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La strage di Cutro e il Pakistan sull’orlo del default

Oggi Islamabad è a un passo del fallimento economico e sociale, con tensioni crescenti alla vigilia di elezioni molto tese. Imran Khan doveva essere il nuovo Erdogan per contenere i flussi migratori dall'Afghanistan nei piani europei ma invece è stato il primo premier ad essere mandato a casa dal Parlamento. Con un salario minimo di 85 euro al mese e con l'inflazione più alta dal 1975, sempre più pakistani sognano l'Occidente e, per questo, almeno una ventina erano sull'imbarcazione affondata il 26 febbraio scorso

di Paolo Manzo

La tragedia di Cutro, con la morte di almeno 72 migranti, la maggior parte afghani ma anche alcuni pachistani, ce n’erano una ventina sulla barca affondata, ci impone una domanda. Se purtroppo sappiamo perché da Kabul oggi fuggono quasi tutti (per capire i motivi basti leggere VITA qui e qui), poco si conosce dell’esodo di massa anche da Islamabad, che con l’Afghanistan condivide 2650 km di confine dove si nascondono estremisti di al-Qaida, Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP) e della rete di Haqqani.

Oggi il Pakistan è sull’orlo del default economico e vive tensioni crescenti a causa delle elezioni suppletive per 33 seggi in Parlamento tra il 16 ed il 19 marzo, quelle in Punjab di fine aprile e le generali, che si terranno entro il 14 ottobre. “Il tracollo economico pakistano si è metastatizzato in un’emergenza di pagamenti in piena regola”, scrive l’analista Muhammad Wajahat Sultan, su Pakistan Today, che poi lancia un allarme alla comunità internazionale. “Se il Pakistan fallisce, le fazioni jihadiste e terroristiche avranno il potere di intromettersi nella configurazione interna del paese. Ciò causerà ancora più malcontento e anarchia sociale, un fenomeno destinato a diffondersi come una pandemia in tutto il mondo di oggi, interconnesso come mai prima d’ora”.

Una polveriera, insomma, aggravata dalla decisione, il 5 marzo scorso, della Pakistan Media Regulatory Authority, la PEMRA, che ha vietato a tutti i canali televisivi di trasmettere i discorsi e le conferenze stampa dell’ex primo ministro Imran Khan, il fondatore e presidente del Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI), uno dei maggiori partiti politici del paese asiatico, sostenendo che stava “attaccando le istituzioni dello stato e promuovendo l’odio”. Nelle strategie di Bruxelles, che aveva stanziato risorse a tal proposito, solo un anno fa, il Pakistan doveva infatti garantire all’Unione europea quello che, prima la Libia e poi la Turchia, hanno assicurato in passato, ovvero “l’esternalizzazione dei confini e il blocco dei flussi migratori”, scrivevano con acume su VITA Rabia Mehmood e Ottavia Spaggiari. Khan come Erdogan, insomma. Solo che il 10 aprile 2022, Khan è stato rimosso dall’incarico con un voto di sfiducia del Parlamento, causando proteste oceaniche dei suoi tanti sostenitori nelle principali città del Pakistan.

In Pakistan l’inflazione a febbraio è salita al 31,5%, la più alta degli ultimi 48 anni e, nella prima settimana di marzo ha superato già il 40%. Se a ciò si aggiunge il crollo della moneta locale, la rupia pakistana, svalutatasi del 50% nei confronti di euro e dollaro nell’ultimo anno, e un governo che ha aumentato i prezzi dell’energia e le tasse per soddisfare le condizioni di prestito del Fondo Monetario internazionale, non solo è logico l’esodo migratorio ma il trend è destinato ad aumentare, così come le proteste di una popolazione sempre più esasperata.

“Sopravviviamo a stento”, si sfogava pochi giorni fa sul quotidiano Dawn, il più antico e anche il maggiore in lingua inglese del Pakistan, Muhammad Khan, che lavora a Brandreth Road, un mercato industriale a Lahore. “Con una famiglia di sei persone ho bisogno di almeno mille rupie pakistane al giorno per dar loro da mangiare” ma il salario minimo fissato dal governo è di 25mila al mese, pari a 85 euro, mentre i prezzi del cibo sono saliti alle stelle. Un litro di latte oggi costa quasi come in Italia, ovvero 0,9 euro, un kg di cipolle supera l’euro mentre per mettere in tavola un pollo ci vuole l’equivalente di 3 euro, al chilo.

La crescente polarizzazione e l’instabilità nel paese hanno aumentato la probabilità che, con l’avvicinarsi delle elezioni, la censura si estenda non solo alle televisioni ma anche a Internet, ben oltre il blocco imposto settimane fa a Wikipedia per la sua incapacità di “rimuovere o bloccare contenuti sacrileghi”. In questo contesto, con il conflitto tra l’attuale governo, l’establishment militare e il partito Pakistan Tehreek-i-Insaf di Khan che si acuisce ogni giorno di più e con l’aggravarsi di una crisi economica che non si vedeva da metà degli anni Settanta, ci vorrebbe un maggiore coinvolgimento della comunità internazionale per rafforzare la società civile locale, oltre ad una rinegoziazione se non la cancellazione del debito del Pakistan. Al momento però tutto ciò è assente dal dibattito in Occidente e, per rendersene conto, basta leggere i giornali europei e statunitensi, che ignorano una situazione davvero esplosiva.

Secondo il World Migration Report delle Nazioni Unite, solo gli Emirati Arabi Uniti ospitano oggi 8,7 milioni di migranti, principalmente da India, Bangladesh e Pakistan. Si tratta di tutti migranti economici, al pari di quelli di Cutro. Per questo non deve stupire che si stia rafforzando anche la cosiddetta “via pakistana dei migranti”, che raccoglie moltissimi afghani e, passando attraverso la Turchia, arriva nel Mediterraneo, trasformatosi nel maggiore cimitero del mondo per chi è disperatamente in fuga dalla miseria.

Il ministero degli esteri di Islamabad ha assicurato che 20 suoi cittadini erano sulla barca affondata a Cutro, almeno tre di loro sono morti e uno risulta disperso. Tra le vittime la più famosa era la capitana della nazionale di hockey femminile del Pakistan, la 27enne Shahida Raza, appartenente alla popolazione hazara, perseguitata dall’Isis che, solo nell’ultimo anno ne ha uccisi oltre 700 in Afghanistan. Per questo la famiglia di Shasida era emigrata in Pakistan. Chinto, come la chiamavano tutti, giocava anche a calcio nella squadra del Balochistan United Women Football Club di Quetta, squadra fondata da Rubina Irfan, una parlamentare del PML, la Lega musulmana del Pakistan, che accetta giocatrici di tutte le etnie e religioni perché, spiega la stessa Rubina, “le donne possano progredire qui, non abbiamo bisogno di tracciare ancora più confini tra di loro”. Una goccia di speranza in un mare di disperazione ma se l’Europa non farà nulla, facendosi valere di più sullo scenario internazionale per alleviare la sofferenza di 230 milioni di pakistani, presto i 40.000 connazionali di Sashida che hanno tentato di entrare nei paesi Ue negli ultimi 12 mesi, sono destinati ad aumentare.


Nella foto l’ex primo ministro Imran Khan – Avalon/Sintesi

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