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Ucraina, padre Ihor Boyko: «Noi, un popolo infrangibile»
Ihor Boyko è il rettore del seminario greco - cattolico di Leopoli, struttura diventata centro di accoglienza per gli sfollati interni. Ora lui passa le giornate a raccogliere e distribuire gli aiuti nelle città dell’Est del suo Paese. «Grazie a tutti gli italiani che ci supportano», dice. «Le facce dei volontari arrivati qui sono state la nostra speranza». Il numero di vita ora in edicola “Occupy Ucraina” è la storia di una straordinaria mobilitazione umanitaria nata per supportare il Paese. Una mobilitazione che racconteremo anche dal vivo in un appuntamento il prossimo 20 febbraio dove si collegherà padre Ihor
di Anna Spena
+380 67 88X XX XX. Il telefono di Ihor Boyko squilla a vuoto. Una, due, tre, quattro, cinque volte. Poi, due giorni dopo. «Ciao, eccomi», dice. «Sono stato sotto pressione per la raccolta dei beni da mandare ad Est. Non abbiamo avuto elettricità e accesso a Internet. Ma resistiamo, resistiamo finché sarà necessario». Ihor Boyko è il rettore del seminario greco – cattolico di Lviv. Lo ripete spesso, lo sottolinea, se lo ricorda e ce lo ricorda: «resistiamo». Tra tanti impegni sa quanto è importante far sapere quello che accade e tener desta la coscienza del resto d’Europa. Lviv è la città più grande e popolata nell’Ucraina dell’Ovest, dopo l’inizio dell’invasione russa lo scorso 24 febbraio è diventata un vero hub umanitario. 700mila abitanti che in pochissimi giorni hanno superato il milione. Una città che si è allargata per fare spazio agli altri ucraini che scappavano dell’Est del Paese e all’inizio anche da Kiev. Il seminario di padre Ihor si è trasformato in un centro di accoglienza per gli sfollati interni. Dopo un anno di conflitto Ihor ha una paura: «Abbiamo visto troppa morte, troppa distruzione. Chiedo spesso al Signore di aiutarmi a non riempire il mio cuore con l’odio. La guerra deve finire, ma con una pace giusta. Non cederemo territori. Non importa quale lingua parliamo, se ucraino o russo, siamo una solo patria, siamo un popolo infrangibile». Il numero di VITA ora in edicola “Occupy Ucraina” (che potete anche scaricare qui) è la storia di una straordinaria mobilitazione umanitaria nata per supportare il Paese. Una mobilitazione che racconteremo anche dal vivo in un appuntamento il prossimo 20 febbraio dove si collegherà, dall’Ucraina, padre Ihor.
Padre Ihor, è passato un anno dall’inizio della guerra, come sta?
Noi resistiamo, resisteremo finché sarà necessario. La cosa che mi dispiace molto è che Putin e l'esercito russo non riescono a capire che siamo un popolo veramente forte, forte. Siamo uniti, siamo un popolo infrangibile. Ma lui comunque continua a distruggere le nostre città, distruggere edifici dove abita la gente civile, distruggere ospedali, scuole, università, interi villaggi, uccidere tanta gente e uccidere la gente innocente. E questo fa molto male.
Vi sentite abbandonati?
No, abbiamo un grande sostegno e un grande aiuto dal mondo, dalla comunità europea, dall’Italia che ci aiuta in questo momento veramente difficile e ci sostiene. Nessuno si aspettava che questa guerra potesse durare così a lungo. Ma siamo sulla nostra terra. L'Ucraina è la nostra terra e la nostra patria, anche se a volte possiamo parlare diverse lingue. Qualcuno parla l’ucraino, qualcuno parla il russo: ma tutti abbiamo la stessa patria e questa patria è l'Ucraina. Non vogliamo cedere a Putin nessun metro del nostro territorio: né in Donbass, né la Crimea, né in altri posti, perché questa è casa nostra e nessuno può venire a prenderci e metterci in ginocchio. Quindi noi proteggiamo la nostra terra, noi combattiamo, noi aiutiamo le persone che sono sfollate, che hanno dovuto abbandonare le loro case.Anche nel nostro seminario a Leopoli abbiamo accolto più di 200 persone durante i primi mesi di guerra. Sono rimaste da noi sei persone che non sanno più dove tornare perché i russi hanno distrutto la loro casa e occupato la loro città.
Come funziona la macchina degli aiuti?
Riceviamo gli aiuti o a volte ce li portano direttamente i volontari qui a Leopoli. E poi li portiamo nelle città sotto assedio o dove c’è più bisogno. Andiamo a Kherson, a Kharkiv, nelle regioni di Donetsk e Lugansk. A Kharkiv, per esempio, ci sono due nostre chiese. E ogni giovedì 1500 persone ci vanno per ritirare cibo per i bambini, cibo per gli adulti, il riso, la pasta, i pomodori, altri beni, la carne in scatola, il tonno. vestiti caldi, coperte, soprattutto adesso maglie termiche e medicinali.
Qual è stata la cosa più dolorosa in questi 12 mesi?
Vedere la gente che muore. Quasi ogni giorno celebriamo una messa per qualcuno che è morto al fronte. La guerra porta alla morte, alla distruzione, ma porta anche all’odio. Ogni giorno chiedo al Signore di aiutarmi a non riempire il mio cuore con l’odio, perché se il mio cuore si riempie d’odio io ho perso tutto.
Che desiderate?
Che tutto possa finire, ma con una pace giusta. E la pace giusta vuol dire che, prima di tutto, i russi devono smettere di sparare. Devono ritirare le loro forze armate dal territorio ucraino. Devono ritirarsi e poi devono anche ristabilire tutto ciò che hanno rubato, devono risarcire il popolo ucraino per tutti i danni, devono prendersi la responsabilità. Tutti abbiamo bisogno di pace, il popolo ucraino soffre, ma anche tantissime famiglie in russia soffrono perché i loro familiari muoiono per una guerra ingiusta.
E l’immagine più bella di questi 12 mesi?
Le facce dei volontari, che arrivano dall’Italia e dagli altri Paesi. Vuol dire che c’è interesse per quello che succede qui. Vuol dire che non ci lasciate da soli.
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A un anno dall’aggressione della Russia, vi propponiamo una serata (il 20 febbraio) per interrogarci su quale sia la pace possibile per l’Ucraina. E per capire cosa possiamo fare noi. Subito. Lo faremo ascoltando le testimonianze dei pacificatori. Ingresso libero sino a esaurimento posti, perciò meglio accreditarsi qui
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