Famiglia
Essere genitori, sotto l’arcobaleno
Registrare o no i figli delle coppie omosessuali? Il tema è dibattuto, ma quel che è certo è che al primo posto delle "fatiche aggiuntive" che i genitori Lgbtq+ devono affrontare c'è proprio il mancato riconoscimento del legame tra il figlio e il genitore non biologico. Urban Nothdurfter e Salvatore Monaco, dell'Università di Bolzano, hanno appena concluso una ricerca triennale su come vivono la genitorialità queste coppie. Un racconto che entra nelle case, al di là delle polemiche e della politica
È notizia di questi giorni che il Comune di Milano è stato costretto a interrompere le registrazioni dei figli nati da coppie omogenitoriali in Italia. Lo ha imposto la Procura di Milano, in seguito a una circolare del ministero dell’Interno che chiede di adeguarsi alla sentenza della Cassazione di fine dicembre. I giornali e i social oggi sono pieni di prese di posizione politiche e delle voci delle associazioni delle famiglie arcobaleno, impegnate sul fronte dell’advocacy. Ma come vivono quotidianamente la loro genitorialità le coppie dello stesso sesso? Quelle che la faccia ce la mettono comunque – al parchetto come all’iscrizione a scuola, alla festa di compleanno del compagno di classe come nei consigli di classe – per “preparare il contesto” in una società che ancora troppo spesso coprirebbe i loro figli di domande e sguardi obliqui. Urban Nothdurfter e Salvatore Monaco della Libera Università di Bolzano hanno curato negli ultimi tre anni una approfondita ricerca sulla genitorialità Lgbtq+ nell’Italia di oggi, che fa parte della più ampia “Costruzione di genitorialità su terreni incerti”, coordinata da Silvia Fargion e realizzata con un finanziamento Prin, che ha indagato anche la genitorialità in situazione di povertà assoluta, di migrazione forzata e di divorzi altamente conflittuali. Nothdurfter è professore associato presso l’Università di Bolzano, mentre Monaco è Research Fellow. Per questa ricerca hanno intervistato 54 genitori Lgbtq+ italiani.
Ci aiutate innanzitutto a ricostruire il quadro? Quando oggi in Italia i figli di coppie dello stesso sesso sono a tutti gli effetti figli di entrambi e quando no?
Salvatore Monaco: L'introduzione delle unioni civili in Italia, avvenuta nel 2016, ha certamente rappresentato un passo importante verso il riconoscimento dei diritti delle coppie composte da partner dello stesso sesso. Tuttavia è importante sottolineare che sia dal punto di vista giuridico sia da quello sociale esistono ancora spazi di esclusione, che riguardano soprattutto la sfera familiare. Ai sensi dall’art. 6 della legge 184/83, l’accesso all’istituto dell’adozione piena o legittimante è consentito infatti soltanto ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni (o che raggiungono tale periodo sommando alla durata del matrimonio quello di convivenza): si tratta di un primo chiaro esempio di disparità di trattamento in ordine a un istituto forzosamente legato al matrimonio. Analogamente, la legge n. 40/2004 vieta a tutti i cittadini italiani il ricorso alla gestazione per altri e stabilisce che possono accedere a percorsi di fecondazione assistita esclusivamente coppie composte da partner maggiorenni di sesso opposto, coniugati o conviventi, in età potenzialmente fertile: anche in questo caso quindi è ravvisabile una limitazione che vede le donne, single o impegnate in una relazione same-sex, escluse della possibilità di sottoporsi a trattamenti medici per la procreazione. Allo stato attuale, l’unica strada praticabile per le coppie omoaffettive italiane che intendono portare avanti un percorso genitoriale è recarsi presso un Paese estero in cui la gestazione per altri o l’inseminazione artificiale sono consentite.
Le unioni civili in Italia non contemplano il riconoscimento del diritto alla bigenitorialità. Nel 2016 dal disegno di legge sulle unioni civili, prima dell'approvazione, è stata stralciata la disposizione che era volta a riconoscere giuridicamente il legame tra il genitore “sociale” – partner del genitore biologico – e i figli nati attraverso tecniche di procreazione assistita. Ad oggi, quindi, l’ordinamento italiano riconosce solo il legame con il genitore biologico, mentre il genitore sociale, pur avendo condiviso il progetto procreativo ed esercitando nel quotidiano le proprie funzioni genitoriali, dal punto di vista legale non esiste. La bigenitorialità può essere riconosciuta solo ricorrendo all’adozione del figlio del partner.
Salvatore Monaco
“La fatica oltre la fatica” è rappresentata dal fatto che le unioni civili in Italia non contemplano il riconoscimento del diritto alla bigenitorialità. Il Senato, a causa di resistenze politiche, ha stralciato dal disegno di legge sulle unioni civili, prima della sua approvazione, una disposizione che era volta a riconoscere giuridicamente il legame tra il genitore “sociale” – partner del genitore biologico – e i figli nati attraverso l’ausilio di tecniche di procreazione assistita. Ad oggi, quindi, l’ordinamento italiano riconosce solo il legame con il genitore biologico, mentre il genitore sociale, pur avendo condiviso il progetto procreativo ed esercitando nel quotidiano le proprie funzioni genitoriali, dal punto di vista legale non esiste.
Le coppie unite civilmente possono vedere riconosciuta la bigenitorialità ricorrendo all’adozione del figlio del partner. Nello specifico, sulla base di un’interpretazione elastica e costituzionalmente orientata dell’articolo 44 comma 1 della legge sulle adozioni (legge 184/1983), la Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo il quale un bambino con un solo genitore riconosciuto legalmente, può essere adottato dal partner del genitore. I genitori sociali che intendono procedere in tal senso possono avanzare la propria richiesta al Tribunale per i minorenni, che, tramite i servizi sociali e gli organi di pubblica sicurezza, verifica che l’adozione risponda al preminente interesse del minore, così come previsto all’art. 57, commi I e II, della L. 184/1983, e, più in generale, dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/1989 (art. 3, comma I) e dalla Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione europea (art. 24, comma II).
Si tratta di una specificità tutta italiana, dal momento che in molti altri Paesi dell’Unione Europea, in cui pure alcuni metodi di fecondazione medicalmente assistita sono vietati, la trascrizione all’anagrafe di due genitori dello stesso sesso è comunque consentita, tutelando lo status filiationis a prescindere dalla liceità della tecnica procreativa.
Si tratta di una specificità tutta italiana, dal momento che in molti altri Paesi dell’Unione Europea, in cui pure alcuni metodi di fecondazione medicalmente assistita sono vietati, la trascrizione all’anagrafe di due genitori dello stesso sesso è comunque consentita, tutelando lo status filiationis a prescindere dalla liceità della tecnica procreativa.
Veniamo ai Sindaci. Per molte coppie omogenitoriali, una strada alternativa all’adozione del figlio del partner è stata la trascrizione di entrambi i genitori sull’atto di nascita del proprio figlio presso il Comune di residenza. Si tratta di una concessione non così scontata, resa possibile da alcuni sindaci “arcobaleno”, che hanno deciso di procedere in questa direzione nonostante la registrazione di due genitori dello stesso sesso sia contraria ai principi dell’ordinamento giuridico italiano. Le prime trascrizioni di questo tipo si sono avute nelle città di Napoli e Bologna, che hanno fatto da apripista, stimolando altre realtà territoriali a fare lo stesso.
All’interno della ricerca triennale Coping, avete intervistato padri e madri omosessuali che insieme hanno impostato il loro progetto genitoriale, genitori che hanno avuto figli da una relazione eterosessuale e solo successivamente hanno affrontato il coming out e anche genitori che hanno intrapreso una transizione di genere. I genitori Lgbtq+ sono genitori fragili o la parola “incertezza” indica altro?
Urban Nothdurfter: No, i genitori non sono fragili, anzi… abbiamo incontrato tanti genitori che nonostante una serie di sfide aggiuntive riescono a costruire la loro genitorialità in modo molto consapevole e orientato al bene dei loro figli. Sono le condizioni all’interno di sistemi etero- e cisnormati che, nonostante una crescente diversità e dinamicità nelle relazioni intime e familiari, spesso ancora non prevedono e riconoscono le persone Lgbtq+ come genitori. Questo si esprime in modo eclatante nel non riconoscimento del genitore cosiddetto sociale nelle famiglie di prima costituzione, ma non solo. Pensiamo anche alle difficoltà di genitori che hanno avuto dei figli in precedenti relazioni eterosessuali o alle difficoltà dei genitori che intraprendono un percorso di affermazione di genere. Stiamo parlando di difficoltà in diversi ambiti e su diversi livelli, all’interno del proprio ambito familiare e relazionale, nei contesti sociali allargati, nell’incontro con istituzioni, servizi e professionisti e nel non riconoscimento a livello giuridico. Per non parlare delle strumentalizzazioni di natura politica che in Italia ben conosciamo. La nostra ricerca ha dimostrato che tutti i genitori Lgbtq+ sono accomunati dal dover gestire le incertezze risultanti dal fatto di diventare e fare i genitori al di là di una matrice normata rispetto all’identità sessuale: questo nonostante percorsi, esperienze e problemi siano molto diversi tra di loro. Quando parliamo di genitorialità in terreni incerti, quindi, indichiamo proprio questo. Tanti dei genitori intervistati hanno sottolineato che dover affrontare queste incertezze vuol dire costruire la propria genitorialità in modo più consapevole e riflessivo, ma vuol dire comunque anche fare più fatica oltre alle fatiche che in qualche modo tutti i genitori devono affrontare. Poi, certo, anche nelle famiglie che coinvolgono genitori Lgbtq+ delle volte non mancano i problemi e i conflitti, come in tante altre famiglie. Ma ci sono delle sfide specifiche e degli aggravanti strettamente legati a un contesto che non riconosce e non supporta i genitori Lgbtq+.
No, i genitori non sono fragili, anzi… abbiamo incontrato tanti genitori che nonostante una serie di sfide aggiuntive riescono a costruire la loro genitorialità in modo molto consapevole e orientato al bene dei loro figli. Quando parliamo di genitorialità in terreni incerti indichiamo il fatto di dover gestire le incertezze risultanti dal fatto di diventare genitori e fare i genitori al di là di una matrice normata rispetto all’identità sessuale. Vuol dire comunque fare più fatica oltre alle fatiche che in qualche modo tutti i genitori devono affrontare.
Urban Nothdurfter
Che cosa preoccupa maggiormente i genitori Lgbtq+ e quali caratteristiche ha il loro essere genitori, oggi, in Italia?
Salvatore Monaco: I genitori Lgbtq+ in Italia, così come in molte altre parti del mondo, affrontano sfide uniche nella loro esperienza genitoriale a causa della loro identità. Dalla nostra ricerca è emerso che molte delle preoccupazioni si manifestano già nella fase precedente alla genitorialità. In particolare, i partecipanti allo studio, immaginandosi come genitori, hanno dichiarato di aver considerato con attenzione possibili sfide e preoccupazioni specifiche, come il timore che i propri figli possano subire discriminazioni a causa del loro nucleo familiare, basate su stereotipi diffusi. Inoltre, i genitori di figli nati in precedenti relazioni eterosessuali hanno raccontato di aver temuto che il loro coming out potesse in qualche modo rompere gli equilibri familiari precedenti o addirittura essere utilizzato contro di loro nelle decisioni riguardanti l'affidamento dei figli. Altre preoccupazioni sono poi legate all'esistenza di stereotipi diffusi sulle minoranze sessuali, che possono generare dei pregiudizi eterosessisti nell'immaginario collettivo, amplificati dalla parziale tutela delle persone Lgbtq+ e delle loro famiglie sul piano normativo. Situazioni come il mancato riconoscimento del genitore non biologico nel caso di famiglie di prima costituzione o l'accertamento dell'idoneità genitoriale per i genitori che affrontano un percorso di transizione di genere creano incertezze che minano implicitamente la percezione di riconoscimento e inclusione sociale dei genitori Lgbtq+ e delle loro famiglie.
Nella ricerca affermate che «nella società contemporanea italiana c’è ancora poca apertura a riconoscere relazioni parentali che esulano vincoli giuridici o di sangue. Di conseguenza, genitorialità e identità Lgbtq+ sono ancora visti come mondi lontani, se non addirittura inconciliabili. […] Analogamente, sono ancora diffuse preoccupazioni per i figli cresciuti da genitori Lgbtq+ nonostante la produzione scientifica sul tema abbia a più riprese posto in evidenza che non vi sia alcuna correlazione tra le capacità genitoriali e l’identità sessuale delle persone». Siccome questo è un convincimento piuttosto radicato nel senso comune, esattamente cosa dice la ricerca in proposito?
Urban Nothdurfter: Le ricerche hanno chiaramente evidenziato che non ci sono di per sé differenze tra le capacità genitoriali relative all’orientamento sessuale e l’identità di genere dei genitori. Su questo i risultati di ricerca parlano in modo molto chiaro e lo hanno sottolineato anche le società scientifiche più autorevoli a livello internazionale. Ci sono però delle sfide aggiuntive e delle incertezze che derivano da contesti e condizioni che non riconoscono e non proteggono i genitori con un’identità sessuale di minoranza e le loro famiglie allo stesso livello di (coppie) di genitori eterosessuali e cisgender e le loro famiglie. Le conseguenze di queste incertezze nella quotidianità dei genitori Lgbtq+ e le strategie per gestirle, in primis nell’interesse e per la tutela dei propri figli, le abbiamo evidenziate bene attraverso il nostro progetto di ricerca.
Una mamma ci ha raccontato questo: «Al settimo mese di gravidanza ho dovuto sedermi davanti a un tavolo con un foglio bianco e fare testamento. Sfido chiunque a mettersi davanti a un foglio bianco e scrivere le parole "se io dovessi morire durante il parto", "se dovesse succedermi qualcosa"… dare disposizioni perché non abbiamo la possibilità di dire al nostro Stato, a un giudice, che "questa è l'altra mamma di mio figlio, questo figlio è nostro"»
Salvatore Monaco
Quali possono essere due passaggi esemplari del vissuto di queste famiglie, nelle testimonianze che avete raccolto?
Salvatore Monaco: Uno dei tratti distintivi della nostra ricerca è stato quello di "dare voce" ai genitori. Le loro parole, in molti casi, restituiscono in maniera chiara ed immediata la loro situazione. Ci sono alcuni stralci che ho ben impressi nella mente, proprio per la loro dirompenza. A titolo di esempio, riporto le parole di una madre del Centro Italia che descrivono chiaramente le preoccupazioni dettate dalla mancanza di riconoscimento della bigenitorialità, emerse già prima della nascita del figlio: «Noi ci siamo scontrate con la situazione italiana, per cui in Italia solamente la donna che stava portando avanti la gravidanza – nel primo caso io, nel secondo Laura – era l'unico genitore legalmente riconosciuto. Ci siamo ritrovate a dover dire anche nei moduli che abbiamo compilato in ospedale quando sono nati i bambini, di aver avuto un'unione con un uomo che non aveva riconosciuto il bambino, perché quella era l'unica casella a disposizione; tutta una serie di cose che vanno ad una situazione di discriminazione veramente molto forte… Io racconto sempre una delle cose più tristi che ho dovuto fare: è stata quella al settimo mese di gravidanza, di sedermi davanti a un tavolo con un foglio bianco e fare testamento. Sfido chiunque a mettersi davanti a un foglio bianco e scrivere le parole "se dovesse succedermi qualcosa…", "se io dovessi morire durante il parto…". È una cosa di una violenza inaudita, tutto questo perché non abbiamo la possibilità di dire al nostro Stato, a un giudice, a chi vogliamo, che la persona che ha fatto con noi questo tipo di percorso, o la persona che abbiamo accanto, o qualsiasi persona noi come genitore legale riteniamo che possa prendersi cura di questo bambino, come me, che "questa è l'altra mamma di mio figlio, questo figlio è nostro"… Io credo che qui ci sia veramente un'ipocrisia di fondo, un perbenismo della società italiana che è veramente enorme. Qua si tratta di dare ai bambini dei diritti: nel momento in cui mi fosse successo qualcosa durante il parto, nostro figlio non avrebbe avuto la certezza di poter vivere con l'altra mamma, perché un giudice avrebbe dovuto decidere su delle volontà che io avevo scritto su un foglio di carta e che erano assolutamente delle volontà personali».
Se questo è il contesto, quali sono le strategie quotidiane che mettono in atto questi genitori?
Salvatore Monaco: La maggior parte dei genitori che ha preso parte allo studio ha dichiarato di attuare nella quotidianità diverse strategie di coping utili a vivere la propria situazione familiare in maniera più serena, sottolineando ancora una volta come si tratti di un lavoro incessante… Attraverso una serie di iniziative individuali, ma anche di accordi informali, i genitori che abbiamo incontrato hanno dichiarato di costruire la propria genitorialità all'interno di un processo in continuo divenire, intervenendo direttamente sia sui contesti istituzionali sia su altri contesti sociali e territoriali di appartenenza. Una madre, ad esempio, ha raccontato che anche prendere parte a tutte le feste di compleanno o farsi eleggere come rappresentante di classe appaiono dispositivi utili per ridurre la probabilità che i propri figli possano vivere esperienze negative: «Essere mamma arcobaleno in coppia, soprattutto nel nostro Paese, è un impegno che passa anche attraverso le cose più banali, che sono quelle di partecipare a tutte le feste di compleanno in cui ti invitano, perché sono delle occasioni di socializzazione, sono delle occasioni in cui la gente ti conosce, anche se magari non hai voglia o sei meno espansivo», ha detto. In generale, è possibile sostenere che fuori casa la volontà di arginare l'incertezza spesso si traduce in operazioni di visibilità pubblica, non solo con l'obiettivo di legittimare il proprio modo di fare famiglia e normalizzare l'immagine delle famiglie in cui sono presenti genitori Lgbtq+, ma anche per la necessità continua e molto concreta di preparare i diversi contesti istituzionali e sociali nell'interesse dei propri figli.
Una madre ha raccontato che anche prendere parte a tutte le feste di compleanno o farsi eleggere come rappresentante di classe sono dispositivi utili per ridurre la probabilità che i propri figli possano vivere esperienze negative: «Essere mamma arcobaleno in coppia, nel nostro Paese, è un impegno che passa anche attraverso le cose più banali, come partecipare a tutte le feste di compleanno in cui ti invitano, perché sono occasioni in cui la gente ti conosce, anche se magari non hai voglia»
Salvatore Monaco
La vostra ricerca è una ricerca di servizio sociale, che punta quindi anche a cambiare l’approccio dei servizi e le competenze degli assistenti sociali, per essere più preparati a gestire nel migliore dei modi le situazioni di genitorialità “particolari” in cui sarebbe facile giudicare misurando la genitorialità su un presunto standard. Che indicazioni emergono in questo senso?
Urban Nothdurfter: Sì, la ricerca nasce proprio dall’idea che l’approccio dei servizi e le competenze dei professionisti possono fare la differenza nell’incontrare i genitori in situazioni particolari, tra virgolette, o di incertezza. Nel servizio sociale dobbiamo discutere in modo critico presunti standard e certe rappresentazioni normative della genitorialità che molto spesso non aiutano chi è in difficolta e che non tengono conto di una responsabilità collettiva per il benessere di bambini, genitori e famiglie. E dobbiamo chiederci quanto forme di supporto e pratiche professionali siano connesse a quelli che sono i bisogni e le autorappresentazioni dei genitori con cui abbiamo a che fare. C’è stato un grande interesse all’interno della comunità professionale per la nostra ricerca. Sicuramente dobbiamo ancora sviluppare conoscenze e competenze dei professionisti per lavorare con le famiglie che coinvolgono genitori Lgbtq+. Ma abbiamo anche incontrato diverse situazioni in cui i professionisti erano molto aperti e si sono riconosciuti nel ruolo di promuovere i diritti dei genitori Lgbtq+ e dei loro figli soprattutto, perché di questo stiamo parlando. Abbiamo raccolto storie in cui i professionisti hanno contribuito a esperienze di riconoscimento che possono fare la differenza.
Foto Unsplash
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.