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Strage di Cutro: La politica litiga, la società civile risponde
In Calabria stiamo assistendo a una mobilitazione della società civile senza precedenti. Realtà piccole e grandi si sono messe insieme e hanno promosso la "rete 26 febbraio", che ha già superato le 300 adesioni, per supportare i sopravvissuti del naufragio di Cutro e i familiari delle vittime. Mentre il Governo rimane silente e non si hanno ancora risposte sulle dinamiche del naufragio e la mancata assistenza, su come e dove saranno trasferite le salme, e su cosa succederà ai sopravvissuti che non vogliono fare richiesta d'asilo in Italia, la società civile ha indetto una manifestazione, per il prossimo 11 marzo, sulla spiaggia di Cutro per chiedere un’indagine seria che faccia chiarezza su quanto è successo e di realizzare immediatamente un programma europeo di ricerca e salvataggio in tutto il Mediterraneo
di Anna Spena
La tragedia che si è consumata la notte tra il 25 e il 26 febbraio sulla spiaggia di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone, non sarà dimenticata. Non lo saranno le 72 vittime accertate, gli ultimi due corpi restituiti dal mare sono di una giovane donna e di una bambina di soli tre anni. Non lo saranno i dispersi di cui si ha solo una stima perché non c’è ancora chiarezza su quanti fossero gli uomini, le donne e i bambini che si trovavano sul barcone partito dalla coste turche di Smirne e poi naufragato a pochi, pochissimi metri, dalla costa calabrese. Si stima dalle 180 alle 250 persone. Erano così vicini che i cellulari si erano agganciati a una cellula, avevano ripreso il segnale.
C’è caos e poca chiarezza sui soccorsi: perché in mare è uscita la guardia di finanza e non la guardia costiera per scortare il barcone a riva, quando è stato lanciato l’allarme, Frontex e il Governo italiano che si rimbalzano le responsabilità. L’imbarcazione si è infranta contro una secca, il mare era molto agitato, le persone sono precipitate in acqua. Il barcone si è spezzato. Per chi si trovava sotto coperta non c’è stato niente da fare, qualcuno è caduto in mare e ha nuotato per trovare salvezza. La mattina del 26 febbraio la luce dell’alba ha restituito un’immagine drammatica: la spiaggia di Steccato di Cutro, provincia di Crotone, era diventata un tappeto di morti (Strage Crotone, Ignazio, volontario Croce Rossa: «Era un tappeto di morti»). I sopravvissuti sono stati per diversi giorni al Cara di Crotone (in questo pezzo denuncia la voce di chi l’ha visitato: Strage di Crotone, niente più lacrime per i sopravvissuti reclusi e trattati come animali), ancora in 50 si trovano nella struttura. Ma è finalmente partita la macchina della seconda accoglienza (lo abbiamo raccontato qui: Strage di Cutro, un’operatrice dell’accoglienza diffusa: «I sopravvissuti non parlano»).
Il Governo litiga – maggioranza e opposizione – si rimbalzano accuse. Il ministro dell’Interno Piantedosi parla e non si rende conto dell’insensatezza delle sue parole (lo abbiamo raccontato qui Strage di Crotone, De Ponte (ActionAid): «Piantedosi fuori dalla realtà» e qui Le terribili dichiarazioni di Piantedosi di fronte ai migranti morti), in Calabria sono arrivati i parenti delle vittime, i sopravvissuti sono sconvolti, con le salme di chi non c’è più, nessuno dai piani alti dà indicazioni su cosa fare. Una sola cosa si può registrare con certezza in questi giorni: la mobilitazione straordinaria della società civile prima di Crotone, poi calabrese, poi di tutta Italia. L’umanità dei calabresi che piangono quei corpi come se fossero figli, madri, padri, fratelli e sorelle.
Il caos sui rimpatri e sui sopravvissuti che vogliono lasciare l’Italia
«Quando la mattina del 26 febbraio hanno iniziato a girare le notizie su quello che era accaduto sulla spiaggia di Cutro», racconta Manuelita Scigliano portavoce del “Forum del Terzo Settore” di Crotone e presidente dell’associazione Sabir, «ci siamo messi immediatamente in contatto con le autorità per dire “siamo a disposizione, cosa possiamo fare”. Ci hanno risposto “ne terremmo conto”. Poi è passato un intero giorno, un giorno lungo dove sempre di più abbiamo preso consapevolezza della catastrofe appena consumata. Mi sono rivolta ai miei mediatori culturali, ho detto “andiamo lo stesso, capiamo come possiamo essere d’aiuto”»
Lunedì 27 febbraio sulla spiaggia c’era tanta, tantissima confusione. «Il giorno successivo, il martedì, siamo andati al PalaMilone, il palazzetto dello sport di Crotone dove si trovano le salme. Dopo un po’ di resistenza le autorità ci hanno concesso di entrare. All’inizio eravamo io e altri tre mediatori di Sabir, poi si sono aggiunte altre organizzazioni e anche volontari. I primi giorni abbiamo lavorato anche su turni di 15 ore in stretta collaborazione con gli assistenti sociali di Crotone. È mancata una risposta a livello dello Stato centrale, ma non quella a livello territoriale. Insieme, assistenti sociali e rete della società civile, abbiamo fatto assistenza psicologica ai familiari delle vittime. Sono partiti all’improvviso quindi abbiamo distribuiti kit igienici e sim card. Per i primi quattro giorni sono stati ospiti delle realtà sociali Cutro e Crotone, dopo l’arrivo di Mattarella (Strage di Crotone, Link 2007: «Il gesto di Mattarella riconcilia con le istituzioni»), invece, sono stati spostati in un albergo, sono circa 76 persone, il riconoscimento dei corpi dei loro parenti è stato un momento straziante». La maggior parte delle salme sono ancora a Crotone. «Insieme agli assistenti sociali», continua la presidente di Sabir, «abbiamo compilato i moduli burocratici per chiedere ad ogni parante cosa volesse fare del corpo del proprio caro». Chi si farà carico economicamente del trasporto? «Non lo sappiamo. E questo aggiunge dolore al dolore. La bara di una vittima afgana è stata tumulata a Crotone, così voleva la famiglia. Quattro salme sono tornate in Pakistan, e della spesa si è fatto carico il Paese d’origine». Una parte dei sopravvissuti si trovano ancora al Cara, ma sono partiti da pochi giorni i primi ingressi nel sistema di seconda accoglienza della rete Sai. I sopravvissuti che scelgono di restare inizieranno la procedura di richiesta d’asilo nei prossimi giorni e saranno contattati dalla questura. «Ma non è ancora stato stabilito un iter», continua Scigliano, «su chi invece vuole proseguire verso un altro Paese per ricongiungersi con i parenti».
La rete 26 febbraio
In questi giorni stiamo assistendo a una tragedia nella tragedia. «Come è stata gestita l’accoglienza dei parenti, le informazioni che mancano sui rimpatri, le condizioni in cui sono i sopravvissuti», dice Manuelita Scigliano. «Così il mercoledì dopo il naufragio abbiamo capito che non bastava dare un contributo per gestire la situazione. Ma come realtà sociali del territorio dovevamo metterci in un ottica diversa». È nata così la rete 26 febbraio, di cui Scigliano è portavoce, che ha già raggiunto oltre 300 adesioni: «Prima le realtà di Crotone, poi quelle delle altre città calabresi, poi dall’Italia, ora anche dall’Europa. Stanno aderendo anche singoli cittadini».
Tra le realtà che partecipano anche Arci, ActionAid,Caritas, Aoi, Amnesty e ancora Emergency, Sos Villaggi dei bambini. «Abbiamo assistito inermi allo strazio di file di parenti disperati, costretti o dover riconoscere i volti dei loro cari. Su molte delle bare c’è solo un codice, neanche un nome su cui piangere. Vogliamo far capire che, oltre al dolore che sta investendo anche noi operatori, dobbiamo combattere contro l’assurdo rimpallo di responsabilità tra autorità competenti, su chi poteva e doveva dare il segnale di soccorso nella notte di domenica e anche il vuoto istituzionale nel dare risposte immediate e concrete alle istanze dei familiari. Per questo, come “Rete 26 febbraio”, chiediamo a gran voce che le autorità inquirenti facciano presto chiarezza e giustizia e che non ci siano più disparità nell’accoglienza dei profughi, da qualsiasi parte del mondo e guerra scappino. Ora siamo presi dall’emergenza ma questo naufragio è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Vogliamo dire basta a politiche immigratorie che criminalizzano l’aiuto e favoriscono tragedie come questa».
Per l’undici marzo, alle 14.30, è stata promossa una mobilitazione nazionale sulla spiaggia di Cutro. «La strage di #Cutro», si legge nell’appello sottoscritto dal Tavolo Asilo e Immigrazione, dalle rete 26 Febbraio, dalle Ong impegnate in operazioni di ricerca e soccorso, dalle reti locali della Calabria, dall’Aoi, dalle tante organizzazioni locali e nazionali che hanno deciso di promuovere una manifestazione per esprimere indignazione per quanto accaduto e solidarietà con le famiglie delle vittime, «non è stato un incidente imprevedibile. È solo l’ultima di una lunghissima serie di tragedie che si dovevano e si potevano evitare. Le persone che partono dalla Turchia, dalla Libia o dalla Tunisia sono obbligate a farlo rischiando la vita a causa dell’assenza di canali sicuri e legali di accesso al territorio europeo. I governi hanno concentrato i loro sforzi solo sull’obiettivo di impedire le partenze, obbligando chi fugge da guerre, persecuzioni e povertà a rivolgersi ai trafficanti. Se le persone morte nel mare davanti a Cutro avessero potuto chiedere e ottenere un visto umanitario non avrebbero rischiato la vita. Se ci fosse stato un programma di ricerca e salvataggio europeo o italiano, quel terribile naufragio si sarebbe potuto evitare. Sulle responsabilità delle autorità competenti indagherà la magistratura. Ma chi ha responsabilità politiche, in primo luogo il governo, non può ribaltare la realtà e scaricare sulle vittime il peso di una strage che ha visto la perdita di 70 esseri umani che si potevano e si dovevano salvare».
«È arrivato il momento di dire basta e di fermare le stragi», continua la nota. «Chiediamo un’indagine seria che faccia chiarezza su quanto è successo. Chiediamo di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi di frontiera. Chiediamo di realizzare immediatamente un programma europeo di ricerca e salvataggio in tutto il Mediterraneo, e sollecitiamo il governo italiano a chiedere agli altri Stati membri di implementare questo programma. E ancora chiediamo di attivare i visti umanitari previsti dal regolamento europeo dei visti, consentendo così alle persone in fuga da guerre e violenze l’attraversamento delle frontiere europee in sicurezza e legalità; di attivare ogni via d’accesso complementare, a partire dai reinsediamenti, dai corridoi e da altre forme di sponsorship e di ampliare i canali regolari di ingresso, senza usare questi strumenti per giustificare politiche di chiusura e respingimenti delegati a governi non ue, di fermare ogni iniziativa e programma di esternalizzazione delle frontiere e di promuovere accordi bilaterali condizionati dal rispetto dei diritti umani e non dal controllo dei flussi migratori».
A chi non potrà essere a Steccato di Cutro i promotori dell’organizzaizone chiedono di mobilitarsi online scattandosi una foto con la fascia bianca al braccio e pubblicarla sui social con l’hashtag #fermarelastrage .
Per adesioni: fermarelastragesubito@gmail.com
Credit Foto Avalon Sintesi
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