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Strage di Cutro, un’operatrice dell’accoglienza diffusa: «I sopravvissuti non parlano»
Le vittime del naufragio sulla spiaggia di Steccato di Cutro salgono a 72, sono stati ritrovati i corpi di una donna e una bambina. 50 migranti si trovano ancora al Cara di Crotone, ma l’assegnazione alla rete Sai, sistema di accoglienza e integrazione, è partita. La cooperativa Agorà Kroton è stata tra le prime ad accogliere: «sono arrivate 8 persone, sono sconvolte», racconta un’operatrice. «Volevano solo sistemarsi il letto, trovare una stabilità. Mi sento molto arrabbiata, anche con me stessa, questa tragedia si poteva evitare, noi potevano urlare di più contro le leggi che criminalizzano i salvataggi»
di Anna Spena
L’incubo è iniziato la notte tra il 25 e 26 febbraio. La mattina del 26 febbraio la luce dell’alba ha restituito un’immagine drammatica: la spiaggia di Steccato di Cutro, provincia di Crotone, era diventata un tappeto di morti (Strage Crotone, Ignazio, volontario Croce Rossa: «Era un tappeto di morti»).
72 le vittime ufficiali, 81 i sopravvissuti. Ma non si ha un dato certo su chi effettivamente si trovava sul barcone naufragato, le stime indicano un numero che varia tra le 180 e le 250 persone. Il viaggio era iniziato da Smirne, in Turchia. La costa calabrese era vicina poche centinaia di metri. Ma stando alle prime informazioni raccolte l’imbarcazione si è infranta contro una secca, il mare era molto agitato, le persone sono precipitate in acqua. Il barcone si è spezzato.
I sopravvissuti sono stati per diversi giorni al Cara di Crotone (in questo pezzo denuncia la voce di chi l’ha visitato: Strage di Crotone, niente più lacrime per i sopravvissuti reclusi e trattati come animali), ancora in 50 si trovano nella struttura. Ma è finalmente partita la macchina della seconda accoglienza. Tra i primi la cooperativa sociale Agorà Kroton. La cooperativa aderisce alla rete Sai (sistema accoglienza e integrazione), insieme alle realtà Kroton community, cooperativa bao bab e associazione prociv, e lavora su due progetti, uno comunale, con 110 posti e uno provinciale con 100 posti. «Otto tra i sopravvissuti», spiega Anna Corrado, vicepresindete della cooperativa, «sono stati accolti in 4 appartamenti del progetto comunale. Hanno dai 20 ai 35 anni e arrivano da Iran, Pakistan e Afghanistan. In una situazione “normale” la richiesta d’asilo viene fatta al Cara (centro di accoglienza per richiedenti asilo), poi si procede con l’audizione in commissione territoriale e poi parte l’accoglienza diffusa nelle Reti Sai. In questo caso, invece, l’iter di richiesta d’asilo non è ancora partito ufficialmente, è stata registrata la volontà di chiedere asilo qui. Tra qualche giorno saremo contattati dalla questura per avviare anche il percorso burocratico». La seconda accoglienza può durare sei mesi, che possono essere prolungati per altri sei. Durante il soggiorno chi è accolto partecipa a corsi di formazione, di lingua italiana e di supporto psicologico. «L’obiettivo dell’accoglienza diffusa», spiega Corrado, «è l’integrazione sul territorio».
L’operatrice che li ha accolti, e che preferisce rimanere anonima, racconta: «Quando sono arrivati erano sconvolti. Non parlavano, volevano solo sistemarsi il letto, ritrovare una sorta di stabilità. Li guardo e mi sento impotente, arrabbiata. Anche con me stessa. Tutto poteva essere evitato, tutte queste morti potevano essere evitate. Perchè prima di tutto le persone si salvano in mare, poi si pensa agli scafisti e al perché delle cose. Salvare vite umane viene prima e sono così arrabbiata perché solo ora che guardo i sopravvissuti, che ho le bare delle vittime davanti agli occhi, penso che non ho, che non abbiamo, urlato abbastanza. Abbiamo accettato i cambiamenti della legge, dai decreti sicurezza fino a quelli delle ultime settimane contro le ong. Dovevamo gridare di più, farci sentire di più».
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