Mondo
Ong? Non è più il nome giusto
Al centro del "Qatargate" anche la Fight Impunity, l'organizzazione che Antonio Panzeri, l'ex eurodeputato socialista arrestato per corruzione e riciclaggio, aveva fondato nel 2019. Ormai chiunque può creare con estrema facilità associazioni nascondendo interessi personali o interessi di parte che nulla hanno a che vedere con la solidarietà, chiamandole ong. Perciò bisogna adottare una denominazione più completa, precisa e identificativa
di Nino Sergi
C’è una grande confusione nei media e nel linguaggio politico e c’è un utilizzo strumentale di questa sigla, che viene usata facendo di ogni erba un fascio e attaccando indiscriminatamente, come succede in particolare in Italia, il mondo del “non governativo”, espressione complessa dell’ampia e articolata società civile organizzata. Nei decenni le ong hanno certamente rappresentato il meglio della solidarietà, della partecipazione, dell’iniziativa e dell'attivo impegno civile, sociale, culturale, educativo in Italia e nel mondo, affermando e promuovendo la dignità di ogni essere umano e il valore della comunità.
In Italia la sigla ong ha identificato per ben più di cinquant’anni le organizzazioni dedite alla cooperazione e alla solidarietà internazionale, quelle che anche le istituzioni nazionali e territoriali, pubbliche e private, hanno sempre riconosciuto come tali, come d’altronde hanno fatto i media. Più recentemente queste ONG hanno richiesto di essere denominate OSC, organizzazioni della società civile, traducendo in positività quanto espresso nelle parole “non governative”. Più recentemente, però, molto è cambiato ed è forse giunto il momento che le ong e osc attive nella cooperazione internazionale per lo sviluppo e l'aiuto umanitario completino la denominazione rendendola più precisa e identificativa. Identificarsi in modo chiaro servirà infatti a contenere la grande confusione e l’uso improprio e strumentale, spesso dispregiativo, di una sigla che esprime e rappresenta una storia di valori, generosità, impegno, dedizione, passione, realizzazioni, ma che è divenuta talmente vaga da non riuscire più a rappresentarla.
Personalmente ho difeso a lungo la denominazione storica di ong proprio perché contiene il prezioso e pluridecennale bagaglio valoriale carico di esperienze, incontri di pace, sostegno alle lotte di liberazione, progetti con persone, comunità e organizzazioni di continenti lontani a fianco dei più poveri o oppressi da dittature, sete di giustizia e uguaglianza, con persone che sono cresciute professionalmente e che hanno impegnato la loro vita a questo fine, talvolta perdendola "sul campo". Così come lo sarà in tutto il mondo, penso che l’acronimo ong continuerà ad essere usato anche in Italia, insieme al più recente osc, e che continuerà ad esserci anche chi lo utilizzerà in modo improprio e strumentale, perfino per "attaccare facile", nel mucchio, confondendo tutti e tutto sotto l’indefinita sigla ong e volutamente ignorando risultati e professionalità, pratiche consolidate di verifiche e controlli, rispetto delle istituzioni e proficue sinergie con loro.
A questo proposito, non mi preoccupano più di tanto (anche se feriscono e fanno male, oltre ad essere ingiusti e volgari) i tanti articoli o le copertine di certi media o le basse dichiarazioni, gli attacchi e la squallida colpevolizzazione dell'azione umanitaria e della solidarietà che escono dalla bocca di politici e istituzioni pubbliche. Penso infatti che continuare a fare il nostro lavoro e farlo bene, con la dedizione e la passione che merita, sia la migliore risposta e forse l’unica valida ed efficace; con i nostri limiti, come ogni realtà umana, che dobbiamo riconoscere con umiltà ma anche con l’orgoglio di essere ong-osc protagoniste di cambiamento e portatrici di valori. Si è ampliata e arricchita molto negli anni la varietà delle specificità: cooperazione e solidarietà internazionale, aiuto umanitario d’emergenza, impegno ostinato a salvare vite umane, educazione alla cittadinanza globale e alla convivenza, costruzione di ponti di dialogo e partenariati, accoglienza e integrazione, protezione dei rifugiati, confronto sulle politiche, approfondimento e capacità di proposta, a fianco soprattutto dei più deboli, esclusi, disprezzati per contribuire a ridare quella dignità che deve essere assicurata ad ogni essere umano.
Dato però che ormai chiunque può creare con estrema facilità associazioni nascondendo interessi personali o interessi di parte che nulla hanno a che vedere con la solidarietà, chiamandole ong (o anche osc poco importa) come abbiamo visto, come stiamo vedendo in questi giorni e come potremmo rivedere in futuro, ritengo che sia venuto il momento di dare una più precisa identità alla realtà che esprimiamo da decenni in molte parti del mondo e in Italia. Identificarci esplicitamente e pretendere di essere identificati come “ong (o osc) di cooperazione e solidarietà internazionale”: questo potrebbe essere un passo immediato.
La sigla ocsi, organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale – o un acronimo simile – potrebbe bene racchiudere tutto il nostro mondo e le sue attività in Italia e ovunque nel pianeta, identificandolo in modo più preciso e facendolo identificare come tale. Si riferirebbe a quell’insieme di organizzazioni che si conoscono, che conosciamo e che sono spesso conosciute non solo a livello italiano ma anche internazionale. Ciò non può escludere nulla ma evidenzierebbe più facilmente storie pluriennali, radicamenti nel territorio, risultati raggiunti, obiettivi chiari e coerentemente conseguiti, regole di trasparenza, controlli interni e verifiche esterne consolidati. E ci sarebbe, per tutti, dall’Informazione alla Politica, un accresciuto dovere di sforzarsi a capire che non è giusto né accettabile raggruppare tutti in un unico insieme confuso e indistinto, creando confusioni artificiali e strumentali ad obiettivi che con le ONG non c’entrano proprio nulla. Sarebbe utile aprire in merito una franca discussione.
*Nino Sergi, fondatore di Intersos e Policy Advisor di Link 2007
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