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La riforma della non autosufficienza spiegata nel concreto

È legge il "ddl Anziani" che rivoluziona l'assistenza agli anziani non autosufficienti. La riforma ha trovato ampio e responsabile consenso in Parlamento, ma non è riuscita ancora a raggiungere l'opinione pubblica. Eppure riguarda 10 milioni di persone. Cristiano Gori, coordinatore del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, spiega cosa cambierà: «Questa è una riforma molto concreta e bisogna iniziare anche a raccontarla con questa chiave di lettura»

di Sara De Carli

È stato approvato ieri sera alla Camera, dopo il via libera al Senato lo scorso 8 marzo, il Disegno di Legge Delega in materia di politiche in favore delle persone anziane. Un traguardo importante, sottolineano le 57 organizzazioni del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza, che già guardano avanti ai decreti delegati e alla partita delle risorse: solo così sarà possibile tradurre il testo della Legge Delega in opportune risposte per gli anziani e le loro famiglie. «È una svolta storica per il nostro Ssn», dice per esempio Giuseppe Milanese, presidente di Confcooperative Sanità: «L’Italia restituisce finalmente dignità ai nostri anziani, riconoscendo loro il diritto ad essere curati nel modo più idoneo, allineandoci ai Paesi più avanzati e strutturando un sistema assistenziale domiciliare degno di questo nome. È forse il primo risultato concreto che può farci affermare di aver posto le basi per un miglioramento della presa in carico dei pazienti dopo la tragedia della pandemia». Un percorso che rileggiamo oggi con Cristiano Gori, coordinatore del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza.

L’approvazione del disegno di legge delega in materia di politiche in favore delle persone anziane è una notizia importante. A leggere questa delega, però, francamente si capisce poco: ci sono molte definizioni e princìpi, vengono menzionati diversi interventi, si toccano differenti ambiti della vita degli anziani, ci sono parti molto generiche che si affiancano a parti con molti tecnicismi. L’impressione – e il rischio – quindi è che le persone non abbiano ancora afferrato la portata della riforma in arrivo. Complice anche il fatto che mentre sulla riforma del Reddito di Cittadinanza c’è un acceso dibattito pubblico, su questo tema c’è stato ampio consenso tra gli addetti ai lavori e ampio consenso politico (come dimostra il voto sia alla Camera sia al Senato) ma sia arrivato poco all’attenzione dell’opinione pubblica. Cosa cambierà davvero per le persone con non autosufficienza e per le loro famiglie?

Condivido il fatto che purtroppo la delega non invita ad essere letta, ma d’altra parte è importante sottolineare che uno dei suoi punti di forza è proprio la completezza dei temi trattati, il fatto che affronta tutte le aree problematiche dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. All’interno di un testo di difficile lettura allora è fondamentale cogliere gli aspetti chiave e il punto cruciale è il fatto che questa delega prevede per la prima volta la costruzione di un sistema di welfare che “si accorge” della questione della non autosufficienza, riconoscendone la specificità, e modifica conseguentemente le proprie risposte. Riconoscere la specificità della non autosufficienza sembra filosofia ma vuol dire riconoscere che c’è una specificità professionale, una specificità del bisogno, la necessità di definire specifici modelli di intervento e di conseguenza la necessità di risorse… in tutte le riforme europee – gli altri Paesi hanno fatto questa riforma molto prima di noi, lo ricordo – si sono ottenuti più soldi proprio quando si è riconosciuto lo specifico della non autosufficienza. Ma questa è una riforma molto concreta e bisogna iniziare anche a raccontarla con questa chiave di lettura.

Proviamo ad elencare alcuni cambiamenti concreti? Ricordando che la riforma riguarda 10 milioni di persone, fra persone non autosufficienti, familiari impegnati ad assisterli e operatori professionali coinvolti.

Un primo esempio è che il percorso per ricevere gli interventi viene molto semplificato, passando dalle attuali 5-6 valutazioni a solo due, una nazionale e una locale, tra loro collegate: questo rende più semplice la vita alle persone. Inoltre oggi in Italia l’assistenza domiciliare non è pensata per la non autosufficienza, non per errore di qualcuno ma per il disegno istituzionale dell’Adi che prevede interventi monoprestazionali, tipicamente infermieristici, e di breve periodo, due o tre mesi. Sono interventi utili ma non sono pensati per la non autosufficienza, che invece dura anni e che ha bisogno – per esempio – anche di interventi sociali e psicologici. Cosa cambia? Si costruisce una domiciliarità pensata per la non autosufficienza, che dura per tutto il tempo necessario, non monoprestazionale ma con una dimensione di assistenza complessiva. Per fare un altro esempio ancora che riguarda la vita concreta delle persone, citerei il fatto che l’indennità di accompagnamento, oggi per tutti a 527 euro, darà di più a chi sta peggio, a chi ha un fabbisogno assistenziale maggiore. E a chi assume una badante in modo regolare, usando per pagarla la nuova prestazione universale, lo Stato darà una prestazione di valore superiore. Un’altra cosa importante è la definizione di standard formativi a livello nazionale per le badanti, significa avviare un percorso di rafforzamento di questa figura. Rispetto ai servizi residenziali, una riforma non può che partire dai fondamentali: dotare tutte le strutture del personale quantitativamente adeguato (cosa che oggi non è) e dotarlo delle competenze necessarie, in particolare di quelle che servono per affiancare le persone con Alzheimer. Le cose concrete sono davvero tante. Ovviamente fino ad oggi siamo stati a livello di legge delega, si è lavorato sui punti base. Oggi si apre un’altra fase di lavoro.

All’interno di un testo di difficile lettura è fondamentale cogliere gli aspetti chiave. E il punto cruciale è il fatto che questa delega prevede per la prima volta la costruzione di un sistema di welfare che “si accorge” della questione della non autosufficienza, riconoscendone la specificità, e modifica conseguentemente le proprie risposte. Questa è una riforma molto concreta e bisogna iniziare anche a raccontarla con questa chiave di lettura.

Cristiano Gori

Dovendo riassumere, gli obiettivi fondamentali della riforma quali sono?

Tutte queste azioni si iscrivono dentro un disegno d’insieme, che persegue tre obiettivi. Essi, considerati insieme, vanno ad affrontare le attuali criticità di fondo di questo ambito del welfare. Il primo obiettivo, lo dicevo già prima, è la costruzione di un sistema unitario specifico per la non autosufficienza, che permette di superare la caotica frammentazione attuale delle risposte. Il secondo obiettivo è definire nuovi modelli di intervento, nuovi perché progettati a partire dalle specifiche condizioni degli anziani non autosufficienti. Sembra un’ovvietà ma come ho cercato di spiegare prima è un punto di vero e radicale cambiamento. Il terzo obiettivo è quello di incrementare i finanziamenti pubblici dedicati, oggi inadeguati. Senza di essi – è evidente – la riforma è destinata a rimanere un elenco di buone intenzioni sulla carta. Questi obiettivi affrontano probemi che sono comuni a tutti i territori, anche se nelle singole regioni ciascuno di essi avrà un rilievo diverso e una situazione di partenza diversa: ma l’eterogeneità italiana non è un buon motivo per dire “non facciamo la riforma”.

Il primo obiettivo della riforma è la costruzione di un sistema unitario specifico per la non autosufficienza, che permette di superare la caotica frammentazione attuale delle risposte. Il secondo obiettivo è definire nuovi modelli di intervento, nuovi perché progettati a partire dalle specifiche condizioni degli anziani non autosufficienti. Sembra un’ovvietà, ma per il nostro welfare è un punto di vero e radicale cambiamento. Il terzo obiettivo è quello di incrementare i finanziamenti pubblici dedicati, oggi inadeguati.

Cristiano Gori

La questione dei fondi è centrale: non ce ne sono. Ma come può essere credibile, nel suo obiettivo di riforma, una riforma che non ha risorse?

A questo punto del percorso è importante spiegare bene la questione delle risorse. Nel 2021 la prima versione del Pnrr, presentata dal governo Conte, non prevedeva la riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti. Dinanzi a ciò alcune le organizzazioni del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza si sono mobilitate: l’esito di questa interlocuzione è stato l’introduzione della riforma nel Pnrr, con il governo Draghi, e successivamente la predisposizione del disegno di legge delega che recepisce ampiamente le proposte della società civile rappresentata dal Patto. Era chiaro a tutti che la riforma sarebbe partita senza fondi, perché tutte le riforme del Pnrr non prevedono aumenti strutturali della spesa corrente.

Perché allora come Patto avete investito su questa strada?

Abbiamo investito con decisione su questo percorso perché la riforma della non autosufficienza era attesa da 25 anni e non c’era mai stato modo di realizzarla. Si tratta di una materia politicamente estremamente debole, ne siamo consapevoli, prova ne sia che nella prima versione del Pnrr non c’era. Per questo motivo agganciarla agli impegni vincolanti del Pnrr e a tempi prestabiliti, rappresentava una possibilità unica per arrivare alla riforma. Agganciarsi al Pnrr ci dava innanzitutto l’opportunità di fare la riforma. La scelta strategica è stata quella, puntare alla certezza di fare la riforma, lavorando intanto perché la riforma diventi l’occasione per far crescere l’attenzione sia della politica sia dell’opinione pubblica verso questo tema e quindi portare piò fondi. Può essere che la storia dimostrerà che è stata una strategia sbagliata… ma va guardata in questa ottica. Adesso siamo arrivati al momento dei fondi, il momento è questo. Da un lato perché più si avvicina la messa a terra, più i fondi diventano necessari. Dall’altro per un motivo politico, legato al fatto che questo governo è ragionevolmente un governo di legislatura ed è chiaro che i maggiori fondi che servono per la riforma della non autosufficienza – si parla di svariati miliardi di euro – spaventano in una singola legge di bilancio ma hanno un altro impatto all’interno di un più ampio progetto di legislatura. Vero è che la prossima legge di bilancio sarà cruciale per valutare la credibilità di questa operazione, si capirà lì se il governo investe o no su questo percorso. Qui si innesta anche il tema del dibattito che finora non c’è stato, nè dentro la politica nè dentro l’opinione pubblica… se vogliamo che si trovino risorse, questo tema deve diventare una priorità politica.

Questo governo è ragionevolmente un governo di legislatura ed è chiaro che i maggiori fondi che servono per la riforma della non autosufficienza – si parla di svariati miliardi di euro – spaventano in una singola legge di bilancio ma hanno un altro impatto all’interno di un più ampio progetto di legislatura. Vero è che la prossima legge di bilancio sarà cruciale per valutare la credibilità di questa operazione

Cristiano Gori

Il Patto per la Non Autosufficienza ha dimostrato ancora una volta la grande capacità propositiva e innovativa del Terzo settore: non solo un attore che eroga servizi, non solo un soggetto capace di fare una “lobbying buona” sulla politica, ma anche un attore competente, capace di una proposta dettagliata e sostenibile, che offre al decisore uno sguardo che è già sintesi delle diverse posizioni in campo. In un momento storico in cui siamo tutti un po’ “malati di analisi” e fatichiamo tanto ad arrivare a sintesi, questo è un enorme valore. Quali sono i prossimi impegni per il Patto?

Il Patto continuerà a lavorare come sempre su due assi, quello tecnico e quello politico. Quello politico per spingere il governo a stanziare risorse. Quello tecnico perché con i nostri tavoli di lavoro cercheremo di dare un contributo dettagliato anche alla stesura dei decreti delegati. È la parte più difficile.

Quale sarà la sfida principale nella stesura dei decreti delegati?

La complessità tecnica è legata al fatto che è la prima volta in Italia che si cerca di costruire una strategia nazionale per gli anziani non autosufficienti. Ci muoviamo su terreno nuovo, su materie territorialmente molto strutturate e differenziate. Il secondo problema è che quando entri nel dettaglio diventa molto complicato fare quell’allineamento tra gli attori che è il cardine della riforma, per superare l’attuale frammentazione: ma la sfida è esattamente questa, fare politiche che siano condivisi dai due ministeri, dalle regioni, dai comuni. È una sfida molto impegnativa e sappiamo che ad oggi siamo ancora lontani dall’avere un impatto concreto sulla vita delle persone, ma ci conforta il fatto che due anni fa, a gennaio 2021, nessuno avrebbe pensato che oggi saremmo stati qui. Questi sono elementi di fiducia.

Una delle criticità che viene spesso evidenziata sono le contraddizioni di questa riforma della non autosufficienza con altri interventi previsti dal Pnrr, in particolare con l’intervento che stanzia 2,7 miliardi di euro per portare la copertura dell’attuale Adi al 10% degli over 65.

Quell’investimento sull’Adi è stato disegnato prima che si riuscisse a inserire la riforma della non autosufficienza dentro il Pnrr. Quell’indicazione dice ai territori di sviluppare l’Adi attuale, con le sue criticità – essere un intervento monoprestazionale, che segue gli anziani solo per pochi mesi, mentre la riforma indica una direzione contraria. In assenza di correttivi, è vero, avremmo investimenti che puntano in una direzione e la riforma che punta in un’altra direzione. Tecnicamente nel Pnrr le riforme sono superiori agli investimenti, si può intervenire “aggiustando” il tiro. Abbiamo già chiesto di riorientare una parte di questi 2,7 miliardi per la nuova assistenza domiciliare: lo rifaremo ancora.

La sua rilettura del percorso di questi due anni, oggi, qual è?

È stato un percorso difficile ed entusiasmante. Un percorso che è stato possibile perché le istituzioni hanno ascoltato. Mi piace sottolineare che le due persone decisive in questo percorso – che ringrazio – siano di due parti politiche differenti, Andrea Orlando che da ministro del lavoro e delle politiche sociali ha fatto propria la richiesta di introdurre le riforma nel Pnrr e Maria Teresa Bellucci, attuale viceministro al lavoro e alle politiche sociali, con la delega per questa riforma, che ha valorizzato il lavoro fatto nella precedente legislatura, migliorandolo ma senza modificarlo sostanzialmente. Non è stata una cosa da poco.

foto Cottonbro Studio per Pexels

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