi», afferma il presidente di Labsus, Pasquale Bonasora, a sostegno del secondo capitolo della ricerca, quello sui 52 patti educativi di comunità. Risultati? anche in questo caso, ampiamente positivi. Il maggior numero di esperienze è in Puglia e Piemonte, seguono Liguria e Lombardia. Qualche presenza anche al Sud. Inclusione e socializzazione, ma anche laboratori di contrasto alla dispersione scolastica, i principali obiettivi.

Da considerare i diversi i livelli di complessità dei Patti: 10 sono a bassa complessità, che presentano azioni limitate e scuole che faticano a sfruttare questo strumento per instaurare relazioni strutturate col territorio. Non sono poco rilevanti, ma non hanno ancora caratteristiche che aiutino le scuole a ripensare la propria identità, eppure rappresentano un primo passo per rapporti più strutturati col territorio. A media complessità il 52%: rappresentano il nucleo più numeroso. Obiettivi: contrasto alla povertà e all’emergenza educativa. Costruiscono reti associative ed è sempre presente l’ente locale, insieme ad associazioni di volontariato, parrocchie e cooperative sociali. Non pienamente pronte per delineare un cambiamento profondo nel modello di progetto educativo dominante. I Patti ad elevata complessità, pari al 28,9%, sono in prevalenza in Puglia e in Liguria, e manifestano il tentativo di allacciare sinergie profonde col territorio e la comunità per agire come leva di cambiamento, sia a livello organizzativo che di offerta formativa.

Non è una scommessa utopica, sottolinea Bonasora: «La scuola è già, in questi contesti, sempre più luogo della relazione intergenerazionale per la salvaguardia di quei beni comuni naturali che vanno tutelati per le generazioni future, e per i beni comuni immateriali che hanno bisogno della genialità e creatività dei più giovani per essere rigenerati».

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