Mondo
I politici di ieri e di oggi che non aiutano né la Tunisia né l’Italia
Leggere frasi come “la Tunisia rischia il collasso”, “aiutiamo la Tunisia”, “la crisi spinge i barconi” e varianti simili ci riportano indietro di qualche anno, ad analoghi allarmi. Ma cosa è stato fatto in sette anni dal 2016, quando la rivolta di Kasserine ha infiammato le città dell’interno e i quartieri popolari di Tunisi rivendicando lavoro, fine della precarietà, delle discriminazioni, delle disuguaglianze, dei privilegi, della corruzione, degli abusi? . Negli ultimi 10 anni il tasso di disoccupazione è rimasto elevato al 15-20%, e nelle regioni periferiche al 30%, con tassi molto superiori per i giovani
di Nino Sergi
Leggere frasi come “la Tunisia rischia il collasso”, “aiutiamo la Tunisia”, “la crisi spinge i barconi” e varianti simili ci riportano indietro di qualche anno, ad analoghi (e ripetitivi) allarmi. Sembra che i politici – non tutti per fortuna, ed è bene puntualizzarlo – si sveglino ad ogni presunta emergenza, improvvisando il da farsi, con dichiarazioni spesso banali o perfino sconclusionate, considerate utili al consenso immediato. Viene constatata la “preoccupante situazione” – certamente rappresentata oggi dai gravi problemi della Tunisia, le sue tensioni politiche e sociali, la fuga delle persone verso altri Paesi – spesso senza nemmeno cercare di capire perché mai e da quanto tempo si sia giunti a tale livello di esasperazione e senza domandarsi se e cosa sia stato fatto tra il precedente allarme e l’attuale. Avviene adesso, con un governo di destra. Ed è avvenuto ieri, con i governi di centro-sinistra, giallo-verdi e giallo-rossi.
Cosa è stato fatto in sette anni dal 2016, quando la rivolta di Kasserine ha infiammato le città dell’interno e i quartieri popolari di Tunisi rivendicando lavoro, fine della precarietà, delle discriminazioni, delle disuguaglianze, dei privilegi, della corruzione, degli abusi? (Vita del 9 febbraio 2016). Erano le stesse rivendicazioni della ribellione che portò nel 2011 alla fuga del presidente Ben Ali dopo 23 anni di potere. E sono le rivendicazioni di oggi, aggravate dall’involuzione politica, la regressione democratica con lo scioglimento del Parlamento e la crescente repressione, l’erosione dei diritti umani e delle libertà civili, con il debito pubblico divenuto insostenibile.
Pochi dati bastano a dare un’idea delle condizioni di vita della maggioranza dei 12,5 milioni di tunisini. Negli ultimi 10 anni il tasso di disoccupazione è rimasto elevato al 15-20%, e nelle regioni periferiche al 30%, con tassi molto superiori per i giovani. Il Pil nazionale rimane intorno a 40 miliardi di euro, assorbito in grande percentuale dai salari e dalle spese di gestione a scapito degli investimenti che non hanno superato il 10%. Il reddito medio annuo pro capite è da tempo fermo sui 4.000 euro. Cifra media: esiste quindi una buona parte della popolazione che continua a sopravvivere con redditi annui di 1.000 euro o poco più.
Il 16 febbraio 2016 Link2007 inviava un documento all’allora presidente del Consiglio, al ministro degli Esteri, al Commissario Ue per il Vicinato, alle Commissioni parlamentari competenti, proponendo “la costituzione, in tempi rapidi, di uno specifico Fondo internazionale formato da contributi della Commissione europea, degli Stati membri, di tutti i paesi interessati, delle Istituzioni finanziarie e di sviluppo europee e internazionali, comprese quelle arabe e islamiche, prendendo in considerazione la Tunisia insieme ai due paesi confinanti, Libia e Algeria. Un fondo fiduciario, Trust Fund, per la realizzazione di un ‘piano Marshall’, di cui l’Italia, data la vicinanza, potrebbe farsi promotrice”. Quel documento è stato poi ripresentato a successivi governi e ministri.
L’appello di Link2007 era accorato, oltre che documentato. “Agli Stati conviene prevenire, spendendo quanto necessario, piuttosto che rincorrere gli eventi e spendere molto di più intervenendo per cercare di tamponare i conflitti, con le distruzioni, le indicibili sofferenze, gli esodi di persone e le insicurezze e destabilizzazioni che essi provocano ovunque. L’Ue, gli Stati membri e le Istituzioni finanziarie e di sviluppo internazionali sono invitate a muoversi, finché si è ancora in tempo, per contenere le periodiche ribellioni in Tunisia, a pochi chilometri dall’Italia, e prevenire una possibile destabilizzazione del paese, sostenendone decisamente l’esemplare ma fragile democrazia, l’unica realizzata con le ‘primavere arabe’. La Tunisia, il paese mediterraneo più vicino all’Italia, è oggi in bilico tra il rafforzamento del processo democratico e la destabilizzazione con prevedibili e devastanti conseguenze su migrazioni e terrorismo. Un tracollo della Tunisia metterebbe infatti a rischio la stessa sicurezza e stabilità in Italia e in Europa, e non sarà a costo zero”.
E come se le parole di ieri fossero di oggi. Ancora: “L’esperienza della Tunisia è importante anche perché rappresenta la sintesi tra i valori occidentali e i valori islamici. Non si possono conservare i valori delle rivoluzioni e la democrazia solo con riconoscimenti internazionali, incontri, convegni, parole di amicizia e vicinanza. La libertà c’è ma manca il pane si sente ripetere in tutto il Paese. Le ‘rivolte del pane’ rischiano di ripetersi ciclicamente, con conseguenze facilmente prevedibili. Occorre investire sulla Tunisia, con una cooperazione duratura, con una visione e una strategia di lungo periodo, con fondi strutturali e ampi investimenti nelle regioni più arretrate, favorendo l’occupazione e l’equità sociale e tra le regioni. Nell’interesse del consolidamento del processo democratico tunisino ma anche nel nostro stesso interesse, italiano ed europeo. Investire sulla Tunisia e nei Paesi limitrofi è investire sul nostro futuro di stabilità e di pace. Non farlo significa danneggiare noi stessi. Limitare gli aiuti o ritardarli potrebbe avere un costo di gran lunga superiore in un futuro ravvicinato, non solo finanziariamente ma anche in conflitti, vite umane, distruzioni, consolidamento e diffusione del terrorismo, come la recente storia insegna”. “Sarebbe necessaria una rivoluzione culturale dei donatori, prima che essa possa venire imposta da eventi traumatici esterni. Sollecitiamo i decisori politici ad avere una visione non limitata a tamponare esigenze e preoccupazioni immediate ma aperta alla costruzione di un futuro di pace e di prosperità che richiede decisioni lungimiranti e coraggiose”.
Non potrà infatti trattarsi di stanziamenti ordinari ma di impegni finanziari consistenti, pluriennali e sicuri, che possano essere risolutivi. La proposta di Trust Fund a favore di Tunisia, Libia e Algeria potrebbe nel contesto attuale essere promossa da Italia, Francia e Spagna, i tre paesi “confinanti” con la sponda sud del Mediterraneo occidentale che è anche cerniera con il Sahel e in particolare con Ciad, Niger e Mali, paesi che rappresentano una comunanza di preoccupazioni in relazione alle migrazioni. Dovrebbe trattarsi di un fondo per un programma almeno quinquennale di cooperazione allo sviluppo e di cooperazione economica, non inferiore a 10 miliardi di euro all’anno, aperto al finanziamento di più soggetti e alla partnership pubblico/privato: UE e Stati membri, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione di cooperazione islamica e Islamic Bank, in una joint-venture tra Europa/Paesi membri e Conferenza di cooperazione/Istituzioni finanziarie islamiche. Con una prospettiva che superi la visone emergenziale e si proietti alla costruzione del futuro. Un programma organico e verificabile che preveda, in modo coerente, interventi umanitari, sviluppo economico e ricostruzione, problemi migratori, educazione, sanità, consolidamento delle istituzioni democratiche, rafforzamento della partecipazione, del benessere sociale (partendo dal lavoro dignitoso e stabile) e dell’inclusione, sicurezza interna e connessioni esterne, costruzione di forti partenariati tra le due sponde mediterranee.
Servirebbe tra l’altro a favorire un cambiamento culturale e contrastare l’ideologia anti islamica che sta prendendo spazio in Europa, con conseguenze negative nelle nostre società e nelle relazioni internazionali, dimostrando l’utilità e l’interesse di sviluppare partenariati, politici ed economici, con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo, coinvolgendo anche le Istituzioni politiche e finanziarie islamiche.
A rileggere il documento del 2016, colpisce il carattere premonitore delle parole di Link2007. Ma ciò che impressiona maggiormente oggi è l’annunciata incapacità politica di guardare lontano e largo, oltre l’emergenza, oltre il pur necessario tamponamento finanziario del fondo monetario internazionale alla Tunisia, oltre le polemiche politiche interne e tra Stati europei su un tema che esige serietà di analisi, attento ascolto delle differenti proposte, visione, capacità di convincimento e unità di intenti. Condizioni necessarie per non fermarsi ancora una volta all’emergenza per poi continuare ad ignorarla fino alla sua inevitabile ripresentazione.
*Nino Sergi, presidente emerito Intersos, policy advisor Link2007
Credit Foto: Credits to Habib M’henni / Wikimedia Commons
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