Welfare

Buzzanca e l’amministrazione di sostegno: una legge da rivedere?

Dopo la morte dell'attore Lando Buzzanca, la compagna solleva dubbi sulla legge 6/2004 sull'amministrazione di sostegno. Proprio pochi giorni fa Anffas aveva scritto ai ministri Locatelli e Nordio per chiedere una revisione della norma, in particolare denunciando la prassi di nominare professionisti che non conoscono i desideri delle persone con disabilità. Il costituzionalista Arconzo: «Per quanto imperfetta, non si può lanciare in pasto all'opinione pubblica l'idea che la legge possa determinare la morte di chicchesia»

di Sara De Carli

Dopo la morte dell’attore Lando Buzzanca, i giornali riportano le dichiarazioni e le accuse della compagna, Francesca Della Valle. Il titolo di repubblica.it è molto provocatorio: “È stato ammazzato dalla legge 604”. Al netto del fatto che la legge 604 non esiste, ma che si tratta della legge 6 del 2004 sull’amministrazione di sostegno, la questione è delicata. «Dichiarazioni come quelle che si leggono nell'articolo di Repubblica a seguito del decesso di Lando Buzzanca, pur umanamente comprensibili nel momento di forte dolore causato dalla morte di un proprio caro, meriterebbero di essere contestualizzate. Non si può lanciare in pasto all'opinione pubblica l'idea che la legge 6 del 2004 possa determinare la morte di chicchesia», commenta in un post su Facebook Giuseppe Arconzo, associato di Diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. «La legge sull'amministratore di sostegno, per quanto possa essere imperfetta, rappresenta un testo normativo di grande civiltà. Perché consente un rapporto di affiancamento (e non di sostituzione) alla persona che si trova in una condizione di impossibilità di provvedere autonomamente ai propri interessi. Perché va incontro al principio di autodeterminazione delle persone con disabilità. Perché prevede che vi sia un giudice tutelare che possa controllare la situazione che riguarda il caso concreto».

Proprio pochi giorni fa, Anffas Nazionale ha scritto una lettera aperta alla ministra Alessandra Locatelli e al ministro Carlo Nordio, con la richiesta di riformare urgentemente la legge 6/2004 e di porre fine ad alcune storture nella prassi applicativa, a cominciare dall’abitudine dei Tribunali di preferire dei professionisti ai familiari per la nomina a tutore. «Numerose e sempre crescenti sono le segnalazioni rispetto all’orientamento che taluni tribunali sembrano avere nel preferire nella nomina ad amministrare di sostegno o tutore non già un familiare o una persona che abbia realmente a cuore il bene essere della persona amministrata ma tecnici (avvocati e commercialisti, tra l’altro retribuiti), sindaci o amministratori pubblici. Figure che spesso neppure conoscono le persone di cui si dovranno prendere cura o che si limitano alla sola amministrazione dei loro beni», scrive Anffas. «Cosa che tradisce e stravolge la stessa legge». Una soluzione che per Anffas «tradisce un forte pregiudizio ed è fonte di reale discriminazione attuata a danno delle persone con disabilità».

Non è questa, sottolinea Anffas, la ratio della legge. La persona con disabilità in questo modo, invece di essere supportata nelle sue necessità e vedere amministrati correttamente i suoi beni per la realizzazione dei suoi desideri e delle sue aspettative e preferenze – il tutto in stretta relazione, anche dal punto di vista affettivo, con il suo amministratore – vede la nomina di un perfetto estraneo che poco o nulla ha a che vedere con la sua qualità di vita, tra l’altro sostenendone i relativi costi. Due sono le conseguenze di questa situazione: «la prima è che ancora oggi ci troviamo a vedere la persona con disabilità ridotta ad essere un oggetto nelle mani di altri, in questo caso di un amministratore che non facendo parte della quotidianità della persona con disabilità non sa nulla della sua vita, delle sue reali necessità e dei suoi desideri»; la seconda è che «i familiari vengono considerati incapaci o inadatti ad assolvere compiutamente al ruolo di amministratore di sostegno o tutore e connessi adempimenti».

Un’altra prassi inaccettabile è quella per cui il Tribunale fa controllare la rendicontazione presentata da tutori e/o amministratori di sostegno da un commercialista esterno, caricando poi i costi di tale consulenza (che risponde alle sole necessità del Tribunale) alla persona con disabilità. Le famiglie così si trovano a dover pagare, con le loro magre risorse, un controllo che il Tribunale ha scelto di esternalizzare. «Non riteniamo corretto quanto accade: non è condivisibile, infatti, che si faccia ricadere sulle persone con disabilità e sulle famiglie un costo dovuto a un procedimento interno all’amministrazione del Tribunale, derivante forse da difficoltà di gestione delle pratiche in questione e alla connessa carenza di idoneo personale e che, pertanto, dovrebbe essere a carico dell’amministrazione stessa», annota Anffas.

La richiesta di Anffas ai ministri Nordio e Locatelli è quella di una «urgente riforma della legge 6/2004, così come già richiesto dallo stesso Comitato ONU nelle sue Osservazioni Conclusive al primo rapporto dell’Italia del 2016, in cui viene esplicitamente indicata la raccomandazione di “abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno e gli istituti dell’interdizione ed inabilitazione, e di emanare e attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni, compresa la formazione dei professionisti che operano nei sistemi giudiziario, sanitario e sociale”».

In allegato, la lettera integrale inviata da Anffas ai ministri Locatelli e Nordio.

FOTO DI © MARIO CHIODO/SINTESI

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