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Perché durante un’emergenza i bambini non si possono adottare?

Le immagini dei bambini sopravvissuti al drammatico terremoto che ha colpito Turchia e Siria spingono tante coppie al desiderio di dare loro una famiglia. Invece proprio nelle emergenze si moltiplicano gli inviti alla cautela se non alla sospensione delle adozioni. Sembrerebbe un controsenso, invece è una scelta che tutela dei bambini, finché la loro situazione di abbandono effettivo non sia chiara. Aibi: «Con l'affido internazionale potremmo invece dare una risposta "ponte" al bisogno di famiglia di tanti bambini. L'Italia lo riconosca»

di Sara De Carli

A poche ore dal terremoto che ha colpito Turchia e Siria, sulla pagina Facebook dell’ International Social Service – una organizzazione internazionale fondata nel 1924 che si lavora prevalentemente con famiglie che vivono problemi sociali complessi a causa della migrazione, spesso con componenti che vivono in paesi diversi – c’era giù un post che ribadiva quel che ogni volta occorre ribadire: «ISS Network e ISS International Reference Centre ricordano che, in generale, l'adozione internazionale non dovrebbe avvenire in una situazione di calamità naturale devastante come un terremoto, dato che questi eventi rendono praticamente impossibile verificare la situazione personale e familiare dei bambini. Qualsiasi operazione di adozione o di evacuazione di bambini vittime del terremoto in un altro paese deve essere assolutamente evitata. Inoltre, i bambini colpiti dal terremoto stanno attualmente subendo uno stress estremo, cosicché un improvviso trasferimento verso un nuovo paese e una nuova famiglia possa avere un impatto psicologico impossibile da misurare». Un documento simile lo aveva predisposto all’inizio della guerra in Ucraina.

Tutti i siti di informazione, nelle stesse ore, raccontavano la toccante vicenda di Aya, la neonata nata durante il terremoto e trovata in vita con il cordone ombelicale ancora attaccato alla madre. E ancora oggi tutti siamo toccati nel profondo dalle immagini del bimbo di due mesi estratto vivo dalle macerie dopo 128 ore, nel distretto di Antakya. È ancora presto per fare il conto dei bambini rimasti orfani e probabilmente saranno tantissimi. Perché allora proprio quando c’è un’emergenza di portata tale da stravolgere gli equilibri e la vita di un Paese, le adozioni vengono bloccate? Perché – verrebbe da dire “a caldo” – si toglie la possibilità di adottare i bambini proprio nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto? «Rispondere non è mai semplice, perché i sentimenti che entrano in gioco di fronte a una domanda come questa sono molti e diversi tra loro. Da un lato c’è sicuramente uno slancio emotivo comprensibile, giusto e bello. Dall’altro, però, c’è anche la consapevolezza che per adottare un bambino l’afflato del momento non è motivo sufficiente (e nemmeno necessario, a ben vedere) per sorreggere a lungo termine una decisione così radicale», commenta AiBi. Le adozioni, inoltre, vengono sospese perché «proprio a causa dell’emergenza diventa complicato garantire la correttezza di tutte le informazioni indispensabili per poter dichiarare adottabile un minore. Per fare un esempio drammaticamente concreto: come si fa a garantire l’adottabilità di un minore se non si può sapere con certezza dove siano tutti i vari componenti della sua famiglia? Se siano vivi o meno? Se chi è rimasto abbia la possibilità e il desiderio di prendersene cura? È impossibile. Per questo le adozioni vengono bloccate, ed è una decisione presa a tutela dei minori stessi e anche per limitare il più possibile la possibilità di traffici illeciti e l’intromissione di malintenzionati che, purtroppo, proprio nelle pieghe delle situazioni più drammatiche provano a infilarsi».

È un tema che la storia ha già visto più volte. Rosella Pastorino, per esempio, proprio in questi giorni è in libreria con un nuovo libro – "Mi limitavo ad amare te" – ispirato alla vicenda di Nada, Omar e Dànilo, bambini nella primavera del 1992 a Sarajevo. Per allontanarli dalla guerra, una mattina di luglio un pullman li porta via contro la loro volontà, verso l'Italia. Omar e Nada vivono insieme in orfanotrofio e non vogliono partire, perché Omar non vuole perdere sua madre, Nada perché non vuole separarsi dal fratello. Danilo invece ha una famiglia, ma viene mandato in Italia per salvarlo dalle bombe. «È un romanzo di invenzione ma ispirato a fatti veramente accaduti, perché nel 1992 i bambini di sarajevo sono stati effetivamente mandati in Italia per saklvarli dalla guerra, ma molti di loro erano in orfanotrofio pur avendo deiu genitori. Ci sono ragazzi che per vent'anni non hanno saputo più nulla dei loro genbutori, e viceversa», ha detto l'autrice in una intervista. «Una storia di salvezza, in senso letterale, ma questa salvezza ha implicato un sacrifcio enorme, lo strappo con i loro genitori».

In Italia non c’è alcun ente autorizzato a fare adozioni internazionali nei due paesi segnati dal terremoto, Turchia e Siria. Di adozioni, lì, peraltro non si parla più già da tempo. In Siria, ricorda AiBi che nel paese invece è presente con progetti di cooperazione internaizonale, le adozioni sono di fatto ferme da quanto è iniziata la guerra, proprio perché manca la possibilità di interfacciarsi con un’autorità di riferimento e perché mancano le condizioni per garantire la raccolta delle informazioni di cui si è detto in precedenza. In Turchia invece formalmente le adozioni sono possibili, ma bisogna considerare che lì la maggioranza della popolazione è di religione musulmana e per il diritto islamico l’adozione come la intendiamo noi è vietata. Nella loro cultura esiste invece la Kafala, un istituto giuridico previsto anche dalla Convenzione dell'Aja, che però, come in Italia non è riconosciuto. Il riconoscimento della kafala è un tema che proprio AiBi sollecita da anni, «perché proprio per le sue caratteristiche potrebbe essere uno strumento “ponte” anche nell’ottica di istituire un “affidamento internazionale” che, in casi come quello del terremoto in Turchia e Siria o della guerra in Ucraina, è il vero tassello mancante per un sistema di accoglienza che possa davvero essere immediato, efficace e orientato, come dev’essere, al maggior interesse del minore». Ecco perché ancora una volta AiBi chiede con forza l’istituzione dell’affido internazionale, con norme certe che lo regolamentino, e la realizzazione di corridoi umanitari che permettano ai minori che ne hanno necessità di venire in Italia in modo sicuro, nel rispetto delle misure di protezione dell’infanzia previste dalla legge.

La foto è stata scattata in Turchia, ad Adana, il 6 febbraio 2023 da Tolga Ildun/Avalon/Sintesi

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