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Perché vado a Brovary in Ucraina?

Il 3 febbraio arriveranno a Brovary insieme alla nostra piccola delegazione Mean le strutture del primo “Peace Village”: una struttura coperta, bella e autoriscaldata progettata dall’architetto Mario Cucinella che ha prestato gratuitamente la sua opera di ingegno ed ha chiamato a raccolta una squadra di imprese amiche che hanno donato tutti i materiali utili alla realizzazione. Spero così che le istituzioni europee possano vedere i Peace Village e immaginare strade nuove di pacificazione che vadano oltre alla resistenza armata

di Angelo Moretti

Scrivo al singolare questa domanda rivolta a me stesso, nell’incipit di un articolo che invece è rivolto al pubblico di Vita, non per una vampata narcisistica o l’avvio di un discorso autoreferenziale, ma perché è la domanda che davvero mi frulla in testa da settimane e che potrebbe frullare un po’ in tutte e tutti noi, uomini e donne di Europa.

Sono un europeo medio per eccellenza, 45 anni, famiglia con diversi figli adolescenti, una bella ed amata moglie, una casa, un lavoro, non sono un giornalista o un medico, non sono un militare né un cooperante internazionale, non sono un missionario né un diplomatico, conosco a malapena l’inglese figuriamoci l’ucraino, ma allora perché parto, che ci vado a fare nel cuore di un paese in guerra nel mezzo dell’Europa?

Brovary è una città, media come me, di 97 mila abitanti, a 20 km da Kiev. Come in tutte le città ucraine la popolazione civile sta vivendo nel terrore di non riuscire a superare questo inverno, a causa dei ripetuti attacchi alle centrali elettriche che bloccano riscaldamenti ed acqua calda e di missili impazziti ed intermittenti che non hanno risparmiato condomini e parchi giochi. Come tutto il popolo ucraino che ho incontrato ed ascoltato nelle mie precedenti missioni con il MEAN, Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, ho saputo da alcuni amici lì sul posto che anche la gente di Brovary ha deciso di resistere e di restare in città (un tema molto caro a me che sono un abitante delle aree interne del Sud Italia, ma per tutte altre ragioni), gli abitanti si rifugiano come possono, nonostante il nemico alle porte cerchi in ogni modo di piegare questa loro volontà di non abbandonare la loro terra. L’esercito russo ha un chiaro obiettivo: aggredire non tanto e non solo l’esercito ucraino che si contrappone all’invasione, ma soprattutto la vita quotidiana degli ucraini, una vita che si avviava ad essere europea e mediamente comoda, dopo tanti decenni di grande povertà e sofferenze.

Il 3 febbraio arriveranno a Brovary insieme alla nostra piccola delegazione MEAN le strutture del primo “Peace Village”: una struttura coperta ed autoriscaldata progettata dall’architetto Mario Cucinella che ha prestato gratuitamente la sua opera di ingegno ed ha chiamato a raccolta una squadra di imprese amiche che hanno donato tutti i materiali utili alla realizzazione, in particolare la Scaffsystem di Ostuni e la Mannigroup di Verona. Il PV è un piccolo progetto per garantire, a chi ha deciso di restare nonostante tutto, uno spazio di ResiStanza, un luogo di socializzazione per bambini e famiglie che vivono in quella città e che possono trovare tra quelle pareti innovative di metallo, coibentate e ben isolate dal freddo, un ambiente di vita confortevole per trascorrere il terribile febbraio 2023. Sono tre strutture da circa 100 mq ognuna e sono disposte in modo tale da disegnare un simbolo di pace, al centro hanno uno spazio collettivo, una piccola agorà domestica per accendere un fuoco collettivo, per vivere un focolare.

Come MEAN abbiamo organizzato tutto a partire dal primo novembre 2022, da quando il sindaco di Kiev, Klycko, che avevamo incontrato nella marcia nonviolenta dell’11 luglio, ha fatto appello all’Europa per avere a disposizione dei rifugi climatici contro la nuova strategia del nemico. Da allora è stato un tam tam di contatti e generosità contagiose: con il professor Maurizio Sasso dell’Università degli Studi del Sannio abbiamo vagliato ogni proposta possibile di co-generatori, fino a concludere che la soluzione ideale per rispondere in maniera immediata e sostenibile erano le stufe fabbricate a Paolisi, Benevento, e donate dall’impresa Pasqualicchio, gli infissi donati e prodotti appositamente a Torino dall’impresa Gallina, i portoni regalati dall’azienda Ramaccioni di Macerata. Ma non basta, servono fondi, ed allora il Movimento “Base Italia” di Marco Bentivogli avvia una raccolta fondi che servirà ad acquistare un generatore ed a pagare parte delle spese di trasporto, a loro si aggiunge anche l’impegno della Fondazione Progetto Arca, della rete Sale della Terra e della Fondazione Piero Bongianino. Vita Non Profit segue e accompagna con Riccardo Bonacina ogni azione realizzata e deciderà di inviare la giornalista Anna Spena nella spedizione che parte domani, Marianella Sclavi ed Antonella Agnoli verificano tutti gli accorgimenti sociali, culturali ed ambientali del progetto. Nel frattempo gli attivisti del MEAN raccolgono oltre venti tremila euro di offerte in poco tempo. Tutto è pronto, si parte, quattro Tir sono in viaggio dal 31 gennaio da Milano e da Verona, e portano anche trenta bancali di indumenti, viveri e coperte raccolti in tutta Italia. Il Peace Village è inoltre progettato per essere facilmente “rielaborato”, oggi è un rifugio sociale per l’inverno, ma domani può diventare una libreria di comunità, un centro polifunzionale, un centro per la memoria e la riconciliazione. Le strutture pensate da Mario Cucinella non hanno mai una vita sola, possono prendere tante forme conservando l’anima dell’habitat principale.

A Brovary ci aspetta la fondazione “Free Spirit of Ukraine” che ci porterà dal Sindaco per definire l’atto di donazione del Peace Village.

Nella piccola delegazione che arriverà nella regione di Kiev il 3 febbraio mattina c’è un gigante del sindacalismo e del movimentismo italiano, Marco Bentivogli, un eccelso fotografo, Luca Daniele, una straordinaria donna di Donetsk e vera anima del Mean, Tetyana Shyshynyak, e la giornalista Anna Spena di Vita.

La domanda torna: io che ci faccio? A cosa servo? La risposta che mi sono dato è questa: io rappresento tutte le donne e gli uomini medi di Europa che vorrebbero essere lì, stringere tra le mani gli ucraini infreddoliti e dire “noi ci siamo durante questo inverno” guardandoli negli occhi, “non siamo solo l’Europa che invia le armi ed i viveri, indumenti e soldi, non siamo solo l’Europa dei beni materiali, siamo l’Europa dei popoli, e la vostra resistenza e desiderio di restare ci interessa”. Vado per dire “che anche noi non sappiamo come uscirne da questa guerra, ma che questo non significa che non vogliamo agire per la pace”. Io vado perché le istituzioni europee possano vedere i Peace Village e immaginare strade nuove di pacificazione che vadano oltre alla resistenza armata.

Andare a Brovary durante questo inverno penso che sia l’unica cosa da fare per non essere un semplice “tifoso” della pace. Ogni sguardo ed abbraccio può avere la forza di togliere veleno alla guerra ed al suo rancore, ai desideri di vendetta, al senso di solitudine e di abbandono, al sentimento di ingiustizia e di impunità. Vado perchè da qui la guerra non la fermiamo, ma non facciamo neanche avanzare la pace. Se ci andassimo tutte e tutti in Ucraina a chiedere all’esercito nemico di abbassare le armi contro un popolo invaso forse qualcosa accadrebbe, è l'invito della cover di Vita di Febbraio “Occupy Ucraina”. Ma non lo farà nessuno al posto nostro, toccherebbe ad un esercito di donne e uomini medi di Europa con le mani alzate e lo sguardo fiero verso Mosca, come gli amici ucraini che abbiamo incontrato, imparando dalla loro nonviolenza, dalla loro restanza.

Foto Luca Daniele – Uff. Stampa Mean

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